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Giorgio Catania

 

 

 

I falsi nell’Arte - Insidie del mercato Antiquario

 

 

 

 

 

 

A. R. Mengs, Giove e Ganimede, falso affresco romano. Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica.

 

 


    In Occidente, la riproduzione di opere artistiche ha origini remote, legata allo sviluppo del collezionismo e per lo più motivata dal riferimento storico, l'ispirazione religiosa, o dalla pura fruizione estetica. 
Le prime falsificazioni storiche furono prevalentemente legate alla simulazione dell'oro e dell'argento; Plinio il Vecchio, menziona l'esistenza di trattati didattici per la fabbricazione dei gioielli falsi e si conoscono pratiche riguardanti il trattamento artificiale delle gemme, atti a migliorarne e a modificarne il colore. Nel "Papyrus Graecus Holmiensis", noto anche come "Papiro di Stoccolma", quattordici fogli di papiro scritti in demotico, vengono offerte varie ricette artigianali su come schiarire o dar maggior colore alle pietre, rigenerare la brillantezza delle perle, per la pulizia e l'imitazione di oro e argento.

Quando, dopo la conquista della Grecia, la moda del collezionismo dilagò a Roma si fabbricarono sculture e argenterie firmate da Mirone, Fidia e Policleto; artisti del tempo apposero alle proprie statue di marmo il nome degli scultori Prassitele e Lisippo. Tuttavia, non si trattava ancora di falsi realizzati con l'intento di ingannare, quanto per consentire a più persone di godere del possesso di un oggetto o di un'opera già conosciuta.
Prescindendo dalle sue intenzioni pratiche, la replica o la falsificazione antica ci rivela importanti elementi della cultura e degli interessi artistici di un'epoca. Le opere falsificate delineano l’evoluzione dei gusti e rivelano l’esistenza di un fiorente mercato di corrispondenti oggetti originali. I falsi pertanto possono rappresentare un importante documento storico socio-culturale e talora, la memoria di correnti pittoriche e opere di artisti scomparse sono giunte fino a noi solo grazie a copie più tarde.

 

 

 

La Musa Polimnia. Imitazione su lavagna di dipinto antico. Cortona, Museo dell'Accademia Etrusca (MAEC).

 

 

Durante il Rinascimento, molti pittori tra quelli di maggiore successo hanno assunto apprendisti che si formavano copiando le opere e lo stile del maestro e poiché all'epoca era l'apprendista a dover pagare per la propria formazione a "bottega", sovente le opere realizzate da questi venivano vendute a rimborso dell'apprendistato. Questa pratica, generalmente considerata un lecito tributo, produceva anche opere che con il trascorrere del tempo sono state erroneamente attribuite al maestro stesso.
Dopo il Rinascimento, a seguito della crescente prosperità della classe media venne a crearsi una forte domanda per l'arte, portando ad un incremento del valore di questi oggetti, a dipendere anche dal nome dell'artista. Per identificare le loro opere, i pittori cominciarono a marcarle con iniziali e monogrammi; questi segni, successivamente si evolsero in firme. Con l'aumentare della domanda di opere fecero la loro comparsa sul mercato anche le falsificazioni di marchi e firme, tanto da divenire un'autentica piaga per gli artisti più famosi.
Nel Medioevo, a causa del crescente interesse per le reliquie cristiane, vennero prodotte un'infinità di frammenti e chiodi della Croce, culle del Bambino Gesù e ossa di Santi.
Nel XIV° secolo, vennero create molte opere d'arte che imitavano sculture greche e romane, vendute per autentiche a collezionisti, nobili e clero.
 

Quasi tutti gli artisti, agli inizi o durante la loro carriera, hanno realizzato delle copie di opere importanti o nello stile di qualche illustre maestro: nel 1496, Michelangelo realizza un Cupido dormiente che antichizza per il mercante Baldassare del Milanese, il quale lo cedette al cardinale Riario di San Giorgio, che scoperta la frode ne pretese il rimborso.

Il napoletano Colantonio, maestro di Antonello da Messina, si distinse nell'imitazione di dipinti fiamminghi, genere particolarmente apprezzato ai tempi; Luca Giordano riprodusse Tiziano e Tintoretto; Giuseppe Guerra, allievo del Solimena, per scagionarsi ed evitare il carcere quale ladro di reperti archeologici, dovette confessare di essere un falsario di pitture pompeiane.

