GOYA

 

(Pittore di Corte)
 

 

Giuliano Confalonieri

 



Alcuni film si occupano della vita e delle opere del pittore spagnolo Francisco José de Goya, nato nel 1746 a Fuentetodos e divenuto uno dei maggiori artisti della sua epoca: La maja desnuda con Ava Gardner (1959), Goya di Quevedo (1970), Volavérunt di Bigas Luna (1999), Goya di Carlos Saura (2000), L'ultimo inquisitore di Milos Forman (2006). Alla fine del Settecento è nominato 'pittore di corte' e ciò gli permette di realizzare opere il cui contenuto esprime con tinte forti sia il disastro di ogni guerra sia le misere condizioni di vita del suo popolo. Era il periodo in cui imperversava l'inquisizione – definita 'santa' – con tutte le conseguenti sofferenze di chi ne era preda. Goya fu vittima di alterazioni psichiche, prodotte probabilmente dall'intossicazione del piombo che era largamente usato nelle pigmentazioni dei colori (per ragioni diverse il lavoro di alcuni pittori molto famosi risentirono in qualche modo dello 'stress' creativo, magari avendo già qualche predisposizione negativa: Antonio Ligabue, Toulouse Lautrec, Vincent Van Gogh, Amedeo Modigliani sono artisti che pagarono la loro passione con pesanti ripercussioni psicologiche oppure, viceversa, la loro mente è stata condizionata dal lavoro al quale si sono dedicati; anche Michelangelo soffrì di depressione forse per il medesimo motivo).
La creatività e quindi l'impegno intellettivo profuso nelle opere spesso causano differenze caratteriali apparentemente non motivate. Francisco Goya (1746/1828) soffrì anche di sordità e tutto ciò contribuì negativamente e pesantemente sul suo lavoro. Gli incubi che popolarono la mente del pittore durante il periodo oscuro, gli suggerirono tele nelle quali gli ambienti e le creature erano esposti in maniera schizofrenica, come se il suo mondo interiore fosse spezzato. L'angoscia che lo pervadeva è chiaramente visibile nelle opere della vecchiaia – definite 'nere' – trascorsa in solitudine; tuttavia, come gli esempi dei colleghi sopra citati, la sua 'produzione' per l'intera vita fu pregna di 'inventiva' pur attraversando un periodo 'blu' come Pablo Picasso e tanti altri.
L'esistenza di una persona è sempre soggetta alla 'scelta' imposta da circostanze esterne o da intrigazioni psicologiche: gli artisti – proprio per la loro professione – sono più soggetti della persona 'normale' alle variazioni interiori come la depressione che lo perseguitò suggerendogli quadri con evidenti influenze di una mente malata. Le facce dei personaggi si gonfiano, si alterano in espressioni inusuali diventando caricature del soggetto. Dobbiamo anche considerare che la follia 'riempie' il cervello con cellule 'avariate' se confrontate con quelle considerate 'normali': è materia della neurologia anche se l'estrema diversità degli individui (educazione, ambiente, frequentazioni, abitudini) rende molto complessa la valutazione delle personalità.
Il lavoro di Francisco Goya rientra in questo contesto: le forti sperequazioni nella realizzazione delle opere indicano il cambiamento di carattere come oggi avviene per l'uso sconsiderato delle droghe sintetiche: figlio di un doratore e di una giovane discendente da una famiglia nobile decaduta, frequenta a Saragozza lo studio del pittore José Luzán. A Madrid, tenta di entrare all'Accademia di San Fernando, ma viene bocciato al concorso annuale per borse di studio. Di ritorno da un viaggio in Italia, sostenuto dal cognato, riceve le prime commissioni a Saragozza, dove decora la Chiesa di Nuestra Señora del Pilar, e nei centri vicini.
Per vari anni disegna una serie di cartoni per la realizzazione di arazzi con scene di vita popolare, molto realistici per l'uso dei colori, nonché ritratti che cominciano però ad evidenziare l'alterazione psicologica del pittore. I soggetti sono drammatici perché carichi di incubi molto spesso attinenti alla realtà religiosa dell'epoca. Alla fine del Settecento ritrae la famiglia reale con estrema aderenza ai personaggi senza il colpo di pennello per modificare la realtà proprio come oggi si usa con molta disinvoltura la manipolazione digitale. Perderà i suoi privilegi con l'avvento dei Bonaparte ma seguiterà comunque a lavorare, specialmente con le incisioni che denunciano l'inutilità delle guerre e delle violenze che fanno corona: la Fucilazione (1808) accusa il martirio del suo popolo: Alla nota angosciosamente ripetuta delle figure dei fucilieri, presi di spalle, l'artista contrappone la figura abbagliante del martire nell'attimo che precede il colpo mortale, così come alla fissità dei soldati oppone il moto tragico dei condannati che salgono la collina..

 

Giuliano Confalonieri

giuliano.confalonieri@alice.it  (2012)