Carlo Wostry (Trieste 1865 - 1943)

 

Saggio critico

 

Walter Abrami

 

 

 

L'irrequieto itinerario artistico d'un versatile protagonista della pittura triestina.

 

Il lungo percorso artistico di Carlo Wostry incomincia nel 1870. Ristabilire i legami tra gli artisti dell’epoca e ritessere un tessuto culturale complesso per il gran numero di varianti nella Trieste di allora significa tentare di chiudere le distanze che intercorrono tra noi e la molteplice, fin troppo abbondante e per questo talvolta deprezzata e sottovalutata, attività di Wostry. Il tentativo di mettere a fuoco una situazione storica complessa determinata a Trieste dalla grande immigrazione e dalle rapide, fulminee fortune d’imprenditori scaltri, d’abili commercianti e d’avventurieri, ci porta anche a considerare le difficoltà alle quali andò incontro Wostry allorché le committenze inevitabilmente cambiarono con il passar degli anni. Vediamo cosa succede in città.

Mentre prende confidenza con carboncini e matite che lo attraggono, Lonza e Scomparini, coetanei, provenienti entrambi dall’Accademia di Venezia dove hanno studiato sotto la guida di Michelangelo Grigoletti e Pompeo Molmenti, iniziano a dipingere. A Trieste sono pressoché sconosciuti. La straordinaria bravura di cui hanno dato ampia dimostrazione in città i pittori storici Giuseppe Lorenzo Gatteri e Cesare Dell’Acqua, fino alla sua partenza per il Belgio (1848), è un retaggio impegnativo. A Venezia, inoltre, i due giovani hanno raccolto folgoranti memorie dell’ingegno di Dell’Acqua: ne parlavano gli allievi del Grigoletti, Ludovico Lipparini e Odorico Politi. Negli ambienti artistici in riva all’Adriatico è vivo anche un sentimento d’ammirazione nei confronti del grande Giuseppe Tominz e si discute ancora animatamente – nonostante sia già trascorso un trentennio dalla sua partenza per Milano - delle miserie del formidabile e sfortunato Giuseppe Bernardino Bison.

Antonio Lonza ed Eugenio Scomparini frequentano il caffè sotto i portici di Chiozza, sono incuriositi dalle stravaganze di Francesco Malacrea che assieme ad altri artisti anziani espone e vende le tele in strada sotto il pronao del palazzo della Borsa, e hanno i primi contatti con Augusto e Alfredo Tominz, l’architetto Giacomo Zammattio, Giuseppe Caprin e Gian Lorenzo Gatteri. Nel 1871, quando la Società per l’Arte e l’Industria, di cui era presidente il barone Reinhelt, organizza un’esposizione lungo il viale dell’Acquedotto nella località "Campagneta", Caprin segnala L’Amleto di Scomparini: il pittore ha già svolto un proficuo alunnato nella Scuola di Disegno (1868 – 1869) e ha iniziato a lavorare con Giovanni Moscotto, scenografo di vasta esperienza e indiscussa capacità. Contemporaneamente Lonza fa notare alla cittadinanza una certa predisposizione per i soggetti religiosi; è, infatti, memore delle opere di Sebastiano Santi e del friulano Domenico Fabris.

Altri pittori e intellettuali sono in diretto contatto con Lonza e Scomparini: Giovanni Luigi Rose, Antonio Pascutti, Alberto Rieger, Giovanni Rota, Antonio Rose, Tito Agujari, Gian Lorenzo Gatteri e Giuseppe Pogna per dire di alcuni.

Pogna, che ha alle spalle una famiglia di tecnici teatrali, è uno degli amici più attivi ed ha uno studio in comune con Lonza. Dal 1874 al 1877 Lonza e Scomparini, considerati ‘pittori meritevoli’, - usufruiscono di una borsa di studio d’ottocento fiorini loro assegnata dal Consiglio Municipale e soggiornano a Roma

Momento fondamentale nella storia della pittura locale, poiché di ritorno a Trieste iniziano una specie di movimento moderno, essenzialmente coloristico; esso nasce dall’infatuazione – comune in tutta Italia del resto – per la pittura dorata dello spagnolo Mariano Fortuny. Il pittore e incisore spagnolo, dopo un viaggio in Marocco è a Parigi e i suoi temi esotici (arricchiti da altre nuove esperienze giapponesizzanti importate dall’Oriente) destano interesse anche parecchi anni dopo. Le nuove generazioni le assimilano in vari modi e così fanno anche i due triestini. Sono pure di questi anni gli iniziali esercizi triestini di Giuseppe Barison che nel 1873 si reca all’Accademia di Vienna; continua a frequentarla negli anni successivi sotto la guida dei maestri Karl von Blass e del ritrattista Ritter von Engerth. Non è il primo concittadino a prendere questa via. Senza saperlo è sulle tracce di Madrian che in Austria è infine rimasto; al rientro a Trieste, che avviene nel 1878, Barison è pittore ormai "affermato e indipendente". Questa constatazione dei giornali dell’epoca lascia intuire il durissimo lavoro svolto dall’artista nell’Accademia.. Lo stesso impegnativo alunnato che si accinge ad affrontare Wostry nel 1882, momento in cui se ne va da Trieste e arriva a Vienna. E’ il primo di un’interminabile serie di viaggi che lo portano, dapprima incosciente, poi inquieto e certamente ambizioso, a cercar riconoscimenti e fortuna economica lontano da Trieste. Irruente e determinato, appena Wostry percepisce l’interiore necessità di allontanarsi, decide di andarsene senza ripensamenti. E’ spinto dal desiderio di fare nuove esperienze, ma in realtà il partire è solo un embrione di quella solitudine interiore che saprà mascherare con il suo umorismo, con le sue battute, con le matite più che con la voce, ma che lo accompagnerà in America a sessant’anni.

Wostry è dunque a Vienna quando Scomparini promuove la fondazione del Circolo Artistico di Trieste e ne diviene vicepresidente prima e presidente dopo la morte di Giuseppe Lorenzo Gatteri avvenuta nel 1884. L’anno seguente lascia l’incarico a Lonza; nel frattempo Isidoro Grünhut, giovane pittore assai promettente, parte per Monaco (1882). Euno dei primi artisti triestini – con Francesco Beda, Giuseppe Barison e Arturo Rietti - a recarsi in Germania; l’esodo verso la Baviera è determinato in parte anche dal temporaneo decadimento della scuola veneta e gli artisti giuliani approfittano della nuova opportunità. Anche Wostry vi andrà, ma prima, come abbiamo visto, è a Vienna dove compie importanti esperienze.

