Eugenio Scomparini (Trieste 1845 - Trieste 1913)

 

L'ingegno, la forza, le passioni, il sudore e la vanità di un Maestro

 

Walter Abrami

 

 

 

Qualche anno fa, discorrendo piacevolmente con l'illustre amico prof. Franco Firmiani al cospetto dell' "Odalisca" di Eugenio Scomparini, egli che è da considerarsi il maggior studioso del nostro artista, così mi disse: "In un'immaginaria scala di valori assoluti espressi dai pittori triestini nel XIX e nel XX secolo, collocherei quest’opera tra le prime cinque, sia per la sua straordinaria bellezza che per il suo pathos!"

L'olio, una modesta e preziosa tavola di cm 37,5 x cm 17,5 conservata nel Civico Museo Revoltella (inv. 340) è indubbiamente uno dei "gioielli pittorici nostrani" emotivamente più coinvolgente dell'intera collezione cittadina.

Ancora, a proposito della "Odalisca", così leggo nel catalogo "Eugenio Scomparini-Pittura ed altro da Sedan a Sarajevo" curato  dallo stesso prof. Firmiani e dalla dott.ssa Laura Safred: ...la "cifra" del prolungamento del corpo nella caduta del velo, il volto arretrato nell'ombra, il tipo del 'trono' marmoreo disadorno e squadrato, sono tutti elementi che denotano un accostamento non casuale alle poetiche dell’arte nuova".

Il catalogo, pubblicato una quindicina d'anni fa in occasione della mostra sullo Scomparini realizzata in concomitanza con il primo ampliamento del Museo Revoltella, risulta a tutt'oggi un testo di studio imprescindibile per chi vuole analizzare l'opera del maestro e avvicinarsi alla sua produzione.

E se nel 1922 Silvio Benco affermava che lo Scomparini sarebbe stato a Trieste l'iniziatore di una specie di movimento moderno, alla sua lezione (suggerisce il prof. Molesi,) è tributaria niente meno, l'esperienza cartellonistica del Metlicovitz e di Dudovich.

Comunque ne sia, cerchiamo di fornire innanzitutto una nota biografica che ci consenta di conoscere meglio l’uomo Scomparini.

 

 

Vita di un artista

 

Eugenio Scomparini nacque a Trieste l’1 settembre 1845 da Antonio Scomparini da Chioggia e da Maria Scomparini da Venezia.

Fu il più giovane di sei fratelli e uno di essi, Paolo, nel 1860 seguì Garibaldi nella Spedizione dei Mille.

Dopo un proficuo alunnato nella Scuola di Disegno (1868/1869?) sotto la guida del "buon Moscotto" uno scenografo di vasta esperienza e di qualità pittoriche non comuni (mi è stato testimone Giovanni Hermet in arte Gianni Brumatti (Trieste 1901-ivi 1990) della sua profonda conoscenza 'tecnica' del colore!), Scomparini seguì a Venezia, presso l'Accademia, i corsi di pittura condotti da Michelangelo Grigoletti e da Pompeo Molmenti. Correva l'anno 1871...

Rimane ancor oggi vaga, tuttavia, l'eventuale influsso che esercitarono questi uomini nel suo futuro d'artista.

Nello Scomparini un dato pittorico, una nota coloristica fondamentale è certamente riconducibile ad essi: i suoi inconfondibili bianchi (il bianco in pittura significa luce!) 'puri' ed 'intensi', 'saturi', cioè per usare un termine consono, furono raramente superati nel Novecento da altri artisti triestini, principalmente per la loro fulgida e pressoché inarrivabile brillantezza.

Ritengo quindi che l'uso personalissimo che fece Scomparivi in pittura  solo apparentemente più facile e banale (e non unico, come forse pensano i profani), sia stato desunto ed appreso sia dal Moscotto, abilissimo negli impasti e nelle mescole alla guisa dei pittori rinascimentali che dall'osservazione mirata dei maggiori pittori veneti dei secoli passati. Egli, immersa la biacca in 'veicoli' nei quali la luce ha minor velocità di propagazione che nell'aria, com'è specialmente l'olio nel caso specifico, (ma quale gessi: Meudon, Marcellise, di Bologna ecc. e quali medium usava lo Scomparini per ottenere tali risultati?) ne fece riflettere meno la luce in superficie e pertanto ne fece assorbire e rimandare la più colorata! Nel 1871, ottenuto il diploma all’Accademia, presentò per la prima volta in città all’Esposizione Agricolo-Industriale e di Belle Arti il quadro “Amleto”. La finitezza di questo lavoro elogiato al tempo dalla critica deriva presumibilmente dalla precisione esasperata appresa dal Molmenti.

