Il Vetro

 

Oggetto trasparente del desiderio

 

Alessandra Doratti

 

 

 

 

Il vetro è una sostanza che può servire a mille usi, pur avendo alcune qualità invariabili. Fragile e duro, può essere trasparente oppure opaco ed è diventato ormai tanto comune che ben poca gente si sofferma a pensare e a chiedersi che cosa sia o come e perché sia stato inventato. Indubbiamente il vetro è nato dal desiderio dell'uomo di imitare la natura, nel caso particolare la pietra incolore chiamata cristallo di rocca, cioè il biossido di silicio purissimo.
Com'è per moltissimi altri oggetti di uso quotidiano, le origini del vetro risalgono tanto addietro nella storia da essere oramai dimenticate: quel che ne rimane è soltanto leggenda.
Duemila anni fa il naturalista latino Plinio annotò quel che sapeva in proposito, scrivendo senza dubbio una leggenda che si ripeteva da secoli. Secondo il racconto di Plinio, alcuni marinai o mercanti che navigavano nel Mediterraneo ebbero la sventura di naufragare presso la foce di un fiume in Siria. Riuscirono a raggiungere la riva e la prima cosa che fecero fu quella di accendere un fuoco per cucinarsi qualcosa da mangiare, ma non riuscirono a trovare pietre adatte per sistemare la pentola sopra le fiamme. Si deve supporre che avessero potuto salvare dal naufragio il recipiente e il suo contenuto. La nave trasportava un carico di natrum, una varietà di soda, ed i naufraghi recuperarono qualche pezzo di quel materiale per fame un treppiede. Il pranzo fu cucinato e consumato, dopo di che gli uomini notarono che, dov'era stato acceso il fuoco, era rimasto un deposito luccicante. Era vetro grezzo, prodotto dall'azione del calore che aveva fuso insieme la sabbia della spiaggia e la soda.

 

 