Ma che cosa raccoglie in termini pratici, pittorici, dalla triennale partecipazione e frequenza dell’Accademia viennese ferma nel proprio conservatorismo? Nella capitale egli, allievo piuttosto dotato, deve sentirsi uno dei tanti, al cospetto di professori severi ed esigenti di stampo antico e privi di lungimiranza (a loro progressivamente si ribellano le forze artistiche giovanili); non sappiamo se ne è intimorito, se sente il peso dell’impegno, certo alcune testimonianze successive lo lasciano presupporre. Nella città imperiale viene a contatto con Anselm Feuerbach che nel 1855 era stato a Venezia e si era formato sull’arte di Palma, Veronese e Tiziano. A questo splendido pittore guarda spesso il Wostry maturo, memore anche delle lezioni viennesi. Negli anni Sessanta Feuerbach realizza numerosi ritratti della modella romana Nanna Risi che corrisponde al suo ideale di bellezza malinconica e forse Wostry ne vede qualcuno, poiché, successivamente, soprattutto in figure femminili inserite in dipinti d’arte sacra (o in tentativi all’acquerello) dipinge volti simili in maniera personale. Feuerbach oltre che a Roma è a Firenze: influenzato dal Rinascimento italiano, s’ispira a temi danteschi, soggetti che piacciono anche ai preraffaelliti Dante Gabriele Rossetti e William Morris, che illustra il poema epico "The Earthly Paradise". Nel 1871 Rossetti dipinge in Inghilterra Il sogno di Dante, ma fin dal 1849 ha disegnato con l’inchiostro The first Anniversary of the Death of Beatrice; altri compagni della confraternita preraffaellita quali William Holman Hunt e Arthur Hughes seguono il suo esempio.

Wostry assimila queste lezioni e nel secondo decennio del Novecento le mette in pratica. Lo fa allorquando gli amici irredentisti Giovanni Mayer, Glauco Cambon, Piero Sticotti e Riccardo Zampieri rivolgono la loro attenzione a Ravenna dove Dante è sepolto. Wostry realizza una serie di disegni che non lasciano dubbi sulle ampie conoscenze della pittura inglese, soprattutto del ciclo di Cupido e Psiche realizzato da Burne Jones per il Palace Green (1871 – 1881). A Vienna il giovane ammira i soffitti e le volte d’alcuni saloni dell’Accademia che Feuerbach ha affrescato con ingegno. L’osservazione attenta di questo formidabile decoratore fa riflettere Wostry, poiché anch’egli tende a dipingere su vaste superfici e mira al gran formato. Inizialmente lo pensa solo, ma dopo Monaco dov’è nel 1885, lo attua con sicurezza. Traccia a mano disegni ben proporzionati senza nemmeno l’uso delle quadrettature come s’usa e s’usava fare. Se pensiamo che anni dopo Wostry considera il quadro Dafni e Cloe uno studio (vedi scheda ), possiamo interpretare l’esercizio fatto a Monaco: in quest’opera egli crea un soggetto idillico, ma rappresenta il tema con senso del vero rendendo il soggetto luminosa e pieno di movimento. Feuerbach, inoltre che è messo presto in disparte e non ha seguaci, pone seria attenzione alla cultura umanistica (è ispirato anche dalle opere di Francesco Petrarca, Ludovico Ariosto, William Shakespeare) e conferisce significato ai contenuti letterari come fa Wostry allorché prende spunti dalle traduzioni di Annibal Caro e dalle poesie di Giosuè Carducci (vedi scheda ) Di sicuro dalle pitture sacre di Feuerbach il triestino apprende l’utilizzo prospettico di certi espedienti come quello della scalinata che ritorna spesso nei suoi soggetti (vedi scheda ).

Anche Hans Makart, allievo di Karl Piloty, contribuisce alla formazione viennese di Wostry; Makart è esponente di primo piano della sua epoca detta appunto "epoca Makart". Anch’egli predilige i formati enormi, anch’egli usa una tavolozza brillante e attinge da un ricchissimo repertorio culturale. Gli è rimproverata una certa superficialità interpretativa, ma nel 1879, poco prima dell’arrivo di Wostry a Vienna, egli realizza l’apparato della Ringstrasse in occasione delle nozze d’argento della coppia imperiale e presso l’Accademia se ne parla ancora con interesse e curiosità. Lo stile di Makart determina dunque un fenomeno di gusto non limitato solamente alla pittura e alle decorazioni nelle case della signorile Vienna, che lo vedono protagonista magistrale; esse lasciano intuire la stima di cui generalmente godeva. All’Accademia probabilmente Wostry conosce anche Heinrich von Angeli. Questo pittore esegue molti ritratti a persone della società aristocratica e pure all’imperatore Francesco Giuseppe I che raffigura con le insegne del Toson d’Oro. Angeli fa anche il ritratto di Guglielmo II e della sua sposa e la regina d’Inghilterra Vittoria gli assegna uno studio a Buckingan Palace. E’ possibile che a Wostry giunga solamente il suo nome e in ogni caso la sua pittura ritrattistica dei primi decenni - salvo il ritratto del barone Pietro Sartorio (vedi scheda ) - va in altra direzione. A Vienna, tuttavia, ammira le opere di molti maestri italiani ed europei del passato.

Concluso il triennio viennese, nel 1885 Wostry va a Monaco di Baviera, divenuta il centro propulsore in Germania delle nuove correnti realistiche anche in seguito all’Esposizione Internazionale del 1869 che vede la presenza di dipinti di Gustave Courbet; le sue opere ora capovolgono del tutto le vecchie teorie e le sue figure si sottraggono a suggestioni romantiche per dar corpo ad una più autentica rappresentazione della realtà.

A Monaco Wostry rimane un anno in compagnia di Isidoro Grünhut, Umberto Veruda, Edoardo Variano, Riccardo Carniel e Vittorio Güttner e seguiti negli anni a venire da Ruggero Rovan, Guido Grimani, Gino de Finetti, Arturo Fittke, Oscar Hermann Lamb, Bruno Croatto, Marcello Dudovich, Glauco Cambon, Gino Parin, Argio Orell fino a Cesare Sofianopulo. Con la sua Accademia, Monaco è, per molti artisti dell’area giuliana e isontina, la prima città europea dove recarsi per studiare seriamente, avere contatti efficaci e avvicinarsi alle nuove tendenze figurative: in poche parole, la meta scelta per sprovincializzarsi e diventare pittori europei.