Dal 1874 al 1877 Scomparini soggiornò a Roma assieme ad Antonio Lonza. Nello stesso anno partecipò ad un’esposizione a Monaco. Quattro anni più tardi e precisamente nel 1887, iniziò l’insegnamento del disegno alle Scuole Industriali.

Fece parte della Commissione giudicatrice del concorso istituito dalla Fondazione Rittmeyer  per assegnare ad un giovane artista della città una borsa di studio.

Fu commissario anche nel 1888, nel 1891, nel 1897, nel 1900 e nel 1903.

Con Antonio Lonza curò i costumi dello Spartaco di Giuseppe Sinico.

Nel 1890 il Curatorio del Museo Revoltella gli acquistò l’olio su tela di notevoli dimensioni cm. 236 x cm.153 “Margherita Gauthier” che egli aveva esposto in quell’anno in una galleria triestina. La proposta di acquisto fu rivolta e caldamente suggerita a viva voce al Curatorio, da Giuseppe Caprin amico ed estimatore dell’artista. Con lo Scomparini, infatti, egli aveva collaborato per le edizioni dei suoi libri. I membri del Curatorio accolsero l’invito ma decisero di rimandare l’impegno del pagamento già assunto del trittico “Navigazione, Arte, Industria” a lui commissionato in onore del barone Pasquale Revoltella per poter anteporre l'acquisto di quest'opera.

Scomparini accettò la somma di 1500 fiorini e altri 1800 gli furono offerti con l'obbligo di concludere il trittico in tre mesi. Nel 1907 venne quindi nominato membro del Curatorio del Museo Revoltella ed egli conservò questa carica fino alla morte.

Nel 1911 lasciò la cattedra di insegnante presso le Scuole Industriali; l’attività colà svolta con coscienza, serietà e competenza, contribuì ad innalzarne la fama e il prestigio e lo suggellò impareggiabile Maestro di un'intera generazione di artisti triestini.

 

 

Gli successe Carlo Wostry

 

Un anno prima della morte avvenuta nel 1913 per un attacco fulminante di angina pectoris, eseguì l'ultima sua grande opera l’ “Edilizia", per la Cassa di Risparmio di Trieste. Al funerale di Scomparini, com'è ampiamente documentato dalle cronache locali, il pittore Giuseppe Garzolini pronunciò l'orazione funebre e ricordò questo 'buon gigante dal sorriso ingenuo' che tanta parte aveva avuto nell'ambito della cultura artistica cittadina. Alla morte del pittore la sua 'Margherita Gauthier' venne coperta a lutto!

Nello stesso anno della sua scomparsa, infine, venne organizzata in suo onore una mostra retrospettiva nella Sala Permanente del Circolo Artistico.

Sua moglie Caterina Shillin, rimasta in condizioni economiche precarie, cedette al Museo Revoltella, per la cospicua somma di  5000 corone, un gran numero di opere! Dio la benedica...

In vita Scomparini fu richiesto e abilissimo decoratore di palazzi triestini (Artelli e Scuglievich) ove trasformò l'abitazione borghese in teatro, proponendo sensuali allegorie e antichi miti.

Gli stessi temi li realizzò per le decorazioni teatrali, non solo a Trieste (sipario del Politeama Rossetti, Teatro la Fenice), ma anche a Gorizia e a Treviso e in essi appare evidente l'esaltazione per la pittura del Tiepolo, che Scomparini non cessò mai di studiare e di ammirare, pur forgiandola ai canoni dell'eclettismo ottocentesco.

Come osserva la dott.ssa Lorenza Resciniti, nei quadri di figura e nei ritratti fu fedele alla corrente romantico-verista, dimostrando sempre ottime capacità disegnative e originali scelte compositive rese con colori densi e gessosi e pennellate ariose e trasparenti. Egli, attraverso il lavoro tenace, l’ostinazione e la perseveranza, si costruì in vita una solida fama.

 

 

L’uomo che sapeva menar gran vita.

 

In un’arguta pagina della sua notevolissima produzione critico-letteraria, Silvio Benco definì E. Scomparini “un ercole nero e crespo” e Carlo Wostry nella Storia del Circolo Artistico Triestino data alle stampe nel 1934, così lo descrive: “... era un bell’uomo, alto, forte, slanciato. Si compiaceva di essere il beniamino viziato da tutti. Fino alla costituzione del Circolo (1884) aveva menato la gran vita con gli eleganti della città. Era di buonissimo carattere e genialissimo”.

