CHIARIMENTI SULLA NATURA DI COLLEZIONI E MUSEI

 

 

Simona Fuscà

 

 

 

I. Accumulare “cose”

Se fosse possibile, per assurdo, tornare indietro nel tempo, gettare uno sguardo sull’uomo e percorrerne, passo dopo passo, la storia dalla più remota antichità fino ad oggi, le impressioni ed i giudizi conclusivi che si potrebbero formulare sarebbero probabilmente condivisibili dalla maggior parte degli osservatori. Certo l’uomo appare straordinariamente diverso, un essere davvero multiforme non solo nel corso dei secoli ma anche se, nello stesso arco di tempo, ci si sposta di pochi chilometri all’interno del medesimo territorio: diverse le leggi, i costumi, la lingua e così via. Eppure se volessimo ugualmente tentare di enumerare le caratteristiche che, in qualche modo, accomunano gli uomini fra loro e che persistono nel tempo, certamente non potremmo fare a meno di ricordare un singolare comportamento che accompagna nei secoli questo particolare essere vivente e la cui origine si perde nei meandri della storia: l’uomo ha sempre “accumulato cose”, gli piace raccogliere oggetti, renderli propri, conservarli per svariati scopi (siano essi rituali e/o religiosi, culturali ecc.) o semplicemente per il puro gusto di farlo. Infatti tale comportamento non è rintracciabile, come a volte si legge, solamente a partire dall’età in cui fiorisce l’arte greca. In realtà, volendosi mettere alla ricerca dei primi indizi, delle prime tracce di un’attività collezionistica – s’intende, ancora in stato embrionale – si dovrebbe far riferimento a circa 50000 anni fa, in Francia, nella grotta dell’Hyène (Arcy-sur-Cure, Yonne). Qui sono stati trovati oggetti molto particolari, curiosità se così si possono definire, appartenuti agli abitanti della suddetta grotta e rinvenuti da André Leroi-Gourhan (1971, p. 35), autore della scoperta. Ma lasciamo che sia lui stesso, come leggiamo nel suo testo “Prehistoire de l’art occidental”, a descriverci ciò che rinvenne:

 

Una serie di oggetti di curiosità, raccolti dagli abitanti della grotta dell’Hyène durante i loro spostamenti. Sono una grossa conchiglia a spirale di un mollusco dell’era secondaria, un polipaio a forma sferica della stessa epoca, dei blocchi di pirite di ferro di forma bizzarra. Non sono affatto delle opere d’arte, ma che delle forme di tali produzioni naturali si siano imposte all’attenzione dei nostri predecessori zoologici è già il segno di un legame con l’estetico. La cosa è tanto più sorprendente in quanto nessuna soluzione di continuità è rilevabile in seguito; gli artisti, fino al Magdaleniano, continuano a tramandare il bric-à-brac del loro museo all’aria aperta.

 

La storia degli artefatti comincia circa tre milioni di anni fa. In effetti, l’uomo ha da sempre prodotto oggetti: utensili, case ecc. cosicché la storia dell’uomo è inscindibilmente legata a quella delle cose. Nel momento però in cui ha inizio il riscaldamento climatico, tra i 60000 ed i 40000 anni fa (nella fase ultima di tale periodo collochiamo appunto la scoperta della grotta dell’Hyène in Francia), si verifica qualcosa di strano: si rinvengono oggetti che non sembrano affatto aver avuto una funzione prettamente utilitaristica, anzi ci sono tutti gli elementi per presupporre che queste “curiosità” fossero mantenute al di fuori delle attività economiche dell’epoca. È possibile affermare che gli abitanti della grotta dell’Hyène ad Arcy-sur-Cure si aggiudicano il titolo di primi “collezionisti” della storia.

 

II. Chiarimenti preliminari

II.1. Definizioni iniziali

Chiarita la questione dell’inizio dell’attività collezionistica – seppur in forma embrionale –, occorre a questo punto effettuare un passo indietro e far meglio il punto della situazione sull’oggetto di tale indagine, cioè chiarire il termine di “collezione” ed anche quello di “museo”.