Per Grünhut, Wostry e Veruda il soggiorno monacense, pur spensierato, è duro: oltre ad esercitarsi insistentemente devono pure guadagnarsi da vivere perché i soldi sono pochi e non bastano mai; frequentano le keller (cantine) e s’improvvisano musicanti nelle birrerie. Wostry, che suonava la chitarra, nella sua Storia del Circolo Artistico di Trieste ricorda questi momenti in aneddoti gustosissimi: "Tutti noi mangiavamo a credito in un’osteria nei pressi dell’Accademia. Alla fine della settimana il conto non era indifferente.Si pagava come si poteva Herr Bühler, l’oste, portava pazienza perché voleva bene ai giovani artisti, l’affetto dei quali deve essergli costato, credo, qualche grosso biglietto di banca. Un bel giorno ci congedò. Il ‘Gobbo’ [Grünhut] perorò per tutti noi. Fu sobrio, ma epico: buttarci fuori così, su due piedi, senza neanche un giorno di preavviso, era cosa inumana. Herr Bühler si commosse. ‘Ben, vi darò da mangiare anche domani, e poi basta.’ Il ‘Gobbo’aveva adocchiato una mezza dozzina di pernici che pendevano da un chiodo nella dispensa e fece tanto, disse tanto, promise tanto che l’oste acconsentì che le pernici fossero riservate per il banchetto d’addio dell’indomani. L’oste mangiò con noi, ma poi fu inesorabile: non volle vederci più."

Nel 1885 l’Accademia di Monaco lascia la vecchia sede nella NeuhauserStraße ed è spostata in un palazzo neorinascimentale accanto all’Arco della Vittoria. Il direttore dell’Accademia Karl Piloty introduce vari elementi nuovi nella struttura organizzativa della medesima che devono mirare ad istituire un corso di preparazione per l’ammissione vera e propria. Una commissione è chiamata a giudicare e verificare i lavori di tutti gli studenti e anche i triestini dovettero fare i conti con una possibile riduzione d’iscritti nei semestri successivi; forse è questa la reale motivazione dell’abbandono dell’Accademia da parte di Wostry, ma non è l’unica. Già qualche anno prima illustri professori hanno pensato di istituire un corso di preammissione per appurare, nel dubbio, le reali predisposizioni degli studenti.

Ma, in realtà, come sono istruiti i nostri allievi-pittori a Vienna e a Monaco? Il più delle volte l’accesso all’Accademia è preceduto da una visita che l’aspirante allievo fa allo studio di un professore: gli porta in visione una cartella con i lavori selezionati e ritenuti più validi. Dopo l’iscrizione ufficiale all’Accademia ogni giorno, per tre ore mattutine, i giovani svolgono esercizi di disegno su calchi naturali, eseguono studi anatomici, modellano busti con il gesso.

Tre volte la settimana, durante i pomeriggi, devono affrontare lezioni di prospettiva, di geometria e approfondire la conoscenza degli stili architettonici. Nei pomeriggi rimanenti si effettuano lezioni di storia generale e si studiano i cambiamenti dei costumi nella storia e si discute di moda.

Con la creazione del corso di preammissione l’Accademia riesce a ridurre il numero degli studenti al livello desiderato in due anni, ma Wostry ne ha abbastanza e i suoi vent’anni reclamano anche altro, dopo un così lungo periodo di noiosissimi esercizi e di poca pittura. Riesce in ogni caso ad affinare i suoi requisiti, impara ad osservare, sa dare la giusta importanza allo studio dei corpi, dei soggetti da ritrarre, alle proporzioni e soprattutto alle luci.

Al di la dello studio pratico che è preponderante, a Monaco Wostry può potenziare anche quello teorico e può ammirare le innumerevoli opere delle due Pinacoteche; in quell’antica, costruita da L. de Klenze per desiderio del re Ludwig I, Wostry vede i dipinti di grandi maestri del passato (essa raccoglie infatti opere di Cimabue, Giotto, Masaccio, Perugino, Andrea Mantegna e Leonardo da Vinci) e il triestino è attento a tutti i capolavori di soggetto religioso: ne trarrà abbondante giovamento a posteriori. Ammira il pittore fiammingo Pietre Paul Rubens, presente all’Accademia con quarantotto dipinti e osserva i lavori del pittore-grafico tedesco Albrecht Dürer. Nelle Logge dell’antica Pinacoteca è attratto da dipinti della scuola veneta e di Gentile Bellini, pittore ufficiale della Repubblica, che nel 1479 era stato mandato dal doge a ritrarre Maometto II. Wostry studia i dipinti Dürer visita Bellini, Bellini dipinge a Costantinopoli l’amante del Sultano, Giulio Romano e Vasari vanno a trovare Tiziano.Nel pianterreno della Pinacoteca c’e il gabinetto reale d’intagli in rame e di disegni e nemmeno questa sezione gli sfugge, anche se, non dimentichiamolo, è solo un ventenne assetato di novità.

Nelle gallerie della nuova Pinacoteca può anche vedere gli affreschi eseguiti da Nilson in chiave umoristica: rappresentano le iniziative del re Ludwig a favore dell’arte a Roma e Monaco. Wostry pone attenzione anche ad un soggetto classico che riprenderà molto dopo: Le tre Grazie. A calamitarlo sono certamente le sale minori che ospitano dipinti dei nuovi maestri che lo calamitano: vede opere di Arnold Böcklin, di Albert Zimmermann, di Alfred Zimmermann, di Feuerbach, e soprattutto molti soggetti di Franz von Lembach (Autoritratto, ritratti, studi di figura e copie da pittori celebri quali Velasquez, Tintoretto e principalmente da Tiziano: Erodiade con la testa di Giovanni Battista). Di Tiziano Wostry conosce già Ninfa e Pastore e L’Incoronazione di spine.

Il suo ritorno a Trieste è ricco di soddisfazioni; le quattordici stazioni della Via Crucis (vedi scheda ) pur aneddotiche e di facile lettura, ottengono il plauso generale nonostante siano state eseguite in fretta. Sono considerate un saggio arditissimo. I giornali dell’epoca danno un notevole risalto a tutto il ciclo giudicando positivamente l’insieme anche se sono evidenti "certi sbilanciamenti del colore e del disegno" e una certa trascuratezza ("L’Indipendente" 23/4/1888). Per Wostry, incosciente e spregiudicato in quest’occasione, si tratta di una fatica interessante poiché egli mette in pratica ciò che ha osservato a Vienna e a Monaco, ma soprattutto ha modo di capire i problemi prospettici derivati da sistemazioni insolite delle pitture. Le altezze delle pareti della chiesa costringono i fedeli ad osservare le figure da lontano; le proporzioni dei santi dipinti, devono adeguarsi al punto di vista generale. Nel frattempo giornali locali come "Il Cittadino", riportano spesso notizie di Parigi: sul numero del 13 ottobre 1887 due intere colonne sono dedicate alla futura Esposizione del 1889 e in particolare della torre Eiffel che è ancora in fase di costruzione.

