Bernardo Bellotto 
		 
		
		Un fotoreporter del Settecento
		
		 
		
		Alessandra Doratti
		
		 
		 
		
		
		
		C'è una locanda a Dresda, nella Germania 
		orientale, chiamata "Italienischs Dörfchen", villaggetto italiano. Si 
		trova sulla piazza del teatro, presso la riva dell'Elba. Non tutti 
		ricordano il perché di questo nome abbastanza curioso, in una città che 
		ora appare così lontana dal nostro Paese. È invece il vecchio locale è 
		una testimonianza un po' rustica, se si vuole, un po' familiare, dei tempi 
		in cui i legami con l'Italia, anzi, con Venezia, erano intensi e 
		fruttuosi. Col suo nome paesano la locanda ci ricorda le abitazioni 
		degli italiani che qui attorno erano raggruppate nel Settecento: operai, 
		scalpellini, decoratori, tutti venuti al seguito di architetti, artisti, 
		pittori, scultori, gente di teatro, scenografi. Qui vivevano, per 
		esempio, le maestranze che costruirono la chiesa cattolica di corte tra 
		il 1739 e il 1755 su progetto del romano Gaetano Chiaveri.
		Prima che la Sassonia fosse governata dai re Vettini, che erano anche 
		principi elettori del Sacro Romano Impero e sovrani di Polonia, la 
		capitale, rispetto ad altre città europee, non era molto di più di una 
		"tranquilla città di provincia". Grazie a Federico Augusto I, detto 
		anche Augusto il Forte (1694-1733) e al figlio Federico Augusto II 
		(1733-1763), questo centro sorto nel Medioevo sulle rive dell'Elba come 
		villaggio di pescatori sarebbe diventato la più bella città tedesca. I 
		due sovrani erano stati più volte a Venezia, di cui erano innamorati; 
		dovendo convertirsi al cattolicesimo per ragioni di Stato, avevano 
		finito per assorbire interamente arte e cultura italiane.
		
		 
		
		
		Quel decisivo invito a corte dei sovrani
		
		
		È in questo scorcio del "secolo dei lumi", esattamente nel 1747, che il 
		giovane Bernardo Bellotto, figlio di Fiorenza Canal, sorella del già 
		notissimo Canaletto, ha la ventura di giungere a Dresda, invitato dai 
		sovrani. Bernardo ha 26 anni. Prima dei vent'anni ha già dipinto alcune 
		vedute della sua città e dopo il 1742, sempre dipingendo, era stato a 
		Firenze, Roma, Milano, Torino. In Sassonia è accolto molto bene, il re 
		gli regala persino una tabacchiera d'oro ricoperta di brillanti.
		Nel 1747 gli nasce la prima figlia (un maschio c'era già); sarà il primo 
		ministro, il conte Heinrich von Brühl 
		, di cui è ancor oggi ricordata la passione per l'arte non disgiunta da 
		capacità politiche, a fare da padrino.
		Bernardo Bellotto abiterà a Dresda per vent'anni circa, salvo il periodo 
		dalla fine del 1758 alla fine del 1761. Avrà modo di "ritrarre" la città 
		in diciotto vedute diverse, quindici delle quali sono tuttora conservate 
		nell'attuale Pinacoteca, diventata importantissima raccolta d'arte 
		grazie a una vicenda che ne provocò un significativo salto di qualità: 
		l'acquisto, nel 1746, dei cento quadri più belli dalla collezione 
		estense di Modena ad opera dell'esperto Antonio Maria Zanetti (la 
		"Venere dormiente" del Giorgione era stata una delle prime "mosse" di 
		Augusto il Forte: si trovava nella capitale già dal 1699.
		Questi venti anni di vita non furono per il Bellotto soltanto rose e 
		fiori. La città pullulava di italiani, artisti e non. Italiani erano 
		anche i poeti di corte Giovanni Ambrogio Migliavacca di Milano e Stefano 
		Pallavicini di Padova; italiani i medici dei principi elettori. 
		Bernardo, in realtà, era giunto qui in sostituzione del più famoso zio 
		Antonio Canal che si era invece recato in Inghilterra. A corte aveva 
		trovato due pittori niente affatto spregevoli, Alexander Thiele e 
		Christian Wilhelm Ernst Dietrich, che, presto, da lui si sarebbero 
		sentiti scavalcati. Della colonia italiana diventò un personaggio di 
		primissimo piano. Riceveva uno stipendio annuo di 1750 talleri, assai 
		alto per un pittore, a quei tempi, ma comunque al di sotto dei compensi 
		riservati a musicisti e cantanti, molto viziati in quel secolo (per non 
		parlare del nostro).
		