Famosa l'imitazione ad opera di Anton Raphael Mengs (1728 – 1779), che nel 1760 realizza uno strappo di encausto rappresentante Giove e Ganimede, dove vengono riprodotti persino i residui d’intonaco del muro, le screpolature e successivi restauri che sembrano essere di mano diversa dell’esecutore "antico", rendendolo una falsificazione quasi perfetta. Dal punto di vista iconografico e formale il tema si ispira agli affreschi della Farnesina di Raffaello; le volute baroccheggianti tradiscono l'opera d’arte che dovrebbe essere d’epoca romana.

 

Ma veniamo a tempi più recenti.

 

 

 

 

 

 

 

Il pittore senese Icilio Federico Joni (1866 - 1946), autore di "Un pittore di quadri antichi" (1932), si specializzò nella realizzazione di dipinti antichi.
Queste falsificazioni, imitazioni dello stile di pittori del '300 e del '400 quali Duccio di Buoninsegna, Pietro Lorenzetti, Sano di Pietro, Francesco di Giorgio Martini, Beato Angelico, Cecco di Pietro, Neroccio di Bartolomeo, erano destinate a una facoltosa clientela di collezionisti stranieri, soprattutto americani, e rappresentavano per la maggior parte Madonne con il Bambino (fondi oro di scuola senese).

Ispirati da Federico Joni, emersero numerosi restauratori e "pittori di dipinti antichi", quali Umberto Giunti, Igino Gottardi, Gino Nelli, Bruno Marzi e Arturo Rinaldi.

Un altro volume di interesse sul falso d'arte è quello di Augusto Jandolo (1873 - 1952), antiquario, scrittore e poeta romano. Memorie di un antiquario (Milano 1935), rappresenta una rara testimonianza dell'attività commerciale che lo Jandolo eredita dal padre e dal nonno e che praticherà tutta la vita (affiancandola agli altri suoi interessi, con passione e grande competenza), nel quale si rivelano i curiosi retroscena di scoperte e vendite nella Roma tra fine Ottocento e gli anni Trenta del Novecento.

      Nella metà degli anni Ottanta del Novecento, con un mercato dell'arte in piena espansione, Parigi poteva contare su molteplici investitori giapponesi, che forti della detrazione fiscale concessa dal governo sul collezionismo d'azienda, acquistavano opere d'arte. Questo fenomeno determinò l’esplosione dei prezzi dei pittori impressionisti e di tutta l’arte francese del tardo XIX secolo, coinvolgendo anche il vetro artistico di Gallè, Daum, Lalique, Argy Rousseau, ecc..

 

 

Imitazione di vaso Gallé, realizzato in Romania.

 

Fecero la comparsa sul mercato innumerevoli vetri falsi, dalla qualità più modesta a quella più ricercata, realizzati per lo più in Romania.
La prima clamorosa aggiudicazione giapponese, al fine di una diversificazione patrimoniale, avvenne presso la Christie’s di Londra il 30 marzo 1987 con l'acquisto di una delle sette versioni dei Girasoli di Van Gogh. La Yasuda Assicurazioni se la aggiudicò per 40 milioni di dollari, registrando l’acquisto tra i suoi costi a detrazione fiscale, con un notevole ritorno d’immagine per lo scalpore suscitato dall'evento.
E' in questo periodo che fa la sua comparsa un mercante d'arte di nome Guy Hain, già venditore di prodotti veterinari, che apre una galleria al Louvre des Antiquaires di Parigi con il nome "Aux Ducs de Bourgogne", poi chiusa nel 1988.
Hain, che divenne anche un editore di testi d'arte, assecondando la sua passione per le sculture in bronzo entrò in contatto con la celebre fonderia Rudier che nel passato aveva realizzato le fusioni per grandi artisti quali Auguste Rodin, Bourdelle, Maillol, Aristide Gustave Miklos. La famiglia Rudier conservava ancora gli stampi originali delle opere di Rodin e Hain si accordò per fare delle nuove copie.