Nel 1888 Wostry vince il concorso Rittmeyer con La piccola convalescente; il quadro - un soggetto accademico piuttosto banale la cui pittura trova facili riscontri in molti dipinti dell’epoca - è preferito ai lavori di Grünhut e Veruda. I tre pittori sono definiti dalla stampa locale "tre ingegni robusti, tre promesse dell’arte", ma si dividono presto: nel 1887 Veruda si reca a Parigi per la prima volta e Wostry va a Roma ("L’Indipendente", 8/10/1888). Fino a quel momento egli ha dipinto pochi ritratti che risentono fortemente delle lezioni accademiche; nelle prime opere è evidente l’influsso dell’impressionismo tedesco. Wostry è davvero un giovane talento, ha voglia di dimostrare quanto vale e, pur dovendo affrontare un serio problema di vista che lo condizionerà per tutta la vita impedendogli di avere una visione binoculare, obbligato al riposo, dopo un’interruzione riprende convinto il mestiere di pittore. E’ una scelta ponderata, definitiva.

Qualcosa è cambiato nel suo animo, è maturato, e quel che più conta, si sente profondamente libero dopo tante esercitazioni accademiche utili in verità, ma limitative per la sua energia, il suo vigore e il suo entusiasmo. Egli avverte la bellezza del colore che esalta il disegno preciso e arricchisce la tavolozza e segue l’istinto ma non dimentica mai la forma. In poche parole interpreta ‘alla Wostry’ una pittura tradizionale, ma il contatto con l’estroso Veruda, più giovane di lui di tre anni, gli è di conforto ed egli capisce che saper guardare i soggetti diventa un fatto del tutto personale.

Espone alcuni lavori recenti a Budapest e a Barcellona e in entrambi i casi le sue opere sono premiate. Intanto Veruda va a Roma e d’estate ritorna a Monaco per un soggiorno di perfezionamento. A Trieste frequenta il Circolo Artistico Triestino e Giuseppe Garzolini, uno dei principali animatori gli affida l’illustrazione di una pagina della "Strenna del Circolo"; altri artisti quali - Enrico Nordio, Giuseppe Sigon, Arduino Berlam, Ernesto Croci, Lorenzo Butti, Gustavo Hess e Giuseppe Marass e lo stesso Veruda - contribuiscono a realizzarla. Va infine alle stampe una pubblicazione che raccoglie disegni e componimenti di autori diversi: ha in copertina un’immagine di Scomparini. Wostry e Veruda eseguono anche le caricature per la festa organizzata in suo onore (vedi scheda ). "L’Indipendente" del 4 maggio 1888 riporta: "Da ieri, la magnifica sala del nostro Circolo Artistico ha un nuovo ornamento che la rende più caratteristica. Nello spazio riservato alla scuola del nudo, sono esposti in giro alle pareti le caricature de’ suoi fondatori: una galleria delle meglio riuscite, che probabilmente sarà completata. Il giovane e fervido ingegno di Wostry e Veruda vi si rivela in tutta la sua balda e felice disinvoltura."

Nello stesso periodo i due artisti eseguono il ritratto di Giuseppe Garzolini anche se le date poste sulle due tele differenziano di un anno. Wostry, contrariamente a Veruda, è attento ad una soluzione quanto mai naturalistica del soggetto e realizza la splendida figura a grandezza naturale (vedi scheda ) come ha fatto l’amico nel Ritratto di Marco Terni del 1893. In anni successivi Veruda riprenderà in enormi tele soggetti di forte impatto e sceglierà individui a lui particolarmente vicini; nei primi anni del nuovo secolo porterà a compimento il Ritratto dello scultore Giovanni Mayer e Il padre del pittore.

Il 1888 è anno memorabile del percorso pittorico di Wostry poiché egli supera se stesso. A pochi mesi di distanza dal ritratto di Garzolini realizza quello del barone Pietro Sartorio che segue con interesse la sua attività e gli è vicino (vedi scheda ). Messi a confronto i quadri costituiscono, nella loro assoluta diversità, due capisaldi della sua carriera d’artista: Wostry è padrone dello spazio, la sua spavalderia è conseguenza della bravura nel disegno e non ha timori reverenziali.

Di lì a poco osserva i viali di Trieste, i declivi spogli del Carso e sceglie due soggetti che lo ispirano Passeggio Sant’Andrea (vedi scheda ) e Tramonto al Molo San Carlo (vedi scheda ). Si tratta di due formati orizzontali identici nei quali Wostry studia attentamente la composizione, la prospettiva e la luce che diviene elemento fondamentale. Nel primo dipinto il pittore fa sfoggio di una gamma di colori assai vasta che gli consente di esaltare il fogliame degli alberi, gli abiti eleganti delle due donne, la pavimentazione della strada, ma è tutta la scena che ci rende partecipi perché, per assurdo, sentiamo il rumore delle ruote della carrozza che procede verso di noi e siamo incuriositi dalla espressione delle due donne a passeggio. Il quadro è l’istantanea più esaltante di Wostry. Nel Tramonto, di cui esiste un’inedita opera preparatoria monocroma che è più di un semplice bozzetto, l’artista compie un altro quadro di forte pathos; è festa e la gente cammina tranquilla sul molo; la luce cambia, il calar del sole rende chiaro l’orizzonte e uomini e donne in atteggiamenti diversi aspettano l’imbrunire. Sembra che tutto si quieti e il pittore, anche poeta in questo dipinto - più avanti sarà tale anche nella Maggiolata al Cacciatore (vedi scheda ) - sublima la luce, il mare, il tempo. La barca a vela è un simbolo della città, della storia del nostro mare - non è un caso che Wostry la dipinga anche ne Il Martirio di San Giusto (vedi scheda )– e c’è silenzio. Tutto è effimero. Il quadro preparatorio consente di analizzare i ripensamenti di Wostry che elimina alcune linee prospettiche della pavimentazione del molo, discosta qualche figura e rinuncia a dipingere una barca giudicando inutile il suo apporto visivo. La riduzione degli elementi giova infine al soggetto.