		
		 
		
		Fissò sulla tela la 
		fortezza-carcere di Konig Stein
		
		Oltre alle vedute di Dresda, di cui abbiamo già detto, e che insieme 
		alle repliche formavano un corpus di trentanove quadri, il venezìano 
		dipinse undici vedute di Pirna, cittadina sull'Elba a diciassette 
		chilometri dalla capitale. Con cinque soggetti diversi (e altrettante 
		repliche) fissò sulla tela anche la fortezza di Konig Stein, 
		Castello-carcere eretto su un bastione di arenaria, destinato a ospitare 
		nel tempo prigionieri illustri, come il rivoluzionario russo Mikhail 
		Bakunin.
		Nel 1756, nel bel mezzo di questa attività, scoppiò una delle ricorrenti 
		bufere che spazzavano i territori tedeschi, la Guerra dei Sette anni. 
		Alla fine del 1758, rimasto senza lavoro, Bernardo Bellotto si mise in 
		viaggio per Vienna. Per l'imperatrice Maria Teresa, per il principe di 
		Liechtenstein e per il cancelliere Kaunitz realizzò almeno diciassette 
		vedute della città, rimanendovi un paio d'anni, all'incirca.
		Nel 1761, a Monaco, immortalò anche la capitale bavarese. Al ritorno a 
		Dresda, alla fine dello stesso anno, trovò la casa distrutta dai 
		prussiani e, notizia forse più grave, apprese che le lastre delle sue 
		incisioni erano andate perdute. Morti il re Federico Augusto II e il 
		conte von Brühl, per Bernardo cambia 
		tutto, anche perchè i successori, lontani dallo spirito cosmopolita che 
		aveva portato i due sovrani a chiamare a Dresda una nutrita colonia di 
		italiani, incoraggiavano solo i talenti nazionali.
		
		
		 
		
		Un posto di 
		insegnante all'Accademia
		
		Il Bellotto dovette accontentarsi di un posto di insegnante 
		all'Accademia, fondata nel 1764: non avendo mai nemmeno tentato di 
		imparare il tedesco, nelle lezioni doveva farsi aiutare dal figlio 
		Lorenzo. Lo stipendio annuo si era ridotto a 600 talleri, per 
		supramercato svalutati.
		Stanco e poco gratificato dal nuovo lavoro, chiese un permesso per 
		recarsi in Russia: voleva probabilmente arrivare alla corte della grande 
		Caterina. Nel 1767 si mise in viaggio, di gennaio, e si fermò a 
		Varsavia, forse senza intenzione di restarci. Invece il nuovo re, 
		Stanislao Poniatowski, gli diede l'incarico di pittore di corte; il 
		maestro vi richiamò la famiglia.
		Così le vedute della capitale polacca (ventiquattro, sembra), 
		aggiungendosi a quelle delle città italiane, di Dresda, di Vienna e di 
		Monaco, conclusero il ciclo di una vita. Bernardo Bellotto morì a 
		Varsavia nel 1780, prima di compiere i sessant'anni. Nessuna notizia 
		della sua tomba, che si trovava nella chiesa dei Cappuccini. Vicende 
		romanzesche toccarono anche i suoi quadri, volta a volta dimenticati nei 
		magazzini della Pinacoteca di Dresda o negli appartamenti dei principi 
		elettori; la serie dei "doppioni" dipinta per la dimora del conte von 
		Brühl fu venduta dagli eredi di Caterina di Russia e oggi si trova a 
		Leningrado e a Mosca.
		
		 
		
		
		La mostra veneziana sull'isola di San Giorgio
		
		Dell'arte di Bellotto hanno già autorevolmente parlato Giovanni Testori, 
		Pietro Citati e numerosi altri in occasione della straordinaria mostra 
		"Bellotto a Dresda" tenutasi a Venezia nell'isola di S. Giorgio 
		nell'ottobre del 1986. Chi ha avuto la ventura di ammirare con i propri 
		occhi i dipinti inviati in prestito da Dresda, sa di aver fruito di un 
		evento artistico di qualità assolutamente rara. I cieli tersi e freddi, 
		le luci radenti che "scolpiscono" edifici, alberi, acque, persone, poi i 
		verdi inimitabili, la fedeltà, la cura e l'amore con cui viene narrata 
		la vita spìcciola di una città, rendono queste opere indimendrabili.
		Al maestro veneziano, che ebbe in sorte la vita errabonda dell'emigrato 
		e, verrebbe da dire, del fotoreporter, toccò anche di consegnare ai 
		posteri immagini sontuose di palazzi, chiese e piazze che sarebbero 
		state cancellate dalla faccia della terra il 15 febbraio 1945, in un 
		bombardamento che rase al suolo Dresda quando questa non era più in 
		grado di costituire pericolo alcuno. Così un tragico e insensato evento 
		ci ha reso doppiamente care e preziose queste tele, nate come amoroso 
		specchio della realtà e divenute testimonianza commovente di una città 
		andata, è il caso di dire, "in fumo".
		Tra le varie interpretazioni espresse dalla critica d'arte affascinante 
		sembra, soprattutto, l'idea che vuole il Bellotto "narratore" di città. 
		Ogni sua veduta è un romanzo: di vita, di fatiche, di quotidiani 
		trambusti, di bellezze naturali, di bellezze costruite, di giornate, di 
		stagioni. Ogni tela è una completa, minuziosa, limpida narrazione; ogni 
		panorama è vista con occhio superlucido che appare, nel suo assoluto 
		nitore, quasi non partecipe ma che coinvolge subito lo spettatore.
		
		
		
		 
		
		
		
		Alessandra Doratti