Vi apporrà, scorrettamente, il vecchio sigillo della fonderia di Alexis Rudier. Nel 1990, Hain acquista la fonderia Balland a Luxeuil-les-Bains e amplia la produzione di copie con altri scultori, realizzando calchi da originali. La finitura dei bronzi è generalmente buona, come pure la patina.
Dopo un primo arresto avvenuto nel 1992, Hain riprende l'attività di falsario utilizzando varie fonderie della Francia; nuovamente raggiunto dalla giustizia nel 1996 gli vengono confiscate circa 1100 opere di 98 artisti diversi, tra cui oltre a Rodin compaiono Pierre-Auguste Renoir, Bourdelle, Mène, Aldred Barye e Antoine-Louis Barye, Jean-Baptiste Carpeaux, Camille Claudel, Christophe Fratin, Emmanuel Frémiet, Aristide Maillol, Pierre-Jules Mene e altri.
Secondo la pubblica accusa, Hain ha dimostrato una chiara volontà di commettere una frode: durante il periodo di collaborazione con Georges Rudier, avrebbe rimosso il marchio "Georges" dalle sculture, apponendo il marchio di Alexis Rudier per rendere i pezzi di produzione anteriore, ovvero, originali Rodin.

Per la legge francese, un artista può realizzare dodici copie numerate di ogni scultura in bronzo. Oltre questo numero, anche se realizzata dall'artista in vita, l'opera è legalmente considerata una riproduzione e deve essere contrassegnata con la dicitura "riproduzione". Nel caso l'artista non abbia raggiunto il numero dei dodici esemplari consentiti, i suoi eredi potranno avvalersi del diritto di realizzarli e venderli come originali, anche molto tempo dopo la sua morte.
Sui bronzi realizzati da Hain non compare mai la dicitura, come previsto dalla legge. La famiglia Rudier si costituì parte civile e Hain venne condannato ad alcuni anni di carcere.


La falsificazione, dagli inizi del Novecento, ha coinvolto ogni settore dell'arte, in particolare il campo delle incisioni e litografie moderne. E' stato stimato che circa 100.000 litografie recanti la firma dello spagnolo Dalì sono state vendute in tutto il mondo nel corso degli ultimi 20 anni. Stampe di artisti famosi sono state riprodotte o stampate oltre i quantitativi autorizzati.

 

 

 

Eric Hebborn, disegnatore eccellente, dopo gli studi artistici conseguiti in Gran Bretagna, fonda a Roma la Pannini Gallery, dove opererà per lunghi anni, commerciando opere di Piranesi, Pontormo, Corot, Castiglione, Rembrand, Mantegna, Van Dyck, Ghisi, Tiepolo, Bellini, Rubens, Poussin, Brughel, Stefano Della Bella, Boldini e di molti minori, tutte opere false realizzate di sua mano e vendute per autentiche sia a collezionisti e mercanti, sia attraverso case d'asta.

Nel 1978, Konrad Oberhuber, curatore presso la National Gallery of Art di Washington, esaminando un paio di disegni che aveva acquistato per il museo da un rispettabile commerciante di Londra e rispettivamente attribuiti a Sperandio di Bartolommeo de' Savelli (Mantova, 1431 ca. – Venezia, 1504) e a Francesco del Cossa (Ferrara, 1436 – Bologna, 1478), notò che i due disegni erano stati eseguiti sullo stesso tipo di carta. Sconcertato dalla scoperta, Oberhuber, dopo essersi consultato con colleghi di altri musei, scoprì l'esistenza di un terzo esemplare, di altro autore, eseguito ancora su una carta che presentava le stesse caratteristiche dei due disegni precedenti. Tutte e tre le opere erano state acquisite da Hebborn. Nonostante il sospetto che si trattasse di opere false si fosse trasformato in certezza, nessuno osò denunciare Hebborn, per il fatto che lo scandalo avrebbe coinvolto importanti case d'asta e centinaia di mercanti d'arte. Così Hebborn, tra il 1978 e il 1988 ha continuato a produrre falsi (si sospetta che essi siano almeno 500, tra disegni e oli). Dopo essere stato definitivamente smascherato, nel 1991 Hebborn pubblicherà un’autobiografia Drawn to Trouble, in cui narrerà con dovizia di particolari la sua attività di falsario, vantandosi di quanto facilmente aveva ingannato per decenni esperti d'arte e mercanti e di come molti musei di tutto il mondo ospitassero sue opere attribuite a grandi maestri. Rilascerà anche interviste e verranno realizzati su di lui dei video in cui spiegherà le tecniche di falsificazione. Nel 1995 uscirà The Art Forger's, dove prosegue nell'atteggiamento beffardo e di critica al mondo dell'arte. Dichiarerà: "Ogni artista è un imitatore, soltanto che alcuni artisti imitano la natura, altri imitano l'arte". Nel gennaio 1996, Hebborn, viene ritrovato morto in una strada di Roma, con il cranio fracassato.