         Collezione. Molto spesso, ed anche in questo caso, una parola viene esemplificata dalla sua medesima etimologia. A ben saper guardare, il termine stesso racchiude in sé la spiegazione del proprio significato. Il dizionario di latino ne dà una conferma, “collezione” deriva da “colligo”.

 

Colligo, is, legi, lectum, ere, 3 tr.

 

1 Raccogliere, radunare, ammassare, riunire; [...] 2 acquistare, guadagnare, mettere insieme, enumerare, riunire facendo calcoli (Castiglioni, Mariotti, 1996, ad vocem).

 

A sua volta il termine si compone del prefisso “cum” e del verbo “ligo”: raccogliere, legare insieme dunque. Questo è il significato di base del termine collezione: insieme di oggetti legati fra loro. La definizione è però incompleta e genera una domanda: quale sarà il filo che lega insieme un qualsiasi insieme di cose? O meglio: quali saranno le condizioni di base che garantiscano che quel raggruppamento è una collezione?

Krzysztof Pomian (2007, pp.17-18) ci viene a questo punto in aiuto.

 

Una collezione, cioè ogni insieme di oggetti naturali o artificiali, mantenuti temporaneamente o definitivamente fuori dal circuito di attività economiche, soggetti a una protezione speciale in un luogo chiuso sistemato a tale scopo, ed esposti allo sguardo del pubblico.

 

È dunque, in linea di massima, necessario che un insieme di “cose” soddisfi tali condizioni affinché sia a pieno titolo chiamato “collezione”.

         Museo. Esso è per definizione, si sa, il luogo, il “palazzo” delle Muse – le figlie di Zeus e Mnemosine (la memoria) –. Anche in questo caso il dizionario di latino è molto utile:

 

Museum, i n.

 

1 Museo, luogo sacro alle Muse, accademia, biblioteca

(Castiglioni, Mariotti, 1996, ad vocem).

 

Tale istituzione, modernamente intesa, nasce molto dopo rispetto alle collezioni, e solo in seguito a tutta una serie di rivolgimenti storici.

Il museo può essere considerato la rappresentazione più riuscita di un’idea visiva della cultura: concetti, idee, saperi, notizie che si palesano attraverso oggetti. Si potrebbe parlare di una vera e propria reificazione della cultura. Nella rivista “AM” n°14, Giovanni Kezich comincia il suo articolo (intitolato, per l’appunto, “Museo”) con la definizione di museo elaborata da Quintiliano (Institutio oratoria III, 4) e celata in una sua prescrizione volta a facilitare un oratore nel tenere a mente le varie parti del discorso da esporre al pubblico. Ecco come quest’ultimo dovrà organizzare il proprio Theatrum Memoriae:

 

Per formare una serie di luoghi della memoria ci si ricordi di un edificio, il più spazioso e vario possibile, con atrio, soggiorno camere da letto, senza dimenticare le sale e gli ornamenti che le abbelliscono. Le immagini che devono richiamare il discorso – ad esempio, ci si potrà servire di un’ancora o di un’arma – vengano collocate con l’immaginazione nei luoghi dell’edificio già fissati nella memoria. Fatto questo, non appena la memoria dei fatti chieda di essere rivissuta, questi stessi luoghi verranno rivisitati e ogni custode restituirà il suo deposito.

 

Il Theatrum memoriae ed il Mouseion, il museo, sono a buon ragione considerati da Giovanni Kezich “cugini primi”. Gli oggetti, collocati a arte in un apposito luogo chiuso, hanno il potere di evocare memorie che rimandano ad un altrove, secondo un sistema di corrispondenze non casuale ma strutturato e ordinato. Ad esempio i dipinti, esposti secondo un criterio cronologico, suggeriscono all’osservatore l’idea di un viaggio nelle epoche e nello spazio finalizzato a ricostruire, nel breve arco di tempo di una visita museale, l’evoluzione della storia dell’arte. È possibile definire il museo moderno come un’istituzione dedita alla conservazione, esposizione, studio e valorizzazione dei beni culturali.

