GRANDE GUERRA (1915-1918)

 

 

Le origini remote

 

 

 

I. S. Reggio

 

 

 

Chi della grande guerra italiana ricerca le prime remote origini le trova in quel lungo dramma di tenace passione e d'indescrivibili sacrifici, che si riassume in una parola: irredentismo.
La parola è più nuova della cosa ch'essa indica. Fu creata una quarantina d'anni addietro, quando più amara si sentiva in Italia l'umiliazione di Lissa, più ardente urgeva il desiderio di riscossa di Custoza, e nelle terre staccate dalla patria era più febbrile, sotto il peso dell'esasperata persecuzione, l'ansioso palpito della libertà. Ma ben più antico è quel cumulo di angoscie e di battaglie, di passione e di sacrificio, di speranze tante volte deluse e di devozione sempre inalterata, che la magica parola rievoca con una potenza di sintesi che nessun'altra parola saprebbe uguagliare. Questa parola, entrata ormai per sempre nella storia d'Italia, è stata usata in questo libro nel suo più largo significato. Se per irredentismo, — disse un giorno alla Camera italiana il triestino Salvatore Barzilai, — s'intende la solidarietà continua ed attiva con quei popoli che possono essere avulsi dal nesso politico dello Stato, ma non sono e non possono esserlo dalla religione delle nostre tradizioni e dei nostri affetti; se per irredentismo s'intende l'obbligo, la necessità di un appoggio costante ed attivo a coloro che si vorrebbero cancellare dai registri dello stato civile d'Europa, dai quadri della nazione italiana, allora si può bene affermare che questo programma è o dovrebbe essere il programma di tutto il paese. Questa parola fa rivivere il secolare martirio di terre nobilissime, che contro ogni ostile evento della storia, contro ogni rappresaglia dell'implacabile oppressore, tennero viva la fiamma ardente della loro italianità.
Questa parola evoca pure il cammino lento, difficile, contrastato, percorso in Italia dalla coscienza pubblica, prima che la causa dei fratelli soggetti allo straniero fosse finalmente sentita da tutti come un dovere della ricostituita nazione. Queste due forze operanti ciascuna per conto proprio — Tuna sempre costante, fidente, nutrita d'abnegazione e d'entusiasmo, l'altra dapprima incerta, esitante, ma poi gradatamente cresciuta d'intensità e di diffusione — finirono per fondersi completamente : e così sorse quell'impeto di volontà efficiente che condusse l'Italia alla sua grande guerra. Altre cause indubbiamente concorsero a questo massimo avvenimento della nuova storia d'Italia. Le molteplici ripercussioni della guerra mondiale, il mutato orientamento, della politica europea, la prevedibile trasformazione della carta geografica del mondo, non potevano evidentemente lasciare indifferente l'Italia : e forse l'avrebbero comunque spinta a partecipare al grande conflitto. Ma il tempo e il modo della partecipazione, gli obbiettivi che l'Italia si prefisse scendendo in campo, furono in primo luogo determinati dal problema dell'irredentismo, che si presentava finalmente maturo, improrogabile, alla coscienza della nazione. Roma antica aveva riconosciuto nelle Alpi la guarentigia della propria incolumità. A ventìcinque secoli di distanza, la terza Italia doveva raccogliere quell'ammaestramento e rinnovare l'avita difesa. Ma all'infuori delle ragioni militari, parlava alto il legame del comune pensiero, del linguaggio comune, che stringeva quei rami divelti al gran tronco italico : tutto un mondo d'affetti possenti e di purissimi ideali rinasceva e rifioriva per virtù d'un esempio senza pari di fedeltà alla propria storia, di fede nei propri destini. Di secolo in secolo, gli abitatori delle terre ancora irredente avevano tramandato ai loro figli il retaggio della indistruttibile latinità. Dagli albori del Medio Evo, quando al plàcito del Risano era stato fatto il gran rifiuto di piegarsi all'idioma straniero, l'anima di quelle popolazioni era restata uguale. E quando i fati d'Italia ebbero un primo compimento, in attesa delle rivendicazioni supreme, da Trieste e da Gorizia, da Trento e da Fiume, dall'Istria e dalla Dalmazia erano accorsi i volontari a mescolare il loro sangue al sangue dei fratelli sparso per l'indipendenza italiana.
Sui campi di battaglia e sui patiboli austriaci, gli irredenti avevano compiuto il loro dovere. Quelli che restarono nelle loro terre subirono senza piegare le persecuzioni; quelli che emigrarono nel Regno diedero alla terza Italia deputati e senatori, uomini di penna e di scienza : ed ebbero il conforto altissimo d'aver dato alla patria, nell'ora delle grandi decisioni, il suo ministro della guerra, come le avevano dato con Niccolò Tommaseo un maestro del nostro idioma e con Giovanni Prati un ispirato cantore della nostra libertà. Le terre illustrate dagli immortali monumenti di Roma e di Venezia; le antiche vie ove furono impresse le orme delle vittoriose legioni; i mari solcati un giorno dalle trionfanti galee di San Marco: tutto un mondo segnato col superbo suggello dell'italianità risorse davanti al limitare della nuova storia.
E la famiglia italica d'oltre confine, il popolo dalle pazienti attese e dai leonini ruggiti, fu scosso da un palpito supremo mentre la voce del destino diceva : è giunta la tua ora....

 

 

 

 

 

I
 

 

L'USURPAZIONE AUSTRIACA
 

 

 

Il proclama del Commissario imperiale — La relazione al governo di Parigi — Un dispaccio dell'incaricato d'affari sardo — La confutazione veneta — Protesta di Venezia ai governi europei — Le città di terraferma — La richiesta di Verona — Manifestazione plebiscitaria — Il popolo istriano contro i fautori dell'Austria — Un rapporto segreto — Il memoriale d'un ministro VENETO — Il deputato di Milano insorge — Il destino si compie.
 