Le caratteristiche fisiche dello Scomparini, oltre che dai suoi tre autoritratti conosciuti, ci sono note anche attraverso alcune immagini fotografiche che furono realizzate da Carlo Wulz. Due di queste, pubblicate nel catalogo, sono assai significative; in una Scomparini è ripreso nell’ambiente che gli è più congeniale, il suo atelier, nell’altra posa davanti ad un’opera delle più impegnative, L’Edilizia.

Gli insoliti arredi del suo studio testimoniano il suo innato gusto scenografico: a fianco del pittore un pavone imbalsamato sembra un monumento eretto alla vanità!

La teatralità è accentuata tanto dal sipario che dal divano ricco di cuscini, ma spiccano soprattutto il teschio e la scultura anatomicamente perfetta di un gladiatore.

Egli, nel suo pregevole doppiopetto, ha un atteggiamento signorile, fiero e disinvolto: lo sguardo è intenso, i baffi e la barba folti. Nella seconda immagine, ripreso mentre dipinge, tiene l’ampia tavolozza nella mano sinistra e un lungo pennello tra le dita dell’altra; indossa un’ampia mantella che, pur sgualcita e chiazzata qua e là di colore, non offusca, semmai aumenta il suo fascino d’uomo maturo, di pittore affermato.

Tuttavia di Eugenio Scomparini esistono pure alcune caricature particolarmente significative: esse sono state esposte nel febbraio-marzo 1992 nel Palazzo Costanzi in occasione dell’originale mostra Artisti allo Specchio la cui genesi è ampiamente e gustosamente delineata in catalogo dalla dott.ssa Grazia Bravar.

Scomparini fu messo in caricatura sia da Carlo Wostry che da Umberto Veruda e proprio quest’ultimo, che in gioventù era stato suo allievo e in seguito ne diventò amico, ci ha lasciato un suo ritratto proprietà del Civico Museo Revoltella che è stato recentemente studiato e datato dalla dott.ssa Giuliana Fisicaro.

Ma torniamo alle caricature: proprio per festeggiare la sua nomina come docente alla Scuola Industriale nel 1887, Giuseppe Caprin organizzò una festa, la prima sabatina del Circolo Artistico e in suo onore diede incarico ai due pittori di idearle, di realizzarle e di dipingerle. La più grande, quella di Scomparini appunto, faceva da ‘quinta’ scenografica al salone della festa e probabilmente, per risolvere problemi di spazio, fu subito rimpicciolita: non risultano dunque né la mano destra, né il braccio e la mano sinistra, né le spalle del pittore. Egli, con una margherita all’occhiello è presumibilmente seduto su un trono (come poteva essere diversamente?), la sua testa è molto allungata e il naso, se così si può dire, ‘imponente’.

Le sue caratteristiche fisiche del resto, sono ben delineate anche nel ritrattino disegnato dallo stesso Wostry intorno al 1907 e in un’altra simpatica caricatura apparsa nel 1910 sulla “Coda del Diavolo”. Dello Scomparini, per quanto mi risulti, esiste ancora un piccolo disegno a matita tenera tracciato da Isidoro Grunhut: i suoi intensi tratti neri di matita tenera rendono omaggio alla descrizione del pittore fatta dal Benco.

Ma se gli affetti, le invidie, i pettegolezzi, le piccole e le grandi vanità ci sono sempre state nel mondo dello spettacolo, è anche vero che il Wostry, pur stimando il ‘brillantissimo presidente’ del Circolo, ne disapprovò l’indole.

“Fu sventura per lui d’essersi lasciato abbacinare dal successo locale e di essersi fermato a Trieste. In un centro artistico la sua ala avrebbe spiegato ben altro volo. Ma egli amava il quieto vivere. Egli non aveva la fibra combattiva, il coraggio di affrontare l’ignoto. Evitava la lotta che fortifica e sprona. Così la sua arte non fu mai vivificata da nuovi stimoli, da nuovi impulsi. Fu nondimeno un maestro”.

Come osserva Firmiani, ‘tra lui e la città (s’intenda la committenza) intercorse un’intesa perfetta, mai incrinata a dissapori’ ed è evidente che egli guadagnò e pese molto.