 

 

Un storia ancora più recente è quella dell'olandese Robert Driessen, uno dei falsari d'arte di maggior successo al mondo, che ha tratto in inganno gallerie d'arte, case d'asta e musei per decenni. Negli ultimi trenta anni Driessen si è specializzato nel lavoro di Alberto Giacometti, realizzando con i suoi complici delle copie immesse sul mercato per autentiche (all’incirca mille sculture).  Driessen, per evitare di essere arrestato, nel 2005 si trasferirà in Thailandia con la famiglia, dove continua a riprodurre dipinti e sculture su commissione, promuovendo la propria attività con un sito internet. Nel 2009 all’aeroporto di Francoforte la polizia tedesca ha arrestato quattro collaboratori di Driessen mentre cercavano di vendere dei falsi Giacometti; in un deposito a Magonza sono stati rinvenuti 800 bronzi e 170 gessi nello stile dell'artista. Il principale complice di Driessen, venne condannato a 7 anni di reclusione e sanzionato pesantemente. Il settimanale Spiegel, dopo aver intervistato Driessen in Thailandia, ne ha recentemente pubblicato la storia.
 

 

Altro falsario "eccellente" è stato il tedesco Wolfgang Fischer in Beltracchi, che assieme alla moglie e due complici ha prodotto e venduto come opere originali dipinti di Max Ernst, Heinrich Campendonk, Fernand Léger, Kees van Dongen e molti altri. Nel 2011, Beltracchi è stato condannato a sei anni di carcere. Nato nel 1951 a Höxter e cresciuto a Geilenkirchen, suo padre era un restauratore d'arte, Beltracchi già all'età di quattordici anni aveva eseguito la copia di un dipinto di Pablo Picasso. Dopo una formazione presso la scuola d'arte di Aquisgrana, viaggia attraverso l'Europa e soggiorna in Olanda, Spagna, Francia e Marocco, sostentandosi con la produzione di copie di artisti famosi. Nel 1980, per un breve periodo, Fischer ha una galleria d'arte insieme ad un socio; nel 1992 conosce Helene Beltracchi, e dopo il matrimonio, nel 1993, ne assume il cognome. Dopo il suo arresto, Beltracchi ha confessato di aver falsificato centinaia di dipinti di oltre 50 artisti, opere che venivano rese maggiormente credibili dalle storie inventate a regola d'arte sulla provenienza da collezioni private (di parenti degli stessi), quali la "Sammlung Knops", del sarto Johann Wilhelm Knops da Krefeld, nonno di Otto Schulte-Kellinghaus e la "Sammlung Werner Jägers", del nonno di Helene Beltracchi.

 


Tra gli artisti italiani, Amedeo Modigliani è quello che più è stato a contatto con i grandi protagonisti del Cubismo, e nonostante la sua esigua produzione è tra i più falsificati. Arrivato a Parigi nel febbraio 1906, conosce e frequenta Picasso e Braque; incontra Brancusi alla Cité Faulguière a Montparnasse, con lui avrà lunghe discussioni che lo fanno interessare maggiormente alla scultura. Nel 1909, Modigliani invita Brancusi a trascorrere le vacanze estive nella sua casa di Livorno. A seguito di problemi polmonari, Modigliani eviterà di lavorare il marmo bianco per dedicarsi alla pietra arenaria. Le sue Teste, realizzate prevalentemente tra il 1910 e il 1913 (dopo il 1914 abbandonerà la scultura per la pittura), e la serie delle Cariatidi, si ispirano all'antico Egitto, alla Grecia arcaica e alla scultura africana. Le opere scultoree assegnate a Modigliani sono 25, di cui 24 teste femminili, un nudo in piedi (tutte in pietra) e un'opera scolpita in legno. Saranno proprio queste sculture che desteranno l'interesse nazionale, quando nel 1984 viene perpetrata la "beffa di Livorno", con il ritrovamento nell'Arno di tre sculture attribuite al maestro. La leggenda vuole, che l’artista, durante un suo soggiorno in patria, dopo averle scolpite, insoddisfatto dei risultati, le avesse gettate nel fiume in un impeto di rabbia. Le pietre erano state realizzate in realtà da tre ventenni con attrezzi di fortuna, per perpetrare una burla. Gli esperti all’epoca si divisero in due fazioni: quelli che ritenevano si trattasse di Modigliani autentici, capeggiati da Carlo Giulio Argan e  i non convinti, i quali sostenevano si trattasse di falsi Modigliani, tra cui Federico Zeri.