 

II.2. Dal privato al pubblico

Che rapporto intercorre fra le collezioni ed il museo modernamente inteso? In realtà, per un verso, esso può essere definito stretto, nel senso che, osservando il corso della storia, è spesso possibile indicare il museo come quell’ente che sostituisce i precedenti proprietari delle collezioni. Tuttavia, per altri aspetti, le differenze tra questi due oggetti di studio sono eclatanti: conseguentemente al processo sopra descritto, l’ente museo modifica inconfutabilmente il carattere, lo status stesso delle collezioni. È qui opportuno fornire qualche chiarimento.

Le grotte dell’età primitiva (come quella di Arcy-sur-Cure), i templi greci con i loro inestimabili tesori, le tombe di ricchi e illustri uomini del passato, le nobili dimore dei più abbienti signori, i gabinetti, gli studioli ecc. sono tutti antenati del museo odierno: ambienti in cui custodire una o più collezioni, esposte però solo a pochi fortunati. Tuttavia, la nascita dei nuovi contenitori di raccolte di oggetti – i musei – comporta un fondamentale cambiamento: le collezioni acquistano un nuovo status, significati rinnovati. Ciò che cambia risulta ben chiaro aggiungendo due soli aggettivi ai due elementi d’indagine: gradualmente si passa dalle collezioni private ai musei pubblici. Col tempo le raccolte dei tesori del passato e delle testimonianze delle diverse stagioni artistiche non sono più vincolate ad un unico proprietario o ad un ente (come la Chiesa) che può disporne a suo piacimento, ma sono invece assorbite da istituzioni pubbliche. Tale processo si verifica secondo modalità disparate: il sequestro di opere di varia natura, da parte dello stato, ai legittimi proprietari – primi fra tutti le chiese ed i conventi soppressi dall’ondata rivoluzionaria – e la creazione di edifici atti ad ospitare gli oggetti espropriati; l’apertura al pubblico delle biblioteche e delle collezioni prima a carattere privato; la donazione, da parte di grandi collezionisti, dei tesori accumulati nel corso di tutta una vita e così via. È importante ricordare anche che, mentre i musei sopravvivono ai loro istitutori e sono permanenti nel tempo, le collezioni private molto spesso sono smembrate e si disperdono dopo la morte del fondatore. Afferma Pomian (2007, p. 56):

 

Qualunque ne sia lo status legale, il museo è infatti una istituzione pubblica; un museo privato è solo una collezione privata che si fregia di un nome che l’assimila a un’istituzione ben diversa. Si tratti di donazione, acquisto di collezioni private ad opera dello stato, nazionalizzazioni delle ex proprietà reali, nobiliari o ecclesiastiche – come in Francia durante la Rivoluzione – o creazione di una fondazione senza scopo di lucro – il che è all’origine dei grandi musei americani –, al punto di partenza di ogni grande museo, se non di ogni museo, c’è un atto della pubblica autorità o della collettività.

 

 

Simona Fuscà

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

-          L. Castiglioni, S. Mariotti, 1996, Il. Vocabolario della lingua latina, Torino, Loescher.

-          G. Kezich, 2006, “Museo”, in Antropologia Museale, 14, pp. 57-59.

-          A. Leroi-Gouran, 1971, Préhistoire de l’art occidental, Paris, Mazenod.

-          K. Pomian, 2007, Collezionisti, amatori e curiosi. Parigi-Venezia XVI-XVIII secolo, Milano, Il Saggiatore (edizione originale Collectionneurs, amateurs et curieux, Paris, Venise: XVIe-XVIIe siècle, Paris, Gallimard, 1987).