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L'inizio del dominio austriaco in Istria è un caratteristico esempio di quello spirito d'usurpazione che fu sempre una delle particolarità più spiccate della politica dell'Austria. Importa stabilire quei fatti nella loro verità storica per dimostrare la nullità dei diritti che l'Austria vanta sull'opposta riva adriatica. Nel giugno del  1797 le truppe austriache entravano nell'Istria e l'occupavano col solito pretesto che in ogni tempo fu allegato per giustificar le invasioni: il ristabilimento dell'ordine. 
Il Conte Raimondo di Thurn Hoffer e Valsassina, Commissario imperiale, emanava a Capodistria questo proclama :
« Avendo il funesto sconvolgimento, che uno spirito di disorganizzazione totale produce in questi momenti nelle diverse parti dello Stato veneto, giustamente eccitata l'attenzione di Sua Maestà Imperiale Reale Apostolica, la suddetta Maestà Sua, sollecita di assicurare a' suoi sudditi la tranquillità, col mantenere il buon ordine nelle vicine Provincie, avrebbe creduto mancare agli impulsi delle paterne sue premure, se differisse più lungo tempo a prendere per sì importante oggetto le misure le più opportune nelle circostanze attuali; quindi per preservare la Provincia d'Istria da' tristi effetti della totale sovversione, che ha già fatti tanti progressi nel resto degli Stati veneti, come pure per conservarvi gli antichi suoi incontestabili diritti, non ha creduto potersi dispensare di farvi avanzare le sue truppe. Gli abitanti di questa provincia ravviseranno certamente nell'ingresso delle truppe austriache un motivo di riconoscenza a Sua Maestà Imperiale Reale Apostolica, alla di cui vigilanza divengono debitori della continuazione di loro tranquillità nell'uso inviolato delle loro proprietà; quindi spera Sua Maestà, che ogni abitante si farà un dovere di cooperare, per quanto gli spetta, al mantenimento del buon ordine, con che riceverà ciascheduno dalla parte delle truppe imperiali la protezione la più efficace nei suoi beni e nella sua persona; mentre incorrerebbe irremissibilmente i più severi castighi chiunque osasse in qualunque siasi modo opporsi alle misure benefiche di detta Maestà Sua. »
Il dado era tratto : e l'Austria aveva così fondato i suoi cosidetti diritti storici.
Gli allarmi e le proteste si levarono da tutte le parti. Il rappresentante francese a Venezia, Lallement, inviò al governo di Parigi un diffuso rapporto sull'invasione austriaca, rilevandone tutta la gravità. L'incaricato d'affari del Re di Sardegna mandò a Torino un dispaccio, in cui era detto che gli austriaci entrati nell'Istria erano seimila e che si parlava di una prossima invasione della Dalmazia veneta. « È certissimo — soggiungeva il dispaccio — che Venezia non lascerà cosa alcuna d'intentato per impegnar la Francia a secondare i suoi sforzi per il ricupero di tali Provincie, le quali le sono di grandissimo vantaggio, per l'abbondanza del vino e dell'oglio, e, quel che più importa, per il legname da costruzione, che le si rende sì necessario. La Francia senza dubbio non sarà restia a prestarle ogni assistenza e soccorso, tanto più che questo ridonda in vantaggio comune, sìper i comuni interessi, ora che Venezia è democratizzata, sì per i mezzi che si tolgono d'ingrandimento al naturale nemico. Siccome quelle provincie danno sudditi assai bellicosi, marinari li più esperti, e porti eccellenti e opportuni, con cui potrebbe Casa d'Austria, nello spazio di pochi anni, metter in piede una sufficiente marina e vieppiù aumentandola dominar nell'Adriatico, influir moltissimo nel Levante e ivi pregiudicar d'assai il commercio francese, quindi è che si spera molto, che fra breve ritorneranno le suddette provincie allo Stato Veneto, se per altro i Francesi non deluderanno la lusinga, che in essi si ha riposta, la quale fra pochi giorni si chiarirà. » Fin da allora, come si vede, traspariva quello che poi fu sempre uno dei precipui obbiettivi dell'Austria: il dominio dell'Adriatico.
 

A Venezia l'impressione fu profonda: e subito fu pubblicata una diffusa confutazione del proclama austriaco.
In quel documento erano questi passi :
« Quel supposto sconvolgimento, prodotto nelle diverse parti dello Stato Veneto (e perchè non in tutto lo Stato, reso intieramente libero almen quanto all'Italia prima delli 10 di giugno?), scuote l'animo del pietoso despota del Danubio (un tiranno può egli esser pietoso, se non per finzione?), eccita la di lui attenzione (è egli dunque l'ispettore del globo?) giacché si dice sollecito di assicurare alli suoi sudditi la tranquillità col mantener il buon ordine nelle vicine provincie. Queste
sono le paterne di lui premure, questo è l'importante oggetto, che non gli dà luogo a differire di prender le misure opportune nelle circostanze attuali. « Ma qual diritto ha il despota primo della Germania di mischiarsi nella forma del veneto governo, o di qualunque governo costituito o da costituirsi nelle provincie a lui vicine? Qual diritto di assicurare ai propri sudditi la tranquillità con dispendio della tranquillità altrui? Cos'è che ha eccitato la di lui attenzione, che ha scosso il di lui animo? Forse qualche tumulto ai confini, il timore di qualche vicina guerra, di qualche irruzione?
« Niente di tutto questo: egli era avvicinato dai popoli più umani e più tranquilli; la libertà sola, la santa libertà rinascente su queste contrade lo ha allarmato, scosso, agitato, convulso, e lo ha portato alle più violente risoluzioni. È dunque tanto terribile agli occhi tuoi, o tiranno, questa preziosa libertà? Ma qual diritto hai tu di turbarla, di arrestarla entro un confine, di assediarla?dov'è mai, ch'essa turbi la tranquillità, perchè tu abbi a temere che questa sia alterata nelle Provincie che ancora ti soffrono? Dunque noi pure, uomini liberi, potremmo sotto pretesto di mantener il buon ordine assediare in casa sua il dispotismo, o anche andare a tormentarlo per assicurare la tranquillità? Dunque è la libertà che alla tranquillità si oppone? Il veggo, o tiranno, questa ti fa tremare, questa ti fa impallidire sul trono; e la tranquillità tua diviene per te il tipo e la misura della pubblica.
«  Ma perchè questo Imperatore sì sollecito trattò egli di pace co' Francesi, che hanno radicato la libertà sopra una linea immensa di confine coi di lui Stati? Come mai è la sola libertà Veneta la sovvertitrice dell'ordine, la nemica della tranquillità, l'importante oggetto delle sue cure? Que' poveri popoli rigenerati ai di lui confini hanno forse brigato, hanno forse attentato ai di luì diritti, o all'ordine politico delle vicine Provincie? Qual bisogno adunque di prender delle misure? Qual differenza dalle circostanze passate alle presenti per quanto sia confinazione, relazioni sociali, natura di situazione, e cose simili? Se tutti i despoti, che avvicinano qualche governo libero, avessero ad occuparsi di frenare, di arrestare entro i suoi termini la libertà, vi sarebbe una perpetua guerra tra i governi liberi, ed i dispotici. Ma l'Austria da tempo immemorabile è la più timida, è la più angosciosa d'ogn'altra monarchia in faccia alla Libertà. Sarebbe mai in oggi un presentimento segreto d'esser la prima a soccombere?
« Quindi per preservare la Provincia d' Istria da tristi effetti della totale sovversione (replicata), che ha già fatti tanti progressi (e perchè non ultimate le sue incombenze?) nel resto degli Stati veneti, come pure per conservarvi gli antichi suoi incontestabili diritti, non ha creduto potersi dispensare di farvi avanzare le sue truppe.

