GENTILESCHI - PADRE E FIGLIA
 

 

Giuliano Confalonieri

 


 

 

Artemisia Gentileschi, Autoritratto come Allegoria della Pittura, 1638-1639, olio su tela, 96.5 × 73.7 cm. Windsor, Collezione reale

 

Un personaggio a tutto tondo quello della pittrice Artemisia, la femminilità violata e la mente fervida. Allieva del padre Orazio, lavorò a Firenze, Roma, Napoli e per tre anni in Inghilterra. Nel lavoro seguì l’esempio del genitore pur acquisendo un propria personalità artistica. Orazio – nato a Pisa e morto a Londra – giunse a Roma già influenzato dalle opere di Caravaggio, dipinse tele ed affreschi. La famiglia fu sconvolta per colpa dell’amico Tassi che – riportano le fonti – violentò per diversi mesi la ragazza che testimoniò: Serrò la camera a chiave e mi buttò sulla sponda del letto, mi mise un ginocchio fra le cosce, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola e spingendo lo mise dentro. Li sgraffignai il viso e li strappai i capelli e levai al membro anco un pezzo di carne.

Lo scandalo dilagò fino al processo di stupro contornato dalla tortura che avrebbe potuto distruggerle la carriera a causa dello schiacciamento dei pollici; il violentatore fu condannato ad alcuni anni di carcere, fatto inusuale in un’epoca nella quale la donna non era considerata.

 

 

A. Gentileschi, Giuditta uccide Oloferne, 1611-1612,  olio su tela, 158,8 x 125,5 cm.
Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte

 

Nel frattempo Artemisia affina la propria tecnica pittorica prediligendo tinte violente, contrasti tra luci ed ombre, non condizionata dall’opinione corrente che non apprezzava le artiste: sensuale, passionale, amante del proprio lavoro, il celebre autoritratto ne designa la forte soggettività, così come i suoi personaggi saturi di colore e di realismo. Il successo la porta alle Corti europee finché a 55 anni muore sola e dimenticata dopo una vita intensa, ricca di emozioni e splendida rappresentante della vita di Corte, elegante ma anche mascolina nell’uso del martello per schiodare le casse con i dipinti.

 

 

A. Gentileschi, Santa Cecilia suona il liuto, ca. 1616, olio su tela, 108 x 79 cm. Roma, Galleria Spada

 

 

Le voci enciclopediche riferite ai due Gentileschi riportano:

 

- Gentileschi Artemisia (Roma 1597 - Napoli 1652 ca) pittrice italiana. Figlia e allieva di Orazio G., lavorò a Firenze (1614-20), a Roma (1620-26) e infine a Napoli (1630-52), da dove si assentò solo per un viaggio in Inghilterra (1638-39). Nelle sue opere riprese e modificò più volte le composizioni del padre, alle quali tuttavia conferì asprezze realistiche a lui sconosciute, inserendole in contesti drammatici fortemente chiaroscurati, nel gusto del caravaggismo napoletano alla cui evoluzione ella stessa contribuì in modo determinante (Maddalena, Firenze, Gala Palatina di Palazzo Pitti; Giuditta e Oloferne, Firenze, Uffizi).

 

O. Gentileschi, Annunciazione, ca. 1623, olio su tela, 286 x 196 cm. Torino, Galleria Sabauda

 

 

- Gentileschi Orazio (Pisa 1563 - Londra 1639) pittore italiano. Allievo di A. Lomi, si formò nell'ambiente del tardo manierismo toscano. Giunto a Roma verso il 1576, amico e precoce seguace di Caravaggio, dipinse alcune tele (San Francesco, 1609 ca, San Silvestro in Capite; David, 1611 ca, Gall. Spada) e affreschi (Palazzo del Quirinale, 1611 e 1615/16). Da Roma (in seguito allo scandalo provocato dal processo contro il pittore A. Tassi che aveva violentato sua figlia Artemisia) si allontanò per un viaggio nelle Marche (Crocifissione, Fabriano, Cattedrale) e in Toscana (1612-13); poi, definitivamente, nel 1621. Dopo soste a Genova (Danae, 1621 ca, Cleveland, Ohio, Mus.; Annunciazione, 1623, Torino, Gall.. Sabauda) e Parigi, giunse nel 1626 in Inghilterra dove restò fino alla morte. Della iniziale formazione toscana conservò sempre i caratteri composti e la fredda orchestrazione dei colori, dando del realismo caravaggesco una interpretazione rigorosa, talvolta velatamente erotica e mondana.