Del medesimo anno è anche la Scena allegorica (vedi scheda ) che ricorda molto da vicino i lavori di Scomparini; è dipinta con certo nervosismo di tratto ed è semplicemente uno studio scenografico, ma ci racconta dei contatti che Wostry ha avuto con il più anziano maestro e la suggestione teatrale che da lui talvolta ha desunto. Esattamente un decennio prima, Scomparini - Wostry è da poco tornato da Monaco- ha eseguito il sipario del Politeama Rossetti. Wostry, nelle sale del Circolo Artistico (negli anni Novanta del secolo scorso esso aveva l’entrata principale in via San Francesco), può ammirare anche Il trionfo dell’Arte dello stesso Scomparini e gli splendidi lavori ornamentali dei soffitti. Nella sede del Circolo Artistico ci sono pure opere d’altri artisti: la Pittura di Lonza, la Scultura di Gian Battista Crevatin, la Poesia di Raffaele Astolfi e l’abbozzo della Musica di Francesco Beda. Attorno a quegli anni Wostry incomincia pure a dedicarsi alla scultura e realizza preferibilmente figure femminili; si esercita con il gesso, con il legno e con la cartapesta. Espone un paio di piccole sculture da Schollian. Nel 1890, anno dell’importante Esposizione di Belle Arti al Civico Museo Revoltella, è presente con due opere sacre di cui si è persa notizia, Processione e Sabato Santo, ed espone nel terzo reparto della mostra con Grimani, Barison, Scomparini e Marass. La sua pittura è a macchia, il colore puro; egli agisce di getto, di prima mano. All’Esposizione del Revoltella Wostry si accosta ai dipinti di Pietro Saltini (L’Anacoreta) e di Malfatti (Schiava ribelle egizia) incuriosito oltremodo dal tema moderno eclatante, spettacolare. L’avvicinamento a questi soggetti orientali è progressivo: egli conosce L’Orientale che Scomparini ha presentato a Roma nel 1883, alcune opere di Domenico Morelli - La preghiera di Maometto, Il bagno turco, Figura di Profeta, La moglie di Putifare – di Giulio Viotti - Idillio a Tebe - e d’altri pittori orientalisti quali Enrico Salfi e Camillo Miola.

Wostry esegue La moglie di Putifare, il soggetto affrontato dal napoletano, senza preoccuparsi di cambiare titolo al quadro. "L’Indipendente" del 27 febbraio 1887 riporta questo giudizio di Gozzoli su Morelli. "Di questo singolare artista si sono scritti i più disparati giudizi. Il vero è che Morelli ripugna da tutto ciò che è sistema prestabilito. Pittore religioso e romantico, pittore d’affetti e di costumi, adatta il suo tecnicismo alle esigenze del soggetto". Sembra che il giudizio sia scritto per Wostry.

Il Circolo Artistico Triestino contribuisce pure a rafforzare l’interesse generale di diversi artisti per quel "mondo di morbosità, raffinatezze e lusso, d’amori, di delitti di ricchezze e splendori". In occasione di una memorabile festa orientale al Circolo i pittori-scenografi trasformano gli ambienti e ricreano l’antica Tebe. L’immenso lavoro è diretto e in parte eseguito da Scomparini e sono esposte venticinque opere con fedeltà storica unita ad uno schietto umorismo. Wostry, Lonza e Scomparini realizzano in quell’occasione con due soli colori, il nero e l’azzurro, alcuni paesaggi tipici: sono intravisti oltre le colonne di un tempio perduto nell’immensità del deserto.

Anche Veruda e Grünhut s’interessano al tema e poco tempo dopo realizzano rispettivamente L’arabo e Odalisca seguendo pure loro i percorsi del pittore napoletano Morelli che da giovane curiosamente era stato garzone in un’officina di strumenti ottici. L’interesse di Wostry per questi soggetti che esaltano la sua pittura è durevole e fu certamente rafforzato dalle esperienze parigine (in Francia può avvicinare molte opere degli impressionisti come La festa araba di Algeri di Renoir) poiché i suoi quadri più conosciuti quali Scena d’interno orientale, Costantinopoli (vedi scheda ) e Danzatrice giapponese (vedi scheda ) sono successivi a quel soggiorno.

Gli impressionisti che ammira considerano il Giapponismo una tecnica liberatoria, una strada diversa da percorrere che si discosta dall’Accademia. Così come Wostry, del resto.

Da dove nasce in Europa quest’interesse nei confronti dell’Asia orientale? Evento di straordinaria importanza è l’apertura dei porti giapponesi tramite il commodoro americano Perry nel 1854, l’anno seguente il Giappone sottoscrive trattati commerciali con vari Paesi tra cui la Francia, la Gran Bretagna, l’Olanda. Hanno inizio scambi economici e incontri sul piano culturale. Le attività commerciali della nostra città rafforzano l’interesse degli artisti verso quelle atmosfere, quei mondi poco conosciuti che le navi delle nostre compagnie raggiungono o avvicinano. Bisogna inoltre tener conto del fatto che il barone Pasquale Revoltella, ben introdotto negli ambienti dell’alta finanza di Vienna, diede un contributo decisivo alla costituzione, nel 1858, della "Compagnia Universale del Canale di Suez" del Lesseps, divenendone vicepresidente. Agganciò insomma Trieste e l’Austria alla grande impresa del Canale, segnando nuove prospettive internazionali per il traffico del Portofranco. I pittori triestini ebbero dunque in quegli anni la possibilità, più di altri, di ascoltare testimonianze dirette, di vedere suppellettili, vasi, disegni importati dall’Oriente dai marittimi, e di accostarsi a quei mondi.

Trent’anni dopo, Samuel Bing, commerciante d’oggetti giapponesi che aprì una bottega d’arte orientale a Parigi, pubblica in tre lingue la rivista "Le Japon Artistique" e organizza una mostra con rari fogli di Utamaro. Nei suoi locali si fornisce di xilografie Theo, il fratello di Van Gogh.

Sul finire del secolo, quando Wostry vive a Parigi, i contributi giapponesi alle Esposizioni Universali aumentano e in quella del 1900, il padiglione giapponese presenta disegni a china, esempi d’arte calligrafica e sculture. Spesso il pittore triestino, che ha duraturo un difficile rapporto intimo e spirituale con l’arte sacra, inserisce elementi di derivazione asiatica in soggetti religiosi sicché il suo realismo imitativo si trasforma occasionalmente in realismo simbolico. L’Art Nouveau e lo Jugendstil s’impossessano delle xilografie e dell’artigianato artistico giapponese e anche il Simbolismo ne trae esiti decisivi.

Tra i triestini che dipinsero l’Oriente dobbiamo ricordare Giuseppe Garzolini che lavorò in Spagna e s’accostò al mondo arabo: egli fu indubbiamente un precursore. L’attenzione locale per quelle culture aumenta con il passar del tempo. Oltre Scomparini, Wostry e Veruda, dimostrano interesse a quei soggetti anche Guido Grimani, Bruno Croatto, Glauco Cambon, Giovanni Zangrando, Giuseppe Miceu, Vittorio Bolaffio, Vito Timmel, Ferdinando Quaiatti, Adolfo Levier e altri.