Nella città che gli dava ampie garanzie economiche e che egli sentiva in sintonia con la sua espressione artistica, condusse indisturbato una ‘vita facile’.

 

 

“Il pittore: un amore segreto, l’uso delle lastre fotografiche, l’incanto tiepolesco”

 

Uno dei pittori prediletti  da Eugenio Scomparini fu Hans Holbein (Augusta 1497 o 1498 -  Londra 1543) noto come Hans Holbein il Giovane per distinguerlo dal padre, omonimo, dal quale acquistò la maestria tecnica e anche il rigore dell’osservazione. Presumibilmente da Holbein, autore a Basilea degli affreschi della sala del Gran Consiglio del Palazzo Comunale, oggi frammentari al Kunstmus, e a Lucerna affreschi sulla facciata della casa del borgomastro Hertestein sulla Kastellplatz, oggi perduti, Scomparini desunse la predilezione per le composizioni equilibrate e senza eccessive forzature. Purtroppo non ci è dato sapere come lo Scomparini fosse venuto a conoscenza di alcuni lavori di Holbein, ma è documentato che il tedesco ha lasciato un gran numero di disegni inerenti ai vari campi della sua operosità: studi per dipinti ‘mobili’  e per decorazioni murali, progetti per suppellettili preziose, oltre 1500 stampe ecc.

Così ci rivela Eugenio De  Finetti (Pisino d’Istria 1877 - Corona  di Gorizia 1955) il pittore che in giovane età frequentò Scomparini, ed ha fama soprattutto per le sue pitture di soggetto ippico (forse non a tutti è noto che De Finetti svolse pure intensa attività di illustratore per importanti riviste tedesche): “Frequentando la scuola continuai a disegnare: avvicinai lo studio di alcuni pittori quali Antonio Zuccaro ed Eugenio Scomparini. Benché oggi (si riferisce al primo quinquennio del secolo!) i maestri, quasi senza accorgersene, possano giovare soltanto col rilevare, senza volerlo, all’allievo come non si debba fare (ed è già gran lezione), pure devo allo Scomparini qualche positivo insegnamento positivo: così lo studio dei disegni di Holbein per cui gliene sarò sempre grato”.

Chi ha la pazienza di cercare una riproduzione del ritratto che Holbein eseguì a Bonifacius Amerbach, professore di diritto romano e intimo amico d’Erasmo da Rotterdam e di confrontarlo con l’autoritratto di Scomparini (olio su tela cm 44,5 x cm 36,5) di proprietà privata, ma pubblicato in catalogo, sarà sorpreso di trovarsi di fronte ad un ipotetico ‘negativo’ semplificato, tant’è la correlatività.

Anche un secondo autoritratto, quello proprietà del Civico Museo Revoltella ha una somiglianza stupefacente con il disegno preparatorio di un Reskimer of Murthyr, che risale all’inizio del secondo soggiorno inglese di Holbein ed appartiene alle collezioni reali di Winsdor. Nella pittura da ‘cavalletto’ si distinguono i ritratti e i quadri di figura; Scomparini ne eseguì diversi e si servì assai spesso del mezzo fotografico per concluderli, com’era ormai consuetudine di molti artisti alla fine dell’Ottocento.

Mi piace qui ricordare quelli del barone Giovanni Guglielmo Sartorio, di Francesco Hermet, del barone Currò e di sua moglie Lucia de Reya.

Ma se è ovvio che dalla loro realizzazione traesse ottimi guadagni, va detto a onor suo che, pittore professionista a tutti gli effetti, dipingeva anche e solo per se, per il puro piacere di confrontarsi con un soggetto che sentiva congeniale e che gli procurava un’emozione. Tuttavia, come scrive la dott.ssa Laura Safred nel suo apprezzato studio Il sipario tagliasecolo, la fonte costante di Scomparini fu la pittura di Giambattista Tiepolo (Venezia 1696 - Madrid 1770); ma il Tiepolo di Scomparini non è quello ripreso da Giuseppe Bernardino Bison e reinterpretato da una sensibilità inquieta e malinconica. E’ il Tiepolo artefice di macchine scenografiche e di fastose allegorie..

“... Nei soffitti dei teatri e nei sipari le Arti rappresentano se stesse: lo spettacolo è ricco ma allo stesso tempo popolare.

Scomparini lavora per un teatro nel quale l’avvenimento scenico si svolge ancora in una dimensione lontana dallo spettatore”.

 

 

Walter Abrami