 

Nel 1627 una commissione di esperti, tra i quali l’artista, è incaricata di valutare una serie di dipinti custoditi a Mantova, messi in vendita per problemi di bilancio. Lei, con la passione che la dominava, si immerse in quelle tele, quei colori, sfiorando le figure con le dita e ribadì decisa: “Acquistate tutto quanto potete e anche quello che non potete”. Mantegna, Tiziano, Raffaello, Leonardo, una collezione preziosissima già affidata alle cure di Rubens.

 

 

O. Gentileschi, Ritrovamento di Mosè, 1630-1633, Olio su tela, 242 x 281 cm.
Madrid, Museo del Prado

 

Era, come spesso capita, un periodo turbolento dove il saccheggio avveniva ad opera di soldatesche per conto dei Signori; traslocavano anche le biblioteche, i cui libri venivano maneggiati senza cura e quindi danneggiati o dispersi. Roma e Venezia erano ai ferri corti per motivi ideologici e politici tanto che i protestanti inglesi si incunearono con i principi della Riforma. Ciò favorì il commercio di intere collezioni con l’intervento di mercanti e mecenati.

Nel frattempo Artemisia aveva partorito in un periodo nel quale serpeggiava l’antenato femminismo, vivere liberamente, decidere dove e quando, scegliere il proprio destino anche se i tempi non erano ancora maturi per produrre risultati decisivi (si narra che una giovane monaca internata per un paio di decenni in convento scrisse testi rivoluzionari per il posto della donna nella società).

I dipinti arrivarono a Venezia da Mantova, segretamente notte fonda, con al seguito una serie di polemiche perché mancavano alcuni esemplari e altri risultarono falsi. La pittrice stava attraversando però un periodo di crisi creativa e anche la sua capacità di valutazione era diminuita; influenzata dall’amante inglese Lanier che si spazientiva quando la vedeva mescolare i colori,  reagì quasi noncurante quando lui le sottrasse alcuni schizzi che avrebbero dovuto diventare tele. Il loro rapporto ne soffrì perché lui avrebbe voluto portarla dalla città veneta a Londra, lei capiva che – malgrado la fortissima intesa sessuale – avrebbe dovuto sacrificare la sua arte e avrebbe capitolato ancora alla presenza del padre Orazio: decise così di trasferirsi a Napoli (1629) invitata dal vicerè, già suo mecenate; passando da un amante all’altro lei si preoccupava di vigilare sulla verginità delle figlie.

La fama di Artemisia contribuì a crearle attorno una specie di cenacolo politico-culturale che le suggerì di diversificare il suo lavoro in opere imperiture come le pale d’altare: sempre in competizione artistica col padre ma anche con altre pittrici, dopo 25 anni di separazione arrivò in Inghilterra per incontrare Orazio con la curiosità di valutarne il lavoro. Trova il vecchio artista consapevole della propria mediocrità evidenziata dalle ultime opere e decide di mantenere alto il nome dei Gentileschi completando l’incompiuto. Nel 1639 a Greenwich i due pittori lavorano insieme, stimolandosi a vicenda, comprendendosi reciprocamente.

Nello stesso anno lui muore a Londra e lei scrive: ”Saranno le opere quelle che parleranno” temendo nello stesso tempo di perdere quella frenesia che l’aveva sempre invasa, avvolta dall’odore di trementina. Costretta ad assistere allo scempio dei puritani – durante la guerra civile – contro tutto ciò che rappresentava il cattolicesimo, decise di tornare a Napoli dove morirà. I dipinti più importanti dei due Gentileschi sono conservati al Louvre, al Prado ed al Metropolitan  Museum di New York.          

 

 

Giuliano Confalonieri

giuliano.confalonieri@alice.it