Nel caso Modigliani le esecuzioni erano arcaiche, rudimentali, ma a volte queste opere sono frutto di approfondita conoscenza e grande maestria, risultando più vere dell'originale.

 

Con il trascorrere del tempo la falsificazione di manufatti, mobili e dipinti d'arte è diventato un fenomeno prevalentemente legato alla richiesta di mercato e fa parte di una più generale tendenza a riprodurre o falsificare un qualsivoglia oggetto risulti particolarmente piacevole o di elevato valore economico. L'arte del falso può essere estremamente redditizia e talora la maestria di esecuzione rasenta la perfezione; oggi, con il perfezionarsi delle moderne tecniche di datazione e di analisi, l'identificazione del falso ne ha tratto grande beneficio.


Anche nel mondo dell'arredamento e della decorazione si fa largo impiego di oggetti riprodotti o non del tutto originali, ed è usuale che l'architetto proponga al cliente il dipinto in copia, il mobile in stile, o anche un pezzo più o meno antico, ricostruito o adattato alle necessità dell'abitazione da arredare.

Sul mercato antiquario, numerosissimi sono gli esemplari di copie, riproduzioni e falsi, molti gli oggetti che hanno subito manomissioni, alterazioni o restauri più o meno importanti. Talvolta, nei secoli, le opere hanno subito interventi adattativi o anche migliorativi, che si discostano notevolmente dall'esecuzione originale, senza che peraltro ci si trovi necessariamente di fronte ad un falso. Il concetto di autenticità di un'opera può talvolta accorpare e valorizzare non solamente lo status al momento della creazione, ma la storia stessa dell'oggetto, compresi gli interventi di pulitura, restauri e riparazioni, che possono comunque costituire una documentazione storica. Da qui nasce l’idea della leggibilità dell’intervento, applicata all'opera. Alcuni esemplari sono stati trasformati o arricchiti di decori per accrescerne il valore, senza peraltro che queste integrazioni risultino sospette. Persino nei musei si possono trovare in esposizione opere di una tale qualità da aver tratto in inganno i professionisti del settore: riproduzioni, falsificazioni, attribuzioni e battesimi, che con il trascorrere del tempo però vengono quasi sempre smascherati.

La via dell'antiquariato e del collezionismo è pertanto più insidiosa di quanto ci si possa aspettare, non solamente per il novizio, ma anche per chi di questa passione ne ha fatto una professione — ma forse per queste ragioni è ancor più affascinante!
Ad ogni buon conto, ogni oggetto riprodotto o non del tutto originale, può svolgere una sua funzione pratica o di arredamento e avere un suo valore economico e una propria dignità.
 


Copia, imitazione, falsificazione.
La differenza tra copia, imitazione o falsificazione, non sta tanto nella diversità dei modi e tecniche di produzione, quanto nella intenzionalità di realizzazione.

 

Si possono distinguere:

 

• la produzione di un oggetto a somiglianza o a riproduzione di altro oggetto o stile, quale documentazione dell'oggetto, o per soddisfare esigenze di mercato, dichiarandone esplicitamente la natura;
• la produzione di un oggetto con l'intento di trarre in inganno l'acquirente circa l'epoca, il materiale, l'autore;
• il commercio di un oggetto che in origine non era stato prodotto con l'intenzione di trarre in inganno, spacciandolo per opera autentica, di epoca, di materiale pregiato o prezioso, di marchio, o di autore diverso da quello che realmente è.

Al primo di questi casi corrisponde la copia e l'imitazione, al secondo e terzo caso appartengono le due accezioni fondamentali del falso, che comunque richiedono il riuscire a provare il dolo o la malafede.

 

 

Ci sono essenzialmente tre tipi di falsari:

 

• colui che crea il pezzo fraudolento;

• la persona che trovato un pezzo cerca di farlo passare per qualcosa che non è al fine di aumentarne il valore;

• colui che dopo aver scoperto che un'opera è un falso, lo vende comunque come un originale.

Quando siamo al cospetto di una copia a sostituzione di un originale, legittimato dalla proprietà per preservarne l'autentico, o di un multiplo, oppure quando si tratti di un'interpretazione autonoma dello stile di un dato maestro, non solo siamo in presenza di un'opera legittima, ma sovente questa gode di un certo valore commerciale e di una buona richiesta di mercato.
Un oggetto riprodotto può quindi avere valore di opera d'arte, per la maestria di esecuzione, o anche per essere un omaggio o prosecuzione dello stile di un maestro (anche con interpretazioni personali dell'autore o adeguamenti artistici), senza che questo possa costituire un capo di accusa né essere riprovevole dal punto di vista etico e morale.