Ma ritorniamo al 1890. Wostry è considerato il più serio e studioso fra i giovani pittori di Trieste e con Veruda, Grünhut, Grimani e Cambon rappresenta la nuova generazione. Sono anni in cui Segantini è considerato "mostruoso" ed è derisa la sua pittura definita ironicamente "ago-pittura". Wostry è quanto mai realista e "afferra quei nonnulla che nella somma costituiscono la fisionomia del vero". La città gli offre opportunità limitate ed egli incomincia a spaziare in tutti i campi dell’arte passando da un’azione ad un’altra: dai pastelli alle matite, dagli acquerelli alle tempere, da queste alla pittura ad olio senza dimenticare la scultura. E’ versatile e si applica in ogni settore. Espone a Milano, nel tempietto di Vendelino Schollian e nell’edificio della Borsa. Qui, nel 1893, come riportano le cronache de "L’Indipendente" del 19 ottobre, presenta cinque opere, ma il quadro intitolato L’Italia che conquista la propria indipendenza - eseguito sul noto acquerello di Gatteri, - per commissione del barone Rosario Currò, è ritirato dalla sala. Wostry lo toglie in seguito ad un invito del commissario di polizia non per il soggetto in se stesso, ma per certi particolari che possono dar adito ad interpretazioni urtanti.

Torna, allora, a Budapest dove disegna e lavora con il pittore amico Zemzek. Ritrae generali, uomini e donne dell’alta borghesia (vedi scheda ). Memore delle esperienze vissute da Veruda e da Sigon e altrettanto dinamico, decide di recarsi a Parigi e stabilirsi. Lì tengono lezione i boulevards e la Senna. Il pittore sa a cosa va incontro. Nella grande Parigi ci sono mostre d’ogni genere, musei meravigliosi, tante gallerie ma… altrettanta concorrenza. Wostry ha la soddisfazione di vendere Lagrime opera che finisce nella Galleria d’Arte Moderna di Roma, e subito dopo parte. Segue l’esempio d’altri pittori delle terre venete.

Nel 1878 Federico Zandomeneghi entra in relazione con gli impressionisti e si accosta lentamente alla loro pittura pur rimanendo a lungo legato al Verismo e alla sua particolare concezione cromatica tra il timbrico e il tonale. A Parigi egli è stato di poco preceduto da Luigi Nono, attratto dai maestri paesaggisti della scuola di Barbizon. Si trova nella città contemporaneamente a Giacomo Favretto e Guglielmo Ciardi che riportano in Italia le suggestioni degli impressionisti.

Vi giunge, forse primo dei triestini, Giovanni Rota che allora relazionava al Curatore museale Alfredo Tominz sulle esposizioni più celebri; la loro corrispondenza, conservata presso gli archivi del Civico Museo Revoltella, va dal giugno 1885 al luglio 1889.

E’ così che le collezioni del nostro Museo triestino si arricchiscono d’opere straniere: nel 1886 furono acquistate le due tele Gli affamati di Henry Jules Geoffroy, dipinto che introduce al Revoltella la pittura di carattere sociale, e un’opera storica, Madame Roland di Evariste Carpentier.

Rota è seguito da Antonio Pascutti, Tito Agujari e da Antonio Lonza, che ottiene una certa notorietà con il quadro I giocolieri esposto nel 1882. In tale data Claude Monet, quarantaduenne, aveva dipinto ormai da dieci anni Impressione, sole nascente.

Veruda giunge per la prima volta a Parigi nel 1887 e vi rimane sei mesi. Dal 1889 è a Parigi Arturo Rietti che più d’altri colleghi sa interpretare nei suoi pastelli raffiguranti eleganti donne, le atmosfere francesi, la moda, la magia degli impasti: è suggestionato da Giovanni Boldini e dalle evanescenze stilistiche di Eugene Carrière.

E’ l’anno dell’Esposizione Universale, che in un certo qual modo vuole solennizzare l’anniversario della Rivoluzione francese; in uno dei numerosissimi, enormi padiglioni nei quali ci sono attrazioni di tutti i tipi, poco distante dalla torre Eiffel mancante solo del faro e della cupola finale, Rietti espone un Ritratto di vecchia signora che è premiato con una medaglia d’argento. Nel 1890 Carlo Savorgnani pittore-decoratore, Antonio Taddio stuccatore e Giuseppe Sigon fanno un viaggio d’istruzione a Parigi; tornano a Trieste e relazionano sull’esperienza alla Delegazione Municipale e ai soci del Circolo Artistico. Savorgnani descrive le varietà delle forme architettoniche ed ornamentali, parla delle insegne pubblicitarie e menziona i magnifici schizzi all’acquerello e chiaroscuro per soffitti del pittore Jadin; spiega in dettaglio come sono le scene per teatro di Levaster, di Cheret, di Carpezat. Racconta del metodo adottato dagli artisti parigini per disegnare la prospettiva e dipingere e costruire la scena. Taddio riferisce delle numerose collezioni di gessi e sculture che ha visto, ma anche delle parti architettoniche-decorative degli edifici. Dice di essere rimasto impressionato dalla bellezza delle ceramiche francesi.

Infine Sigon parla degli istituti cromolitografici di Parigi, all’avanguardia anche in quel settore particolare. Spiega le tecniche degli incisori e l’applicazione della macchina Fourgeadoire; in essa, dice, l’apparato di riduzione è unito al torchio. Basta introdurre la pietra originale per ottenere la riduzione. I tre artisti raccontano che, nei saggi esposti dallo stabilimento di Jules Hauticoeur, non si trova divario fra la riproduzione e l’acquerello originale, tanto preciso è il risultato ottenuto con un metodo speciale di fototipia. Sigon racconta anche altre particolarità sui cartelli di réclame; si usa, per realizzarli, un metodo nuovo ed economico, veloce ed artistico contemporaneamente: è quello della rete metallica con lo spruzzo dei colori per mezzo di una spazzola. Sigon cita molti stabilimenti che usano tecniche fotografiche innovative: in quegli anni in Italia il miglior stabilimento cromolitografico è a Bergamo.

Anche Italico Brass espone a Parigi fin dal Salon del 1893 e presenta Chioggiotti alla briscola esposto anche alla prima Biennale veneziana (1895). Egli si fa notare alle esposizioni della Société des Artistes Français nel 1894, 1895, 1896.

Wostry abbandona dunque Trieste dopo aver ascoltato soprattutto i racconti di Lonza, Veruda, Savorgnani, Sigon, Taddio.

