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Giuliano Confalonieri


 

AMORE  E  PSICHE  GIACENTI
 

(ANTONIO CANOVA)

 

 

 

 

 

 

   Uno dei capolavori dello scultore trevigiano lascia attoniti per la bellezza raffinata dei corpi – pur nell’evidenza dell’atto passionale – e per l’equilibrio delle masse marmoree. Canova Antonio (Treviso 1757/Venezia 1822), figlio di uno scalpellino, acquisì le prime nozioni a Venezia frequentando l’Accademia. Trasferitosi a Roma, entrò in contatto con l’ambiente internazionale. Nei monumenti funebri esplicita lo stacco tra vita e morte, tra il contingente e l’eterno. Le opere più ammirate fin dall’inizio furono quelle a soggetto mitologico: Amore e Psiche, Venere e Adone,   gruppi e figure di raffinata eleganza.

 

    L’epoca napoleonica segnò il culmine della fama dell’artista, poiché gli furono commissionate busti e statue, tra le quali quella del Bonaparte in nudità eroica e quella di Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice: la morbidezza del modellato e il riferimento ai sarcofaghi antichi e alle Veneri di Tiziano si fondono in un perfetto equilibrio di «bell’ideale» e «bello di natura». Il prestigio e la fama raggiunti consentirono allo scultore, nella veste di diplomatico della cultura, di ottenere, dopo la caduta di Napoleone, la restituzione all’Italia delle opere d’arte trafugate in Francia.

 

 

   Come l’omonimo olio su tela di F. Gérard (1770/1837), esposto al Louvre, anche in questa scultura la leggiadria dell’atto sessuale colpisce in maniera particolarmente efficace: il gruppo dei due corpi avvinti sormontati dalle ali di Amore fu acquistato dal principe Murat, che lo conservò nel proprio castello fino al trasporto a Parigi nel 1824 (una seconda versione si trova al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo).

Preparato con disegni e bozzetti di terracotta, il gruppo esprime una perfetta cadenza ritmica impostata sull’armonioso incrocio delle diagonali formate dalle ali di Amore, la sua gamba destra e la gamba distesa di Psiche. Il punto più coinvolgente della composizione è rappresentato dalle bocche in procinto di baciarsi. Le superfici della scultura sono levigate, i corpi cedono al languido abbandono. L’opera suggerì a Gustave Flaubert: "Non ho guardato nulla del resto della galleria; ci sono ritornato in diverse riprese e, l’ultima, ho baciato sotto l’ascella la donna in deliquio, che tende verso l’amore le lunghe braccia di marmo. E il piede! E la testa! E il profilo! Mi si perdoni, dopo molto tempo è stato il mio solo bacio sensuale; era qualche cosa di più ancora, baciavo la bellezza stessa".

 

   Nei monumenti funebri di Clemente XIII e XIV – soprattutto in quello di Maria Cristina d’Austria – il diaframma tra la vita e la morte viene evidenziato dall’antico simbolo della piramide, tradizionalmente inteso come trapasso tra il mondo tattile e quello sconosciuto

 

  

 

Giuliano Confalonieri

giuliano.confalonieri@alice.it