Il giudizio di falso, copia e riproduzione di una determinata opera, può coinvolgere persino l'artista. Nel riprodurla a distanza di tempo, firmandola, modificandone o apponendo datazione diversa con l'intenzione di trarre in inganno per mero vantaggio economico, l'artista diviene falsario di se stesso, e assumerà moralmente e giuridicamente tale ruolo.
 

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Su quali elementi basare la propria indagine per comprendere se un oggetto è originale oppure è stato riprodotto o manomesso?


Elementi fondamentali rimangono la coerenza dei materiali, la qualità esecutiva e lo stile, eventuali firme o marchi, la datazione (questi ultimi facilmente imitabili). Molto importanti i documenti a sostegno della provenienza e paternità, le certificazioni ed expertise attendibili (non è raro che anche queste siano delle mistificazioni).
Copie e falsi, inoltre, essendo eseguiti in un certo periodo storico e culturale, accorpano inavvertitamente elementi del loro tempo, ovvero caratteristiche culturali del momento, compresa la moda di quel tempo, e sovente a posteriori riveleranno di appartenere a quel dato periodo storico per avere in se stili o elementi che non gli dovrebbero appartenere.

Le opere d'arte il più delle volte non sono nascite casuali e solitarie, ma il risultato di molti anni di un preciso contesto culturale e di interesse della popolazione, un prodotto per soddisfare esigenze di cultura quindi, capace di fissarne o anticiparne il gusto.

Una imitazione o copia dello stesso oggetto sarà quindi differente a seconda dell'epoca in cui è stata eseguita. Anche quando siano state ottenute con sofisticati procedimenti meccanici, questi elementi possono rivelarsi, consentendo una collocazione temporale diversa da quella dell'originale.

La storia dei falsi accompagna da sempre il mercato dell’arte e anche in questo istante, in tutto il mondo, centinaia di artisti stanno producendo "opere antiche". In questo contesto troviamo più che mai interessante il suggerimento di Friedrich Winkler: «Per affinare la propria capacità di distinguere ciò che è autentico, il migliore esercizio è riconoscere ciò che è falso».

 

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Legislazione e sanzioni


Fu l'Inghilterra nel 1735 a decretare la prima legge sul diritto d'autore, ponendo una maggior attenzione alla falsificazione e distinguendola dall'imitazione come frode legalmente perseguibile. I falsari fino ad allora rischiavano soltanto una condanna morale. Oltre a proteggere l'autore di un'opera dell'ingegno si iniziò anche a tutelare il consumatore-fruitore.

 

In Italia, la legge n. 1062/1971 (Norme penali sulla contraffazione o alterazione di opere d'arte), i cui articoli da 3 a 7 sono stati raccolti nell'art. 127 del testo unico del 1999, riproposti dall'art. 178 del codice dei beni culturali e del paesaggio, fa riferimento a tutte le contraffazioni di opere d'arte, comprese le opere di autori viventi aventi meno di cinquant'anni. La legge punisce tutti coloro che, al fine di trarne profitto, alterino o riproducano un'opera di pittura, scultura o grafica, un oggetto di antichità o di interesse storico o archeologico.
L'applicabilità della suddetta legge richiede si configuri il dolo specifico. Non viene effettuata alcuna distinzione sulla tipologia dell'opera (pittorica, grafica, scultorea, ecc..), alla tecnica o al numero delle copie realizzate e messe in commercio.
Viene posta principalmente l'attenzione su chi introduce nello Stato, detiene per farne commercio o mette in vendita opere contraffatte, alterate o riprodotte spacciandole per autentiche. Tutte queste ipotesi di reato, qualora il soggetto sia consapevole della non autenticità, determinano gli stessi effetti sul piano penale, che si possono configurare con i reati di truffa e ricettazione.
Nel caso di riproduzione e vendita di esemplari di un'opera tratta da calco (scultura) o matrice (grafica) legittimamente posseduti, non si configura una espressa violazione della legge 20/11/1971, n. 1062, e la mancata sottoscrizione delle opere da parte dell'artista, in contrasto con il legittimo possessore dei calchi/matrici deve essere risolta in  sede civile in base alla normativa sulla tutela del diritto d'autore.

 

 

 

Giorgio Catania