Tre velenose espressioni degne di rimarco e di censura sono a vedersi in questa breve enunciativa. Per preservare la provincia d'Istria: e perchè gettar gli occhi sull'Istria? forse perchè è il monarca dell'Istro? Ma gli eruditi avrebbergli insegnato, che il Danubio, conosciuto fin da' tempi degli argonauti, non aprì mai la via all'Ionio, e che l'Istria fu detta da un fiume nazionale, chiamato Istro esso pure. Non le provincie Venete più intersecate colle sue, non le più vicine alla sede del suo impero, non le più ricche, o popolose, hanno eccitato le paterne sue premure (ed un despota osa chiamarsi col nome di padre?), ma l'Istria sola, la montuosa Istria, l'Istria cui bagna il piede e per lungo tratto abbraccia e cinge il Mar Adriatico.
« Diffidate, o Veneti liberi, di queste cure paterne; diffidate di queste sollecitudini per un affare, che in fondo è tutto d'opinione. E qual diritto o ragione d'invadere piuttosto l'Istria, che qualunque altro territorio? « Ne assegnano forse una ragione falsissima le parole che seguono immediatamente : per conservarvi gli antichi suoi incontestabili diritti. Non è dunque il solo zelo di arrestare il torrente dell'opinione, non è la sola esclusione della libertà, che muovono il despota dell'Austria a questa occupazione; entrano in campo le sognate di lui pretese, quelle pretese, che non trovò bene per il corso di tanti anni di far valere, o anche sol di produrre. Vorrebbe forse richiamare i rancidi titoli dei conti dell'Istria, per cui potrebbe la mania dispotica estendersi ad altri paesi fortunatamente liberi? Vorrebbe richiamare i già spenti titoli, derivanti dalle usurpazioni dei Patriarchi d'Aquileja? Vorrebbe egli impugnare in oggi le conquiste dei Veneti, che rispettò sì lungo tempo? È noto, che nel secolo passato uscì in Germania un grosso volume in-4° : Dei diritti dell'Imperatore sull'Istria.

« Non per questo cercò mai di farli rivìvere, non per questo suppose mai l'Austria un sol momento, che quei diritti fossero incontestabili. La confutazione di quel volume, fondato tutto sulla base insussistente dei diritti trasfusi dai Patriarchi d'Aquileja, che si potrebbero impugnare nel loro principio, vai a dire nell'essenza e nella loro modificazione, vai a dire nel trapasso, mostrando il primo illegittimo, perchè appoggiato a carte e diplomi falsi decisamente; il secondo ingiusto, perchè appoggiato alla sola pretestata usurpazione; la confutazione, dissi, di quel volume, ove a torto e diritto sono accozzati bestialmente migliaia di passi di pubblicisti, che in oggi non contano un zero, non è né di questo tempo, né molto meno di questo scritto. Basti solo l'aver accennato, ch'ei poggia sul falso, e che si confuterà pienamente, e ad abbondanza, quando si
propongano altri modi di pretesa, che quelli dell'armi. » Più oltre la confutazione diceva :
« L'Istria è di una incalcolabile importanza per l'interesse, per la grandezza, per la gloria della Veneta Nazione. Ricca di utili prodotti, ed atta a fruttificare maggiormente con una migliorata coltivazione, essa offre un genere necessario alla consumazione nelle sue saline, un elemento necessario alla marina ne' suoi legnami di costruzione, un sostegno al commercio ed alla narvigazione ne' suoi porti comodissimi, e più ancora una copia di ottimi marinai. Quanti positivi vantaggi essa offre per questo lato, altrettanti principi di scapito e di rovina essa darebbe a travedere nel dubbio che vi si stabilisse il despota invasore.
« Privazione di prodotti essenziali, privazione di porti, distruzion del commercio, abolizione di forza armata sul mare, diminuzione rilevantissima di forze interne, impossibilità di mantenere lontani stabilimenti, prospettiva di nuove perdite : queste sarebber le conseguenze luttuosissime, e non sarebbero ancora che una parte di quanto avrebbe in quel caso a temersi. »
Il documento chiudeva con queste fiere parole, rivolte a tutti i veneti :
« Soffrirete voi che i vostri fratelli dell'Istria, che aveano già cominciato a fraternizzare con voi, porgano la mano ad infami catene? Soffrirete ch'essi cedano al Tiranno, o se alcun di loro l'avesse anche invitato, non ne giurerete vendetta? Questa è la pietra di paragone della vostra energia, del vostro coraggio, del vostro spirito patriottico. Unitevi in buon numero ai vostri liberatori; andate a scacciar 1' invasore; allontanatelo per sempre dai vostri confini. Vegga egli nel contegno vostro bellicoso, che mal si attenta ai diritti di un Popolo, che ha riacquistato l'indipendenza; veggano i Francesi, che voi non siete punto indegni della libertà, che vi hanno sì generosamente donata. »
L'incaricato d'affari sardo tornò alla carica; in un altro dispaccio inviato al suo governo poneva in rilievo gli effetti che la a rovinosa perdita dell'Istria e di una parte della Dalmazia » avevano per Venezia. Poi proseguiva in questi termini :
« La Provincia dell'Istria ha parecchi porti di rimarco, e benché la sua popolazione sia limitata a 110 mila uomini circa, li quattro quinti dei marinai della Veneta marina, tanto pubblica che privata, sono Istriani; di più essa è generosamente abbondante di legnami da costruzione; i suoi prodotti principali sono sale, vino, oglio, castrati e anco legne da fuoco; generi che concorrevano al bisogno della Dominante. La quale non sarà mai vero, che altrove riparar possa principalmente ai due essenzialissimi oggetti, che viene a perdere per il distacco dell'Istria, quelli cioè del legname da costruzione e dei marinari. Massima è dunque la perdita dell'Istria per li Veneziani, all'incontro di beneficio incalcolabile è la medesima in tutti i rapporti per Casa d'Austria, che ha genio, forza, e mezzi di trarne il più gran profìtto. Si sta ora con ansietà aspettando dal tempo le occasioni per poter prendere le determinazioni opportune, tanto contro l' Istria, che contro la Dalmazia...
« All'annunzio che Bonaparte ebbe dell'invasione dell'Istria, fatta dagli Austriaci, e dell'imminente della Dalmazia, chiamò a se due deputati da Udine, i quali sono tosto partiti e saranno a quest'ora di già a Milano.
Se ne ignora il fine. Ha consigliato inoltre che questa Municipalità formi un manifesto, in cui protesti contro l'usurpazione Austriaca, lo comunichi a tutte le Corti, e principalmente alla Porta, appresso la quale sarà vivamente appoggiato da quel Ministro Francese cittadino Dubayet, osservandole il gravissimo danno che a lei ne viene, e di spedire pure persona a Parigi per rappresentare tai fatti al Direttorio, e maggiormente interessarlo a favore dei Veneziani, e proporgli quindi l'alleanza.
« Tutto è già disposto. Il generale di brigata cittadino Rocco Sanfermo, già Ministro Veneto presso la R. nostra Corte, fu eletto per Parigi ed è partito ieri l'altro per rendersi alla sua destinazione. Tali suggerimenti del Generale in Capo smentiscono pienamente la voce corsa, che la Corte Imperiale, per la rinuncia fatta della Lombardia, avrebbe avuto in compenso l'Istria e la Dalmazia Veneta, come se le era promesso nei preliminari di Leoben in un articolo secreto... »

 