Sa che negli anni Novanta Parigi è in forte espansione demografica e conta circa un milione e mezzo d’abitanti; nelle sue numerose gallerie d’arte e nei Salons le presenze d’opere d’artisti stranieri sono innumerevoli. Si respira la ventata di cambiamenti nel campo d’ogni settore artistico, ma le commissioni ufficiali, i ritratti d’apparato sono ancora accordati a quei pittori che producono opere dotte e dipingono scene mitologiche, storiche, sacre. A loro si offre più facilmente la possibilità di esporre nelle sale di palazzi o gallerie importanti e Wostry ritiene di essere un pittore adatto perché sa dipingere tali soggetti. A Parigi, città simbolo dell’Arte, immortala i suoi mirabili scorci, la variabilissima luce, le architetture, le cromie stagionali, le donne, gli uomini e gli aspetti della quotidianità. La capitale francese è per il triestino e per altri pittori un punto di riferimento, una meta insostituibile. Il mondo bohémien di Montmartre attira ormai da parecchi lustri scrittori e artisti che la rendono memorabile: la sua storia parla di Pierre Auguste Renoir e di Camille Corot, ma anche degli italiani Giovanni Boldini e Medardo Rosso (fondò il Salone d’Automne con lo stesso Corot), di Edgar Degas e Edouard Manet, di Giuseppe De Nittis - uno dei pittori più ammirati da Wostry -, che prima ottiene gran successo con La strada da Brindisi a Barletta e poi partecipa alla prima mostra degli impressionisti presso il fotografo Nadar e trionfa all’Esposizione Universale del 1878 con dodici opere.

Nella bella città Wostry non è estraneo al fascino della Senna, dell’Ile de la Cité con la cattedrale di Nôtre-Dame, della Butte Montmartre, degli angoli di Montparnasse o dei caffè di Saint Germain de Près (vedi scheda ). Sono purtroppo pochi, in verità, i suoi soggetti parigini reperibili e di ciò non possiamo che rammaricarci. Wostry, è operosissimo e curioso di tutto, sensibile al colore, alle atmosfere dei lunghi viali, alla luce delle lampade elettriche che in molte zone hanno sostituito quelle a gas. Le occasioni di lavoro non gli mancano: nel cuore di Montmartre, in Place du Tertre, passeggiano quotidianamente ballerine, cantanti, attrici, cavallerizzi, trapezisti, mimi, fotografi, mercanti d’arte, impresari. Wostry non segue particolari correnti pittoriche né s’infatua per qualche nuova tendenza. Varia la propria tecnica secondo le necessità e cerca dappertutto note splendenti di colori caldi, passionali. E’ un intraprendente retrogrado e la lezione francese lo induce ad eliminare temi del tutto superati: gli idilli campestri e quelle scenette di realistica e spesso melanconica intimità familiare.

Le corse d’Auteil (vedi scheda ) sono uno dei temi che cerca di cogliere alla maniera degli impressionisti. A Parigi è meno vero nella ricerca del particolare esatto e spesso osserva le corse ippiche dai margini, quasi a non voler sentirsi un intruso; guarda e dipinge incontri di donne eleganti nei variopinti colori delle loro gonne. Ammira, quasi per diletto, quel mondo femminile. Più delle espressioni dei volti è incuriosito dagli aspetti graziosi e leziosi delle fanciulle; gli piace cogliere i fantini fuori dalle competizioni e le persone tranquille, ma distratte. Nel 1897, il grande amico di Wostry, Veruda, si reca a Parigi per la seconda volta. Probabilmente i due artisti s’incontrano nuovamente, ma non c’è alcuna testimonianza in merito.

Veruda studia con rinnovato accanimento all'Accademia Iulian e si dedica esclusivamente al disegno; mentre Wostry dipinge con interesse la torre Eiffel, Veruda si esercita nel disegno di nudo. I nudi femminili sono sempre stati soggetti molto cari anche a Wostry. Veruda schiarisce ulteriormente la tavolozza, Wostry sceglie colori brillanti. Al Salon del Campo di Marte del 1898 Wostry espone un ritratto di quattro amici seduti al caffè, "quadro con un movimento mirabile di linee e di colore e una straordinaria finezza di tonalità" ora introvabile ("L’Indipendente", 5/8/1898). Con il quadro la Madeleine ottiene la menzione onorevole. Nel 1998 espongono a Parigi Guglielmo Ciardi, Giacomo Favretto, Luigi Nono e Federico Zandomeneghi. Ciardi porta Ottobre e Caccia in laguna, Favretto El mal xe nel manego, Nono L’erbivendolo. Favretto invia anche all’Esposizione Universale due opere In Sartoria e La ricetta.

E Wostry?

La rivista "Le Figarò Illustré" pubblica diversi suoi quadri e alcuni critici ne riconoscono buone qualità. "L’Indipendente" del 7 giugno 1898 dà particolare risalto ad una sua mostra personale. A Parigi esegue Il Martirio di San Giusto per la Cattedrale di Trieste (vedi scheda ) e la Scena boschereccia conservata presso il Civico Museo Revoltella che, nelle tre figure femminili, richiama le donne in primo piano del Ritratto di Eugenia di Montjio del tedesco Franz Xavier Winterhalter (vedi scheda ).

Sul finire del secolo arrivano nella città dei cafè-chantants anche Piero Fragiacomo e Guido Grimani, vecchia amicizia di Wostry che pure ritrarrà con una chitarra in atteggiamento da musicista provetto. Grimani è scelto dal nostro Municipio e inviato a Parigi per motivi di studio. In occasione dell’Esposizione Universale del 1900 vede le opere di molti italiani: Giovanni Boldini, Giovanni Fattori, Domenico Morelli, Antonio Mancini, Francesco Michetti, Cesare Laurenti Giovanni Segantini.

Ma chi trionfa veramente all’Esposizione è Lionello Balestrieri: il suo Beethoven (soggetto di cui si impossessa in maniera diversa Wostry) riceve la medaglia d’oro. Nel 1901 il quadro torna in Italia ed è alla Biennale di Venezia. Dal 1911 l’opera è proprietà del Civico Museo Revoltella. Wostry si reca spesso a Montparnasse che è una specie di propaggine periferica del Quartiere Latino dove la bohème ha una tana quasi costante dai tempi di Villon a quelli di Verlaine. Quartiere di povera gente, dove la vita costa poco; s’interessa di fotografia ed osserva le affiches. Frequenta anche gli studi fotografici che destano sempre curiosità e viene a contatto con la grafica di Alexandre Steinlen.

Gli si sono ormai impresse nella mente alcune opere: Che freddo di De Nittis, Il ritorno delle corse e Carrozza alle corse di Degas, Musica alle Tuileries di Manet.

Negli ultimi anni del periodo parigino incominciano a nascere in Wostry, inquietudini, contraddizioni evidenti che aumentano e in parte condizionano la sua pittura. Ritorna infine dal viaggio con qualche piccolo bozzetto, con opere di modeste dimensioni, ma in Francia ha lavorato e venduto moltissimo.