Dalla Siria all'Egitto


Fondamentalmente, è lo stesso meccanismo che si verifica ancora oggi nella fabbricazione del vetro, benché nel corso degli anni siano state introdotte alcune varianti. La silice, sotto forma di sabbia o di pietra adatta allo scopo, viene fusa insieme con un alcale, che può essere soda o potassa.
È opinione generalmente accettata che la fabbricazione del vetro abbia avuto origine in un paese del Mediterraneo orientale e benché i più antichi esemplari ancora esistenti siano stati scoperti in Egitto, si ritiene che quest'arte vi sia giunta dall'Asia Minore e che i vetrai egiziani l'abbiano appresa per imitazione, così come accadde poi da un paese all'altro, in tutto il mondo. Mentre il vetro fu usato dapprima per imitare il cristallo di rocca, gli egiziani si sforzarono invece di imitare il turchese, una pietra che piaceva loro in modo particolare.
Molti esemplari antichissimi di vetri egiziani, alcuni dei quali risalgono a quattromila anni fa, sono di un bel azzurro turchese, mentre altri sono gialli o blu scuro. Ma le loro cognizioni e la loro abilità erano limitate e gli oggetti che essi producevano erano di dimensioni ridotte. In molti casi, un cordone di vetro caldo veniva avvolto attorno a un'anima di sabbia ed argilla e, quando il pezzo si era raffreddato, veniva riscaldato di nuovo con cura perché i diversi giri si saldassero fra loro, dopo di ché si toglieva l'anima, spezzandola. Era un procedimento molto semplice e si conservano ancora oggi esemplari dove sono visibili tracce di quell'anima interna.
Il primo grande progresso nella fabbricazione del vetro avvenne nel primo secolo dopo Cristo, quando un vetraio anonimo geniale ebbe l'idea di prendere un tubo di ferro, introdurne un'estremità in un crogiuolo, prelevando un po' di vetro fuso, e poi soffiarvi dentro dall'altra parte. La bolla di vetro che si formò in questo modo segnò la nascita del vetro soffiato. A partire da quella data, non venne mai meno la produzione di bottiglie grandi e piccole, di vasi e di altri recipienti cavi, molti dei quali erano fabbricati in Siria, in Egitto o a Roma, da dove venivano poi spediti in tutte le parti dell'impero romano. In alcuni paesi esistevano vetrerie, ma in altri, come in Inghilterra, quasi tutti gli oggetti di vetro erano importati.
Straordinariamente esperti furono i vetrai italiani e alessandrini: è stato detto, con ragione, che ben poco o forse niente di quanto si è fatto in tempi moderni sarebbe stato impossibile per gli artigiani mediterranei di duemila anni fa.
Col passare del tempo, tuttavia, il mondo occidentale cominciò a riprendersi dall'apatia del Medioevo, e la Repubblica veneta assunse il controllo del Mediterraneo e di buona parte del commercio dipendente dalle comunicazioni marittime. La prosperità di Venezia attrasse gli artigiani dall'Oriente, in particolare i vetrai siriani che si stabilirono dapprima in città, per essere poi banditi in seguito ad alcuni catastrofici incendi provocati dalle loro fornaci, ed essere relegati con una relativa sicurezza nella vicina isola di Murano. Là, gli immigrati insegnarono la propria arte agli abitanti e insieme perfezionarono quella produzione che a buon diritto procurò al vetro veneziano fama internazionale.
I vetrai di Murano non studiarono soltanto nuove forme e colori, che in pratica erano soltanto variazioni di quelli noti in altri tempi e poi dimenticati, ma riuscirono anche a migliorare la qualità del materiale, distinguendosi per la produzione di un vetro notevolmente più trasparente e più puro di quello che si produceva in qualsiasi altra parte del mondo.
I veneziani ricavavano la silice dai ciottoli bianchi del Po e del Ticino, e la soda dalle ceneri di piante marine; le impurità che avevano deturpato per tanto tempo la purezza del prodotto finito, venivano eliminate mediante l'aggiunta di piccole quantità di biossido di manganese e il risultato era un vetro di eccezionale purezza, universalmente riconosciuto come la migliore imitazione dell'ambito cristallo di rocca.
In seguito i vetrai muranesi si riunirono, a seconda della produzione in cui si erano specializzati, in Arti o Corporazioni e lo Stato esercitò su di essi uno stretto controllo. Soprattutto fu severamente proibito andare a cercare lavoro fuori dal paese e si minacciarono pene gravissime ai trasgressori.

 

 

Un successo a livello europeo


Nonostante queste restrizioni, un flusso continuo di vetrai veneziani varcava le frontiere della Repubblica nella speranza di fare fortuna collaborando alla fondazione di fabbriche di vetro in paesi lontani. Molti se ne andarono così nei Paesi Bassi, ad Anversa, a Liegi, Amsterdam, Middelburg e Maastricht, mentre altri raggiunsero l'Inghilterra, la Francia, la Spagna, il Portogallo.
Tutti gli oggetti prodotti in questi paesi furono creati direttamente dalla mano di vetrai immigrati di origine veneziana, quanto meno all'inizio, e furono debitori della loro ispirazione a oggetti importati da Venezia e copiati con tale fedeltà che, oggi, a tanta distanza di tempo, riesce spesso difficile distinguere i vetri prodotti a Murano da quelli fabbricati altrove.
Fa eccezione il vetro germanico, per il quale si usava la potassa ricavata dalla cenere del legno. Le grandi foreste che si trovavano nelle regioni della Germania e della confinante Boemia fornivano a un tempo il combustibile per la fusione e l'alcale per la fabbricazione del vetro. L'arte vetraria si abbinava spesso all'abilità degli abitanti quali intagliatori e incisori di gemme, abilità di cui si dava prova nella lavorazione del legno, della pietra, dell'avorio e di altri materiali.
Talvolta il vetro veniva dipinto con smalti vivaci, una tecnica nata probabilmente in Baviera e poi estesasi in altre regioni. Una specialità fu la produzione di enormi bicchieri decorati con stemmi complicatissimi e in molti casi recanti date del XVII secolo. Alcuni esemplari sono di pregevole esecuzione, ma per la maggior parte essi sono notevoli soltanto per i colori vivaci e per il fatto di essere sopravvissuti indenni al trascorrere dei secoli.

 

 

 

 

Alessandra Doratti