Il Governo provvisorio di Venezia mandò a tutti i Governi d'Europa questa protesta :
« Mentre il Governo Provvisorio di Venezia, fedele ai sacri doveri che, nell'intraprendere la confidatagli amministrazione, ha giurati in faccia all'Europa, rende comune ai popoli tutti che fanno parte integrale della Veneta nazione, i dolci effettì di quella rigenerazione politica, che uno spontaneo voto di chi sosteneva l'antico governo ha solennemente pronunziato, e fu già comunicato ai ministri delle potenze amiche residenti in Venezia; mentre a questo solo oggetto rivolte le cure sue e i pensieri, viver doveva tranquillo che la sua moderata condotta, le mire sue di coltivare la buona amicizia e vigilanza coi limitrofi, avesse a confermare li medesimi in quei sentimenti di franca corrispondenza, che da epoca rimota, ed a fronte di aspre vicissitudini, ha così felicemente resa costante l'armonia tra le rispettive nazioni, fu ben vivo il suo dolore, e somma la sorpresa, nel conoscere che le provincie dell'Istria e della Dalmazia sieno state repentinamente invase ed occupate dalle armi austriache in tempo che spoglie di truppe, e tranquille riposando all'ombra della buona fede e dei trattati, stavano assai vicino a cogliere il frutto delle ultime disposizioni prese tra il passato ed il nuovo governo in Venezia, alla quale città, fino da quei tempi nei quali la Costituzione Veneta non reggevasi che con principii e forme democratiche, vivevano esse Provincie unite.

 


« Un atto così inatteso per parte di una Potenza amica, e verificato contemporaneamente alla pubblicazione del manifesto, annunziante la necessità di farvi entrare le sue truppe, onde assicurare ai propri sudditi la tranquillità col mantenere il buon ordine nelle vicine Provincie, preservare l'Istria dai tristi effetti di asserita totale sovversione, e conservarvi gli antichi suoi diritti, non può concedere che un popolo libero, ne il Governo Provvisorio che lo rappresenta, si mantengano più oltre in silenzio.

 


« Incontendibile il veneto diritto sui luoghi occupati; il diritto, che la legittimità di ben antico possesso, confuso or mai nella caligine dei tempi più rimoti, riconosciuto e sancito da molteplici trattati, ha consacrato in faccia l'Europa tutta, se mal fondato lasciò apparire l'appoggio che ama di darsi alle armi di Cesare per conservare a se stesso ciò che ad altri appartiene, non è niente meno inattendibile la supposizione che si vorrebbe far valere, che possano per la nuova forma di governo arrivare giammai in sua colpa cose turbative della quiete dei confinanti.
« La Veneta Nazione non si scosterà giammai da quello spirito di equità e di giustizia, che forma la base di un Democratico Governo; ella non pensa, né pretende, che i popoli ad essa limitrofi sieguano il suo esempio; vuole consolidare la propria felicità, a questo solo aspira.
« Ma quanto temperate sieno le sue direzioni, le sue mire, ella non può guardare con indifferenza che si tenti di smembrare dalla sua unione porzione dei suoi legittimi fratelli, volonterosamente poi anche accorsi sin dai primi momenti a partecipare del comun bene; né le nazioni, con le quali tiene comune la causa della libertà, potranno tranquillamente vedere impedita una popolazione di riprendere quei diritti che, restituitigli dal governo cui apparteneva, la natura e le leggi sociali imprescrittibilmente gli accordano, e spettatrici oziose attendere, che, tolti i mezzi della sussistenza al veneto arsenale e alla sua marina, sia trasfusa ad una formidabile potenza la principal forza d'Italia, la tutela della sua navigazione, del commercio, dei mari del Levante.
« Dovute queste dichiarazioni in faccia all'Europa, il Governo Provvisorio di Venezia, mentre ampiamente protesta contro la occupazione fatta dalle truppe austriache dei luoghi dell'Istria e della Dalmazia, e contra quegli atti tutti, che per parte dei comandanti le truppe stesse si fossero tentati, o venir lo potessero in offesa degl'interessi e dei sacri diritti della veneta nazione, non può a meno di coltivare una piena fiducia che l'equità dell'imperial Maestà Sua, verso la qual non si è mai dipartito dall'esercitar quel maggior riguardo che le professa, assicurata com'è dalle leali venete intenzioni, vorrà metter un giusto limite al zelo de' suoi generali, e facendo rientrare le sue truppe nelle proprie Provincie, dar anche nel caso di cui si tratta, una prova luminosa della sua rettitudine, e far conoscere che, guidate le sue direzioni dalla giustizia, ella non sa mancare a sé stessa, né a quella buona armonia che la Veneta Nazione vivamente desidera sia durabile e costante.  »
 

Giovanni  Prati

 


La municipalità di Venezia invitò poi le città della terraferma a concorrere alle proteste contro la occupazione dell'Istria e della Dalmazia, dichiarandola fatale alla libertà di tutti i popoli d'Italia.
In quell'invito era detto :
« L'Istria e la Dalmazia sono perdute per voi, e per noi. Queste Provincie sarebbero restate unite alla nazione, la loro separazione é fatale, principalmente alla nostra Repubblica, ma generalmente a tutta l'Italia. Non abbandoniamo i grandi oggetti della ricupera e dell'unione.
Mandate anche voi deputati a Milano, a cooperare col nostro ministro plenipotenziario al grande oggetto. « Voi vedete la ingenuità della nostra procedura, necessaria in questa situazione provvisoria di cose. La ratifica del trattato che si attende dalla Repubblica francese toglierà ogni ostacolo alla vostra riunione. Se anche prima avesse potuto aver luogo un'amministrazione centrale di tutta la nazione, questa avrebbe assunta la rappresentazione nazionale, avremmo deposto nelle sue mani il governo provvisorio, questi avrebbe eletto il ministro della Repubblica francese, il ministro al Congresso, i ministri alle Corti, per sostenere la nostra comune esistenza e i nostri comuni diritti. Se ciò potesse farsi anche in presente, siamo prontissimi a tutto questo; ma se ciò non può farsi, l'urgenza delle circostanze è imperiosa. « Mandate i vostri deputati a Milano, cooperate al ben comune a voi, a noi, a tutt'i popoli liberi dell'Italia. »
La Municipalità di Verona, a sua volta, chiese l'unione diretta dell'Istria e della Dalmazia alla Repubblica Cisalpina.
E l'incaricato d'affari del Re di Sardegna a Venezia scriveva ancora al suo governo.
« Questa Municipalità provvisoria si è, come dissi, decisa d'unirsi con qualunque popolo libero dell'Italia in una sola Repubblica Democratica, una e indivisibile, con protesta di voler o la libertà democratica o la morte, e non avere pretesa alcuna di dominazione, di primazia o di centralità. Essa non aspira che ad essere col suo particolar territorio, che è il Dogado, un Dipartimento della Repubblica eguale agli altri, pronta si mostra di riconoscere quella sede centrale che verrà eletta dal Governo, ed invita tutti i popoli liberi dell'Italia a concorrere al ricupero dell'Istria e della Dalmazia, perdita fatale alla libertà italiana, e alla marina e al commercio non solo di questa città, ma di tutta la Nazione. Questa solenne determinazione è stata pubblicata colla stampa, dopo che il cittadino Villetard, partito da qui domenica scorsa, ne ha portato l'originale al Generalissimo Bonaparte, e se n'è spedito un esemplare alle Municipalità tutte delle città e territorii della Veneta Nazione.
« Per dare poi maggiore solennità al suo espresso atto, ha ordinato la Municipalità che alcuni cittadini eletti andassero di casa in casa a ricercare a ciaschedun capo di famiglia se concorreva liberamente a prestare la sua approvazione al portato dal sumenzionato proclama, ritirando le soscrizioni dei propensi, che sono nella più gran parte di questi cittadini. I fogli sottoscritti furono consegnati al Comitato di salute pubblica, esattamente trascritti ed uniti in un libro, autenticato da quattro notari pubblici, e spedito con un Municipale al Generale in Capo; indi sarà desso presentato al Direttorio Esecutivo, e comunicato in copia a qualunque popolo libero d'Italia ».
Intanto in Istria e Dalmazia il malcontento si manifestava vivissimo. Il popolo insorgeva contro certi nobili, sospetti di simpatie per l'Austria. Un rapporto segreto, conservato all'Archivio di Stato di Venezia, dice :
« Rapporto all'Istria consta da varie deposizioni giurate che quasi tutti li popoli di quelle Città hanno dimostrato tutto il genio per la nuova forma di governo adottato in Venezia, e volevano democratizzarsi; ma che li nobili, particolarmente di Capodistria, Parenzo e Pola, possano aver avuto qualche intelligenza cogli austriaci per un contrario effetto.
« Su tal particolare viene indiziato per sospetto il nobile Carli di Capodistria, avente delle relazioni di parentela con un altro Carli stanziante in Trieste. E così pure si pensa delli due nobili di Parenzo per essersi in tali circostanze portati in Trieste ove contano delle relazioni materne, tanto più che ritornati al loro paese eccitarono pubblicamente tutti quelli che portavano coccarde tricolorate, a dimetterle...