A Wostry, viene a noia anche Parigi, oltrepassa La Manica e arriva a Londra. Si accosta ai preraffaelliti - Dante Gabriele Rossetti, William Morris e Edward Coley Burne-Jones più di altri - ed è anche attento ad osservare i caricaturisti inglesi Cruikshank, Keene, May; s’interessa alle caricature contemporanee che può sicuramente scoprire in molti periodici. Torna in Italia con un bagaglio incredibile d’esperienze vissute e, mentre incide, usa i pastelli e disegna, medita sulla propria pittura. Il Circolo Artistico di Trieste si fa editore di un riuscito ciclo d’acqueforti presentato nel 1907 in una mostra personale.

Wostry partecipa alle Biennali veneziane del 1907, 1910, 1920. A Trieste continua l’attività al Circolo Artistico, realizza innumerevoli disegni caricaturali a soci ed amici. Nei deliziosi, ironici ritratti a matita grassa, egli coglie aspetti singolarissimi di colleghi, i loro atteggiamenti tipici. Accentua i particolari meno gradevoli e più caratterizzanti con scioltezza e allegra derisione. Racconta anche la sua Storia attraverso scene umoristiche che descrivono situazioni inverosimili, come Il collaudo dei Musei o I Musei in viaggio per Pola.

Wostry è irredentista convinto e spesso mette al servizio del proprio ideale la matita e i pennelli. Si dedica all’incisione nello studio di palazzo Carciotti, realizza parecchi lavori, ma non ha più entusiasmo dopo aver visto i ben diversi risultati di Bruno Croatto. E’ certamente penalizzato dalla visione monoculare. Il vero capolavoro di quegli anni che preannunciano disgrazie è La Pianella (vedi scheda ), un olio che, dopo essere stato esposto alla IX Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia (1910), finisce a Berlino e a Londra prima di ritornare a Trieste. Nella mostra personale del 1907 presenta i Rilievi del teatro di Dionisio di Atene, I propilei d’Eleusi, un Tramonto sull’Acropoli, L’isola di Salamina, La valle d’Olimpia, L’isola di Zacinto, L’isola di Itaca Sono del 1912 i soggetti orientali "dove il fantastico si unisce al grottesco e il poetico al fetido" ("Il Palvese", Trieste, anno 1, 1907, n. 22) dei quali abbiamo riferito.

Wostry fa sculture con la terracotta e la cartapesta, lavora con insolita pazienza il legno e i metalli preziosi, decora chiese affrontando continuamente difficoltà tecniche di vario ordine. Mira al molteplice e questo suo produrre molto è anche un limite. E’ severo con se stesso ed è consapevole che altri bravissimi artisti incalzano. Negli anni Venti sa ancora cogliere con i pennelli le bellezze della città assai diversa da quella de I tempi Andati che in un momento di nostalgia ha voluto ricordare nella Maggiolata al Cacciatore (vedi scheda ), in Brezza Primaverile (vedi scheda ) e nella Bora (vedi scheda ).

Dipinge, mantenendo alta l’esaltazione del gusto scenico, Veduta di Trieste dalla Napoleonica (vedi scheda ) e la sua composizione - moderna e gradevolissima - è in ogni modo pervasa da un gusto ottocentesco. Nell’ultimo ventennio lavora ancora su commissione nelle chiese e non sempre i suoi progetti sono accolti favorevolmente. Molti artisti tra i quali Edgardo Sambo, Gianni Brumatti, Augusto Cernigoj, Ferdinando Quaiatti e Riccardo Tosti, per dire solo di alcuni, ricevono da lui consigli tecnici. Silvio Benco elogia il "suo quieto e fluente colorire" e molti ne riconoscono le qualità criticandolo, tuttavia, per la sua incostanza e la sua mutevolezza. Quando a Trieste si sente deluso e amareggiato parte nuovamente con l’energia dei vent’anni: l’anagrafe lo tradisce, ma non si scoraggia per niente.

In America lavora bene, il suo mestiere è saldo e la mano ferma. A sessant’anni superati s’impegna per dimostrare a se stesso che può ancora esprimersi al meglio. Così fa in alcune chiese a New York, in California e in Florida; ricorda le lezioni di Scomparini e suscita ammirazione anche oltre oceano. Esegue lavori decorativi e pittura da cavalletto. A Los Angeles dipinge i soffitti delle sale di un casinò, ad Agua Caliente le corse di cavalli, a Palm Springs gli indiani (vedi scheda ) con i variopinti copricapo di piume che diventano una gioia per la sua tavolozza fatta di rossi, di gialli, di blu e d’azzurri. E’ uomo attento anche in età matura. Si rammarica di non poter guidare l’automobile lungo le strade americane o "tra l’incanto di ville e giardini" perché, a causa della vista, non può ottenere la patente. Capisce l’importanza della radio e dei messaggi pubblicitari. Negli Stati americani è colpito dalla licenziosità delle donne, dal fatto che si può divorziare (ha forse ripensamenti per non essersi sposato?); cerca di capire i problemi legati al proibizionismo, al contrabbando e all’alcolismo. Capisce, infine, il senso della parola money la più semplice da pronunciare, che in America corre sulla bocca di tutti. S’imbarca e fa ritorno in Italia per risolvere qualche problema; riparte dopo aver dato alle stampe La Storia del Circolo Artistico di Trieste, libro ricco d’aneddoti, preziose notizie sui pittori triestini e un apparato iconografico assai vasto.

E’ di nuovo in città nel 1937; gli ultimi anni vissuti dal versatile artista, autore tra l’altro anche d’alcune medaglie, sono caratterizzati da una produzione più scadente soprattutto nei piccoli e medi formati. Sul finire di questo decennio Wostry si rende conto dei cambiamenti repentini avvenuti nell’area giuliana e forse si pente d’aver fatto rientro. Egli non è più l’acclamato e riverito pittore di una volta, non è più in grado di accentrare l’attenzione del pubblico e della critica solo su di sé e sulle proprie opere che testimoniano l’inevitabile declino. Ci sono sul territorio pittori bravi ed emergenti che hanno concrete velleità e sono orientati al nuovo. Inoltre alcuni giovani colleghi hanno aderito al fascismo e hanno qualche privilegio che lui non ha. Wostry è stato assente da tutte le esposizioni del sindacato fascista e si trova emarginato anche per questo, non solo per l’età. Dopo le amarezze provate, è da ritenere che il pittore partecipe di tante battaglie condotte un tempo con gli amici irredentisti, volge le spalle al suo mare. Preferisce starsene in disparte, ma continua a dipingere fino in ultimo.

Muore mentre sta completando alcuni dipinti per una mostra.

A tutt’oggi è difficile pensare che mai poté superare in pittura, neanche dopo gli anni di Parigi, quel magico 1888 triestino.

 

  

  Walter Abrami