Il Caffè Michelangelo e i Macchiaioli

 

Alessandra Doratti

 

 

 

 

 

 

 E al Caffè Michelangelo la politica divenne Arte

 


La fiamma della lampada illuminava sulle pareti i disegni e le caricature di autori sconosciuti, posandosi guizzante sui volti e i gesti degli uomini che affollavano la stanza fumosa del Caffè Michelangelo a Firenze. L'atmosfera era quella di un dibattito vibrante, appassionato, che coinvolgeva temi politici e scelte estetiche. Fu in quella sede, verso la metà del secolo scorso, che i protagonisti e gli intenditori della diatriba - dissidenti delle varie accademie di belle arti della Toscana e di altre regioni - fondarono il movimento dei macchiaioli, al quale si devono dipinti di rara modernità.
Il gruppo, che non imponeva vincoli o rigide regole associative, comprendeva artisti quali Giovanni Fattori, Vincenzo Cabianca, Silvestro Lega, Giuseppe Abbati, Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi, Giovanni (Nino) Costa, Cristiano Banti, Telemaco Signorini e altri ancora, e come critico Diego Martelli, che nel corso degli anni alternò momenti di adesione al gruppo a fasi di relativo distacco. Avevano ciascuno stili e linguaggi personali, ma li accomunava l'insofferenza verso l'arte ufficiale che, dai tempi di Napoleone, stagnava in un Neoclassicismo di maniere e riproponeva temi storici e allegorici. Al Caffè Michelangelo lo scambio di idee era intenso: c'erano artisti stranieri che venivano da Parigi o da Barbizon e c'erano gli artisti italiani che, reduci da Parigi dove avevano visto l'Esposizione Universale del 1855, si erano accostati alle opere di pittori realisti e romantici come Alexander Decamps, Goustave Courbet, Constant Troyon, Rosa Bonheur. Protesi verso il conseguimento dell'arte-verità e desiderosi di cogliere le suggestioni della natura, gli artisti della nuova generazione cominciarono a dipingere all'aperto catturando aspetti del paesaggio toscano.
Immersi in ambienti inondati dal sole e scanditi da ombre nette, essi coglievano il chiaroscuro di scenari campestri in rapidi schizzi eseguiti con brevi colpi di pennello su cartoni, scatole per sigari e qualunque cosa capitasse sotto mano. Sebbene gli schizzi venissero poi elaborati e tradotti in opere rifinite, ne scaturiva un prodotto che esulava dalla tradizionale esperienza pittorica. Nel 1862 un critico, avverso al nuovo linguaggio dell'arte, definì "macchiaioli" in tono sprezzante e oltraggioso questi pittori che utilizzavano la tensione espressiva della macchia di colore e la tecnica dell'incompiuto. Probabilmente il nomignolo non turbò affatto gli artisti, che anzi si compiacevano dell'ostilità dell'opinione pubblica. La loro carriera si intreccia con le vicende risorgimentali che sfociarono nell'unità di Italia sotto Vittorio Emanuele II. Testimoni della lotta che contrapponeva i patrioti italiani al dominio francese e austriaco e al potere pontificio, i macchiaioli si schierarono su posizioni mazziniane, che difesero strenuamente anche a rischio della vita, rimanendo alla fine delusi davanti al naufragio degli ideali repubblicani. Si può anzi dire che gli ideali politici valsero per la coesione del gruppo alla pari di questi estetici.
L'ideale di libertà nazionale e individuale si tradusse nella scelta di esaltare il paesaggio e il popolo italiano. "La Macchia!" diventò quindi un grido di battaglia per rivendicare l'autonomia dell'artista e del singolo. Signorini si espresse con accenti sprezzanti nei confronti di quei pittori italiani che, pedissequi seguaci della cultura francese, non rappresentavano il paesaggio della loro terra, lo splendore della luce, il colore intenso del cielo sopra la testa e della terra sotto i passi. Secondo lui gli artisti non ritenevano che valesse la pena portare sulla tela queste immagini, ed egli denunciava con sdegno che nelle mostre si vedevano quadri che raffiguravano scorci di paesaggi francesi, fatti a imitazione di questo o quel pittore. I macchiaioli invece dipingevano lo spettacolo della vita quale si presentava ai loro occhi: covoni di fieno, buoi intenti a tirare l'aratro, spiagge solitarie, le sponde di un fiume, la fatica del contadino, l'ozio del borghese. Nel 1861, ereditata una vasta proprietà sul mare a Castiglioncello, Diego Martelli aprì la sua casa agli artisti della nuova generazione. Alcuni si fermavano per breve tempo; altri, come Abbati, Borrani, Sernesi, Fattori, vi soggiornarono per mesi catturando gli aspetti della costa a sud di Livorno, lo spettacolo dei contadini al lavoro. Coloro che non si riconoscevano nell'esuberanza degli incontri al Caffè Michelangelo e della vita comunitaria a Castiglioncello si rivolgevano verso il borgo di Piagentini. Silvestro Lega ospite dei Batelli, una benestante famiglia borghese, dove giunsero più tardi Telemaco Signorini e altri artisti. Signorini descrisse l'idillio campestre di Piagentini, parlando con rapimento della "passione, l'entusiasmo, l'attività febbrile" delle giornate trascorse in campagna con Lega e la ristretta cerchia di intellettuali, dipingendo sulle sponde del fiume Affrico e sotto i pioppi lungo le rive dell'Arno. Silvestro Lega produsse incantevoli dipinti soffusi di una morbida luce verde, raffiguranti donne e bambini contro lo sfondo di un giardino o di un paesaggio rurale. Le sue opere tarde, prodotte quando, indebolitasi la vista, non poteva più curare il particolare, mostrano straordinarie affinità con la tecnica impressionista.
Nel frattempo nuove influenze vennero a modificare il linguaggio dei macchiaioli. La fotografia, con i suoi netti contrasti di luci e ombre, ebbe grande impatto sulla loro arte; altrettanto significativo fu il contatto con le opere grafiche e stampe giapponesi che, conosciute in occasione dell'Esposizione universale di Parigi del 1867 esercitarono una profonda influenza sul mondo intellettuale europeo. L'appiattimento della profondità e l'uso di figure che si profilano su uno sfondo chiaro - elementi tipici dell'arte giapponese - diventarono nelle mani dei macchiaioli una tecnica di interpretazione del paesaggio toscano. L'influenza compositiva giapponese è inequivocabile in molte opere di Giovanni Fattori che, nel ritrarre scene di vita contadina, definisce lo sfondo con tratti di colore chiaro contro il quale si delinea il contorno di figure più scure.
La "riscoperta" dei macchiaioli, molti dei quali continuarono a dipingere fino a età avanzata senza ottenere il dovuto riconoscimento, avvenne già nel 1910, quando la retrospettiva loro dedicata alla Società delle Belle Arti di Firenze vide confluire oltre ottomila visitatori: un successo reso possibile dal trionfo dell'impressionismo. Ironia vuole che l'infatuazione per gli impressionisti nel nostro secolo rigettasse all'ombra la pittura dei macchiaioli. Questi artisti vennero sbrigativamente catalogati fra coloro che, partiti da buone premesse, non erano riusciti a mantenerle: non avevano insomma percorso fino in fondo la strada che avrebbero portato all'arte moderna.

 

 

 

Alessandra Doratti

 

 

 

 

 

 

ne del genio architettonico di Mario Botta, deve aver vissuto lo sgombero della mostra come una vera, propria e liberatoria evacuazione.