« Pochi sconcerti sono accaduti in quella provincia ove le popolazioni, tergiversate prima dalla nobiltà, hanno dovuto poi cedere alla forza delle Armi Imperiali che improvvisamente invasero l'Istria, il Quarnaro e la Dalmazia.
« Nella terra d'Isola fu dal Popolo interdetto quell'ex Rappresentante per essersi dimostrato di genio Austriaco. Ed in alcuni altri luoghi si sono solamente verificate delle semplici tumultuazioni popolari.
« Anche nelle Isole del Quarnaro si rileva che a un dipresso li medesimi sentimenti vi fossero e le stesse diverse tendenze, a causa delle quali certo Antonio Bernardin Petris, nobile di Cherso, restò gravemente ferito dal popolo nel giorno dell'arrivo a quella parte dell'armata austriaca cui non hanno voluto assoggettarsi se prima non mandavano espressamente (come fecero) una barca a Zara, per dipendere dall'autorità di quell'ex Proconsole Querini, dal quale si dice ebbero in risposta che nulla potendo far loro, conveniva rassegnarsi al destino; mandato però avendo una pubblica lettera a quell'ex Rappresentante, di cui s'ignora il nome. »
Il Botta, nella sua raccolta della corrispondenza di Bonaparte col governo francese, ha questa nota dei plenipotenziari francesi agli austriaci :
« Se i sottoscritti Plenipotenziari della Repubblica Francese sono stati sorpresi di veder le truppe di S. M. Imperiale e Reale impadronirsi — contro il tenore de' preliminari di Leoben e prima della conchiusione definitiva — dell'Istria e della Dalmazia, essi non possono dissimulare che la loro sorpresa è stata estrema quando sono stati informati che queste stesse truppe hanno preso possesso della Repubblica di Ragusi. »
La sorte di quelle terre volgeva incerta : e l'incaricato d'affari sardo scriveva a Torino :
« ...Sempre maggior fondamento parmi d'avere per confermarmi nell'idea che la Francia sia per unire ai suoi Dipartimenti anco quello del Levante, di cui deve fare il più gran conto, sia che resti, o no, all'Imperatore l'Istria, la Dalmazia e l'Albania Venete; al qual proposito ho l'onore d'osservarle che cresce la lusinga che dette Provincie non resteranno tutte sotto il Dominio Austriaco, quantunque si sappia da buona fonte che il generale Ruccavina sia entrato colla sua truppa a Cattaro, e che la Nazione Ungarese sia al possibile interessata a mantenere a Casa d'Austria la Dalmazia Veneta, mercè i di cui porti può certamente 1'Ungheria compromettersi la maggior floridezza...
« Li Veneziani sperano che la Spagna e la Porta protesteranno contro la invasione dell'Imperatore. »

Il generale Sanfermo, ministro di Venezia, inviò al Ministro delle Relazioni Esteriori della Repubblica francese una memoria in cui trattava a fondo la questione, allargandola a tutte le ingerenze austriache in Italia.
« Per la sua gloria non meno che per il suo vantaggio — era scritto nella memoria — conviene alla Francia preservare questa bella parte d'Europa nella sua integrità; impedire per sempre che la Casa d'Austria possa penetrarvi, e valersi delle sue ricchezze per sostenere le guerre, che da epoche lontane hanno turbata la tranquillità del continente; né l'uno ne l'altro di questi due grandi oggetti potrebbonsi sperare senza l'unione. Due o tre Repubbliche, che si pensasse giammai di conformare ne' Paesi rigenerati, un sistema federativo che si cercasse d'introdurre, lo prova la storia, lo dimostra il genio nazionale, non valerebbero che a rinnovare gli antichi ben tristi esempi di fatale rivalità, da cui gli aristocrati non lascerebbero al certo di trarne partito. Di più: quale speranza sorger mai potrebbe, che Provincie isolate, necessariamente poco fra esse d'accordo, e forse dai nemici della libertà ridotte rispettivamente nemiche, resister potessero agli attacchi improvvisi delle Potenze che la circondano e tengono sede nello stesso suo seno?
« Messa l'Italia all'ombra dell'influenza della nazione francese, sarebbe indispensabile, qualora disunita fosse nella porzione rigenerata, che v'intrattenesse numerose armate per sua difesa e per comprimere l'ambizione ed i faziosi; o che abbandonandola della sua benefica assistenza, restasse in preda all'anarchia ed ai rischi evidenti di una invasione straniera che l'asservirebbe di nuovo...
« Egli è infinitamente importante che l'Istria, che la Dalmazia, così repentinamente, senza verun diritto o pretesto occupate da Cesare, restino congiunte agli Stati liberi d'Italia. Su questo gravissimo argomento, sul quale non fu fino ad ora concesso che di fare una semplice protesta e prendere delle assai deboli misure, egli è dovere di mio ufficio. Cittadino Ministro, di sottoporre ai vostri saggi riflessi alcune osservazioni le quali mentre interessano la mia patria e gli altri popoli cui è suo voto di essere unita, non lasciano di meritare per parte vostra la più matura considerazione. Il vantaggio della Nazione Francese, gli suoi oggetti di commercio, li politici stessi imperiosamente domandano la vostra attenzione. L'Istria e la Dalmazia, comprese le terre dell'Albania appartenenti ai veneziani, può contarsi ch'estendano il lungo loro littorale per oltre 170 Leghe sopra 18 circa di larghezza, ed in molti luoghi assai più ancora. La popolazione dell'Istria ammonterà ad oltre 150.000 anime, e ad altre 300.000 quella della Dalmazia e terre dell'Albania, ben capaci di sostenere due terzi di più.
« Il suolo è felice, abbonda di miniere, di pasture, di fiumi, di boschi, di grani e di oglio; la pesca delle sardelle e de' sgombri è già conosciuta; le sue genti sono armigere ed ottimi marinai. L'Istria è parimenti felice per eguali prodotti, e preziosa poi per i molteplici suoi porti, e per gli abbondanti legnami da costruzione, singolarmente stortami, i soli può dirsi dell'Italia, e de' quali veniva fornito l'arsenale di Venezia. Li suoi abitanti sono eglino pure eccellenti marinai. Possessore qualor fosse Cesare di queste due provincie, egli vedrebbe tutte di un colpo soddisfatte le mire che il suo Gabinetto ha da secoli inutilmente coltivate per condursi a figurare sui mari.

« I tentativi ad Ostenda, quelli a Fiume, a Trieste, gli sforzi che Giuseppe II ha fatti per ottenere una picciola porzione soltanto, un porto nell'Istria, offrendo in cambio ai Veneti i suoi Stati del Friuli, lo provano abbastanza. Le perdite, ch'egli soffrirà nel Belgio e nell'Alemagna, troverebbero un ben abbondante compenso nel elevarsi tutto d'un colpo a grado di Potenza Marittima. L'Istria gli offrirebbe porti eccellenti e capaci delle più gran flotte, boschi preziosi per costruire de' vascelli; e dessa e la Dalmazia e l'isole adiacenti, una copia abbondante di marinai. Quindi padrone del Golfo, tutta l'Albania e le terre ottomane che bagnano l'Adriatico sino all'imboccatura del Canale di Corfù, sarebbero precarie nel loro commercio e nella loro esistenza.
Ragusi diverrebbe preda necessaria della Casa d'Austria.
« Agevolate, com'ella necessariamente non tarderebbe di procurarlo, le terrestri comunicazioni cogli Stati suoi ereditari, delle quali ne ha tracciate le strade, protetto il mare da una squadra, il commercio dell'Italia sarebbe distrutto, e rese inutili ad essa l'imboccature de' suoi fiumi nell'Adriatico. Sarebbero gli Austriaci sostituiti nel commercio che attualmente fanno gl'Italiani nel Levante, e quello stesso francese correrebbe rischio di molto. Sono noti già gli avvantaggi che il trattato di Sistow e quello d'Jassi accordano alla Casa d'Austria nel Mar Nero.
« Li prodotti dell'Ungheria vi troverebbero uno smercio costante: li suoi pesci salati, li cuoj fra gli altri. Non gli manca per questo che una marina mercantile. Gli ogli dell'Istria e della Dalmazia fornirebbero la materia più essenziale alla fabbrica de' saponi. Le raffinerie de' zuccheri a Fiume sarebbero spinte al più alto grado di floridezza; le immense pasture nella Dalmazia somministrerebbero in abbondanza le lane alla erezione di differenti manifatture. Le miniere di tante spezie, di zolfo, di ferro, nuovi rami al commercio, e di ricchezza ai suoi arsenali. Se Trieste, se Fiume, due piccioli punti cui la natura ha negate le opportunità necessarie al commercio, recano già massimi danni a quello dell'Italia, cosa potrebbe attendersi, padrona che fosse l'Austria di un littorale di 175 Leghe di estensione? Il commercio di Marsiglia sarebbe egli egualmente che in oggi felice nel Mediterraneo e nei mari ottomani? Le manifatture del Mezzogiorno della Francia avrebbero lo stesso smercio che in oggi? La prosperità della nazione francese in tanti rami d'industria sarebbe la stessa? Non tocca a me il deciderlo. Venezia, questa sede di un'antica repubblica, soggiorno delle belle arti, perirebbe nella miseria. E chi in questo caso potrebbe assicurare che gli sforzi dei nemici della libertà, che Cesare avido di dominio e di gloria, non rendessero vane le cure dei patrioti? Chi potrebbe garantire, che animato lo stuolo degli Aristocrati dalla disperazione, sostenuto dagl'intrighi, non abbandonassero Venezia medesima al dispotismo austriaco, e la libertà con essa dell'Italia? Ott'ore soltanto di tempo bastano a far sbarcare dall'Istria sui suoi lidi un'armata, e sorprendere la sua tranquillità. Quest'Istria, che al momento stesso dell'abdicazione della Sovranità per parte dell'Aristocrazia, ha manifestato il più grande attaccamento alla causa della libertà. Senza l'Istria, essa non solo, ma l'Italia tutta ha perduta per sempre la speranza di difendere le sue coste, di proteggere il suo commercio.
« L'idea della forza navale sarebbe sbandita. Venezia, che sotto l'antico governo, non ostante la sfasciata amministrazione delle finanze, i sommi disordini, l'incuria che vi regnava, vedevasi a mettere tal volta sul mare in tempo di pace fino a 18 vascelli e 35 fra galere e mezze galere, non potrebbe contare di poter far sortire dal suo porto nemmeno un brik.
« Tale sarebbe il destino dell'Italia senza l'Istria. Là soltanto sono i legni per le costruzioni, là i marinai, là i porti; notorio essendo, che se nell'arsenale di Venezia vengono costruiti i vascelli da guerra, il loro armo conviene si compietti nei porti dell'Istria, colà lascino l'artiglieria ed una parte della savora, e si forniscano di pilotti per rientrare nei canali di Venezia. Lo stesso egli è dei vascelli mercantili. Trasporti che fossero tutti questi mezzi, questa forza navale in potere di Casa d'Austria, a qual grado di potenza non potrebbe ella elevarsi sul mare in breve spazio di tempo? L'Impero ottomano quanto non vedrebbe accresciuti i suoi pericoli, e in così improvviso aumento di forze de' naturali suoi nemici, avvicinati quei tristi momenti che fecero altre volte tremare la sua capitale? La Russia potrebbe attaccarlo colle sue squadre esistenti nel Mar Nero, l'Austria con quelle sortite dall'Adriatico.
« Cadendo la Dalmazia in partaggio dell'Imperatore, e con essa le sue fortezze, non sarebbe meno azzardata la sua situazione per la via di terra. La Bossina, l'Erzegovina e l'Albania divengono precarie, e ad ogni tratto potrebbe ingoiarle, perchè mancante il paese di fortezze... Circondata la Bossina dagl'Imperiali, eccettochè al lato d'Oriente, i Bossinesi Cristiani di religione, e ad essa molto attaccati, coglierebbero di buon grado la prima opportunità per esservi uniti. Considerate che le Bocche di Cattaro poste quasi in faccia di Brindisi offrono un'abbondante marina ed un vasto porto, e che da di là ad addoppiare il Capo di Santa Maria ed entrare nel Mediterraneo non vi è che una veleggiata. Né potrebbe esser ammesso il riflesso, che conservandosi le isole di Corfù, Ceffalonia, Zante, Cerigo, Santa Maura, e gli altri Luoghi nel Golfo di Prevesa, sul Canale di Corfù, potessero esser Questi bastevoli per la loro situazione a dominare il Goffo Adriatico ed a frenare le operazioni di una flotta.
« Converrebbe, che a Corfù vi esistesse una Squadra; ma ne le altre Isole, ne i Luoghi adiacenti forniscono materiali alla sua costruzione, ne al suo radobbo. Egli no erano trasportati dagli Arsenali di Venezia. Se egli è costante che non vi vuole meno oggidì che la grandezza, che la potenza della Repubblica Francese per frenare le viste ambiziose della Casa d'Austria limitata ad essere Potenza continentale, qual forza potrebbe opporsi alla medesima, lorchè unisse dei mezzi anche marittimi? Lorchè per li medesimi potesse meglio darsi mano colle operazioni della Russia anche per mare? Li piani di queste due Potenze a danno dell'Impero Ottomano sono conosciuti. La loro alleanza coll'Inghilterra è palese, come i disegni di questa, ne altro da essi si attende, che l'opportunità di verificarli; lorchè non potrebbe accadere senza danno altresì della Spagna, dell'Olanda, e dei loro rapporti commercievoli. Appartiene però alla saviezza del Direttorio Esecutivo di pesare le conseguenze terribili che potrebbero derivarne, gettare lo sguardo sull'avvenire, calcolare i suoi interessi, a' quali sono strettamente congiunti.
« L'amore al pubblico bene, l'obbligo di servire agl'interessi della libertà d'Italia, ai quali stan uniti quelli della Francia medesima, ha determinato la mia patria ad incaricarmi di assoggettare alle vostre considerazioni, Cittadino Ministro, queste domande e questi riflessi, perchè, scortati dal vostro appoggio, sieno fatti presenti al Direttorio Esecutivo. »

Un'altra voce sorge. È il Sopranzi, deputato dello Stato di Milano, che manda una denunzia al Direttorio francese dei danni nazionali dell'occupazione austriaca dell'Istria.
« Tutti i fogli pubblici — è detto in quel documento — annunziano unanimemente e senza alcuna contraddizione che le superbe coste dell'Istria e della Dalmazia devono passare sotto la dominazione austriaca.
« Li Commissari Imperiali fanno proclamare altamente l'atto di possesso preso di diverse parti dello Stato Veneto in virtù di certi sognati antichi diritti della Casa d'Austria.
« Questi rapporti e questi proclami pubblici non sono stati fin'ora smentiti, ed è appunto ciò che fa temere ai repubblicani d'Italia che queste due Provincie possano essere state implicitamente o esplicitamente cedute all'Armate Imperiali.
« Quanto a me, io amo meglio di prolungare il dubbio in cui ci lascia ancora il silenzio del Direttorio su questo punto, ma non posso per altro dispensarmi dal considerare almeno come un progetto ciò che le apparenze ed i clamori esagerati dal timore fanno riguardare come una realtà; ed è dietro quest'ipotesi che io vi prego. Cittadini Direttori, di considerare quanto i vostri interessi, li principi di una sana politica, e sopratutto l'equilibrio dell'Europa verrebbero compromessi dall'incorporazione dell'Istria e della Dalmazia alla monarchia austriaca.
« Questi due possessi marittimi forniscono allo Stato Veneto a cui appartengono, tutti gli elementi di una marina assai considerabile, la di cui comparsa sull'Adriatico deve renderlo necessariamente influente nella bilanzia del commercio e della politica delle nazioni, che la natura ha situate su questo mare.
« Venezia, che dopo la pace di Passarovitz si aveva fatto un sistema di debolezza, che non voleva dare ombra a nessuno, ma che pensava unicamente a farsi scordare da tutti, Venezia, che da lungo tempo aveva rinunziato allo sviluppo della sua forza e de' suoi mezzi, si è vista nel 1788 a spiegare contro Tunisi una forza navale di 20 vascelli di linea, con molte fregate : senza contare la sua squadra leggiera.
« Ora se il governo di Venezia nel suo stato d'inerzia e di nullità ha saputo tirare in un momento e senza sforzo queste considerabili risorse dall'Istria e dalla Dalmazia, considerate. Cittadini Direttori, quanto saprà utilizzare i prodotti di queste miniere così feconde un governo inquieto, ambizioso, tormentato già da lungo tempo dalla smania di avere un commercio, di dare uno sfogo alle produzioni d'un suolo immenso, un Governo tanto formidabile per la sua potenza continentale, e che diventerebbe ancora più formidabile per l'aggiunta di una marina che crescerebbe in ragion duplicata di queste stesse forze continentali.
« Sarebbe certamente una combinazione singolare della fortuna di questa astuta potenza, se in un momento in cui era a due dita dalla sua perdita, in un momento in cui doveva riputarsi abbastanza fortunata di poter salvare i suoi Stati ereditari, riuscisse ad ottenere in Italia da un governo repubblicano e vincitore quella forza marittima, che con tutta la sua potenza, con tutti i suoi matrimoni e trattati, con tutti i suoi intrichi, costantemente diretti a questo punto favorito della sua ambizione, non aveva mai potuto ottenere dai Gabinetti dei Re, ove ella aveva acquistata la più attiva influenza.
« Ma se l'Austria venisse in fatti ad ottenere l'accrescimento di potere di cui si tratta, bisognerà subito mettersi in misura contro di lei, per difendere gl'interessi dell'Italia, della Francia, e degli altri suoi Alleati.
« In fatti l'Italia, libera, ma senza marina per la privazione dell'Istria e della Dalmazia, diventerebbe per la forza delle cose una provincia imperiale. Ella sarebbe aperta agli Austriaci e per terra e per mare : essi soli sarebbero padroni delle comunicazioni e dei trasporti, e il commercio, i suoi vantaggi, i suoi bisogni, la renderebbero sicuramente tributaria del vostro nemico.
« La Spagna e il Turco sono alleati così naturali per voi, che la loro situazione sembra farvi la legge di coltivarne l'unione e d'impedire al più possibile la diminuzione della loro Potenza. Vediamo dunque d'un colpo d'occhio, se la cessione dell'Istria e della Dalmazia sarebbe indifferente al loro commercio e ai loro rapporti politici...
« Egli è certo e indubitato che la Russia non rinunzierà mai ai suoi progetti di allontanarsi sempre più dai ghiacci del Nord per portare la sua attività nei mari più interni e stabilirsi al centro d'unione dell'Asia e dell'Europa.
« Il successo dell'usurpazione della Polonia è tutto in una volta un eccitamento ed un mezzo di più dato alla sua ambizione; la triplice alleanza conchiusa a Pietroburgo, tutt'affatto calcata sulla base del Trattato di Pilnitz, l'assiduità colla quale una fazione Russa circonduce in oggi il Divano, mantiene il suo sonno e la sua confidenza, paralizza i tentativi da voi fatti per illuminarlo e dargli dell'attività, sono le prove le più proprie a convincere della perseveranza della Russia in questi progetti.
« Ma se l'Austria acquista in questo momento l'Istria e la Dalmazia, voi vedrete ben presto realizzarsi questi progetti. Il Mediterraneo si renderebbe accessibile alle flotte russe ed imperiali, e le due Corti non tarderebbero a strascinare nel torrente delle loro ambizioni unite i vostri alleati più fedeli e sicuri. L'Austria e l'Inghilterra stringerebbero colla più grande facilità i legami della triplice alleanza con cui hanno già minacciato di precipitare un'altra volta il mondo politico nella barbarie e nella schiavitù; l'Inghilterra sopratutto si troverebbe largamente indennizzata dalla riunione de' Paesi Bassi alla Francia, perchè il nuovo padrone dell'Istria e della Dalmazia le offrirebbe, in luogo di quelle Provincie così favorite dalla natura e tormentate dalla politica, un punto di contatto, più lontano, sì, ma più sicuro, e più indipendente da' Francesi, servendo esso a legare più strettamente l'Austria e l'Inghilterra coi rapporti della loro politica costantemente nemica della Francia, e colla reciprocità de' bisogni e de' mezzi rispettivi del commercio e della navigazione.
« Allora voi avreste dato luogo di dire, che voi stessi, mediante queste concessioni fatte all'Austria, avreste gittato nella bilancia politica tanti nuovi interessi, tanti eccitamenti d'ambizione e di cupidigia, e mille sorgenti feconde d'inimicizie e di querele, di guerre e di rapine: allora infine, avreste dato luogo a pensare, che avreste dato all'Europa un trattato di guerra, piuttosto che un trattato di pace.
« Io credo di aver portato sino all'evidenza i pericoli della seguita occupazione dell'Istria e della Dalmazia per la parte delle armate imperiali; ma altronde, se mai l'abbandono di queste due provincie entrasse nel piano attuale di pacificazione, se vi fosse impossibile di arrivare alla pace sostituendo un nuovo progetto; se mai l'onore politico, l'interesse della pace, il bene dell'umanità non vi precettassero di abbandonare intieramente il vostro piano, non potreste voi almeno, posta la durezza delle circostanze, procurare di conciliare gl'interessi, di restringere le pretensioni, e di diminuire o di allontanare alomeno una parte del pericolo? Mi parrebbe che l'ambizione di un vinto potrebbe trovarsi soddisfatta, se per la cessione della sola Dalmazia egli acquistasse un paese che gli offre 160 Leghe circa di lunghezza, molti buoni porti, una popolazione di 3 a 4 cento mila abitanti, buoni marinari, un paese in somma affatto proprio, con tutti questi vantaggi, a soddisfare l'ardente passione dell'Austria.
« Ma non perdete di vista, Cittadini Direttori, che questa divisione di cui oso azzardarne l'idea, non ve la presento che come la conseguenza di un'ipotesi la più disperata, e come un mezzo di conciliazione, tra la dura necessità di ricominciare la guerra, e la condizione non meno dura di soddisfare l'ambizione dell'Austria con cessioni troppo vantaggiose, che la metteranno a portata fra pochi anni di riassumere le ostilità, e di raccogliere essa stessa tutti i frutti delle vostre vittorie.
« Ammettendo la cessione della Dalmazia, come un peggio andare, voi assicurereste almeno l'Istria all'Italia libera. Quella provincia sola è abbastanza ricca di legnami di costruzione per innalzare i vostri nuovi alleati al rango di potenza marittima, la di cui concorrenza bilancerebbe l'intrapresa dell'Austria, e la di cui rivalità sarebbe una garanzia di più all'indipendenza del commercio e delle relazioni francesi ed italiche.
« Questa divisione, per quanto sia dura, è però la meno ingiusta possibile, mentre dando all'Austria ciò che ella non aveva, non toglie almeno all'Italia ciò che essa aveva.
«Questi principi una volta emessi. Cittadini Direttori, non vi resterebbe più altro a fare, che di costituire Venezia. Ed è appunto qui, che unendomi al voto di questa città e dei popoli di terra ferma, io vi ricorderò che tutte queste volontà tendono unicamente all'unione in un solo corpo di tutti i popoli liberi d'Italia, e che tutte le circostanze, tanto interne che esterne, secondano mirabilmente questo piano così semplice e così fecondo di gravi risultati...
« Certamente cedendo all'Austria la sola Dalmazia, secondo la premessa supposizione, voi andate a dotare troppo largamente questa nemica irreconciliabile del nome francese, e voi dovete per ciò, assai forse più a riguardo della vostra sicurezza che della vostra gloria, ristabilire il sistema d'equilibrio marittimo considerabilmente alterato da questa concessione; voi dovrete, sopratutto a riguardo della tranquillità d'Italia, contrabilanciare con forze contrarie e proporzionate la forza che la vostra liberalità aggiunge alla potenza imperiale.
«Ora, quest'equilibrio, questo contrappeso di forze ove lo troverete voi se non che nello stabilimento di una sola repubblica di tutti i popoli liberi d'Italia, che facendo una sola massa di tutti i mezzi, confondendo tutti gli interessi, togliendo di mezzo tutte le rivalità e lo spirito di divisione, possa presentare nella sua unità una massa d'azione capace di arrestare i progressi della preponderanza austriaca, e di far perdere alle potenze che la circondano ogni speranza di neutralizzare il repubblicanismo in Italia?
« Ritorniamo pertanto al vero stato della questione, e concludiamo, sia a causa dell'ingrandimento che acquisterebbe l'Austria nella supposta concessione della Dalmazia, sia per l'interesse urgente che ha la Francia di sottrarre l'Italia all'influenza dell'estero, concludiamo, dissi, la necessità di costituirla una, libera, indipendente, e capace in conseguenza di fare in ogni tempo una potente diversione in vostro favore.
« Concludiamo che questa potenza non può esistere senza la marina dell'Istria, e col federalismo di due o più repubbliche, ove la disunione d'interessi produrrebbe ben presto, come in America, una funesta divergenza dal sistema francese. La sorte degli Stati che non possono esistere da loro medesimi, è di essere diroccati dalle potenze più grandi e più vicine; l'istoria d'Italia n'è una prova continuata di questa sgraziata verità.
«Dietro tutte queste considerazioni, io non dubito, Cittadini Direttori, che voi non adotterete per l'Italia quel sistema di federalismo impotente che avete proscritto per la Francia, ma che vi determinerete a creare per la mia patria una potenza, che per la riunione dei popoli liberi e delle coste marittime che lì circondano, non potrà più essere imperializzata, ma li conserverà sempre liberi e indipendenti, e diventerà per voi un'alleata altrettanto utile, che necessaria e fedele. »
 

Da questi documenti emergono due fatti: l'usurpazione compiuta dall'Austria e il valore altissimo che veniva attribuito alle terre usurpate.
Ma tutti i ragionamenti, tutti gli sforzi riuscirono vani. Il 17 ottobre 1797 veniva concluso il trattato di Campoformio, in cui si stabiliva il consenso della Repubblica francese al passaggio delle terre venete all'Austria...

 

 

 

(Storia della Grande Guerra d'Italia, Milano 1920 ca. - Isidoro Reggio)