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Annalia Delneri

 

Giuseppe Bernardino Bison

 

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1 - Giuseppe Bernardino Bison, Paesaggio lagunare con barcaioli e  filatrice, olio su tela 46 x 56,5 cm. Collezione privata

 

 

Nel 1845, a un anno dalla scomparsa di Giuseppe Bernardino Bison, Giuseppe Rossi pubblicava su «Cosmorama pittorico» (Milano, 21 e 25 maggio, ripubblicato da Piperata 1939, pp. 55-57) la prima biografia dell'artista, nato a Palmanova il 16 giugno 1762, ultimogenito di Giovanni Battista e di Angelina Granelli. Riferiva Rossi (ed. 1939, p. 55) che i genitori «i quali onoratamente si travagliavano a servare la loro modesta fortuna, trasmutarono a Brescia, e il figliolo tenerello ancora cominciò a spiegare la propria inclinazione alle belle arti negli schizzi che faceva sulle pareti di casa ch'erano altrettanti germogli dÈ preziosi frutti che indi a non a molto avrebbe dato».

A Brescia i primi maestri di Bison furono Saverio Gandini, prospettico e decoratore, e Girolamo Romani, restauratore. Quando la famiglia si trasferì a Venezia, passò alla scuola «di un certo Palazzi, gramissimo pittore di stanze», che però ebbe il merito di intuire le doti del giovane e lo raccomandò a Costantino Cedini «professor di figura» tiepolesco. Cedini garantì a Bison l'accesso all'Accademia, che il giovane frequentò regolarmente completando la propria formazione con esercitazioni nella straordinaria galleria di riproduzioni di antiche statue di Filippo Farsetti, tenuta aperta anche dopo la morte dell'abate (1774) dal nipote ed erede Daniele.

Rossi ricordava (ivi, p. 56) che «appena egli si conoscere per alcuni ornamenti nelle camere, che i piccoli pittori si valsero di lui, mandandolo qua e là ad aggiungere ai loro lavori qualche accessorio sia d'uccellami, sia di arabeschi misti». Il biografo sottolineava le caratteristiche distintive di Bison, individuabili fin dagli inizi: non passò molto tempo che «incominciarono le ordinazioni di vario carattere, e gli inviti a diversi luoghi, ed egli si prestò sempre sollecito a tutto, e in tutto sortì con plauso di valente e agile pittore. Ché certo fu peculiar gloria di lui, gloria che non divise e non dividerà sì agevolmente con altri colleghi, l'addarsi a parecchi e svariati generi di pittura, ed in ognuno segnalarsi per una maniera tutta sua propria, e per una certa originale facilità e freschezza di tocco».

Nel 1787 Bison collaborò con Giannantonio Selva nella decorazione di palazzo Bottoni a Ferrara (non più esistente), passando poi a lavorare con lo scenografo Antonio Mauro che a Padova era impegnato nelle decorazioni del teatro Nuovo e del teatro degli Obizzi. Tramite Mauro, Bison ottenne svariati incarichi dal marchese Tommaso degli Obizzi, che lo impiegò anche nel castello di Catajo di Battaglia Terme (Padova), dove si conservano ancora dieci portelle copricamino. Questi lavori furono eseguiti entro il 1790, anno in cui il libro di cassa del Catajo documenta numerosi pagamenti al «Signor Bisson Pittor» (Piperata 1940, p. 58). Nei primi anni novanta si collocano la decorazione di due ambienti nel palazzo padovano Maffetti poi Manzoni e alcuni altri interventi nel teatro Obizzi di Padova. Tra il 1793 e il 1795 Bison eseguì nel Trevigiano le decorazioni di villa Raspi di Lancenigo e di villa Spineda a Breda di Piave. A questi anni risalgono alcuni interventi a tematica sacra nel soffitto della parrocchiale di Venegazzù (Treviso) e nell'oratorio Bragadin di Ceggia (Portogruaro). Verso il 1796 l'artista fu impegnato nella decorazione del casino Soderini a Treviso, realizzato su progetto di Giannantonio Selva. All'inizio del nuovo secolo Bison si trasferì a Trieste, forse a seguito dello stesso Selva che aveva avuto l'incarico di presentare il progetto per il teatro Nuovo, poi assegnato a Metteo Pertsch. Nella città giuliana l'artista ottenne commissioni prestigiose, come la decorazione del palazzo Carciotti (1804) e del palazzo della Borsa (1805-1807).

La maggior parte dei cicli decorativi realizzati da Bison tra il 1807 e il 1818 sono andati perduti: così gli affreschi del palazzo del Provveditore generale di Zara (1807), quelli del teatro di Società di Gorizia (1810-1811) e quelli del palazzo Sirstat di Lubiana (1811). Non rimane nulla nemmeno delle decorazioni eseguite nel salone della villa di Gradiscutta nel Collio goriziano – ora Slovenia – di proprietà del pittore Giuseppe Tominz.

Tra Trieste, Gorizia, Lubiana e l'Istria, l'artista si impose per la sua pittura rapida, che coniugava l'eredità dei frescanti veneti del Settecento alle doti di figurista e di ornatista, scenografo e paesaggista.

Nel 1824 l'Accademia di Venezia lo nominò socio onorario con l'encomio di «pittore di bella immaginativa e di spiritosa esecuzione» (Rossi, ed. 1940, p. 56). Con l'avanzare del secolo le grandi imprese decorative cominciarono a scarseggiare e l'artista seppe far fronte alle mutate richieste del mercato triestino con piccole opere da cavalletto destinate alla più ampia fascia di acquirenti appartenenti alla borghesia.

Non sono noti i motivi che spinsero Bison a lasciare Trieste dopo un soggiorno trentennale per "ricominciare" a Milano, dove si trasferì nel 1831. Ormai sessantenne, l'artista aveva abbandonato l'attività di frescante e scenografo, continuando infaticabilmente a disegnare e a dipingere quadri di piccolo formato: «Nimico dell'ozio, faceva conto degli stessi ritagli di tempo, e persino tra le tenebre della notte, al pallido lume della lucerna, andava schizzando or con la penna or con la matita, suggetti vari e capricciosi» (ivi, p. 57). Nella capitale lombarda, dove morì il 28 agosto 1844, Bison fu appoggiato, sul piano economico e su quello dell'amicizia, da Raffaello Tosoni di Cetona, professore di chimica ed esperto d'arte che gli acquistò un gran numero di opere fungendo anche da suo agente. Rossi testimoniava infatti che una «delle maggiori raccolte dÈ suoi quadri adorna l'appartamento del prof. Raffaello Tosoni a Milano; e bene sta invero che tanti e sì invidiabili gioielli possegga quell'egregio signore, che fu uno dei pochi mecenati che, nella sua non sempre amica fortuna, vantar potesse il Nestore dÈ veneziani pittori».

Dopo la morte l'artista fu quasi totalmente dimenticato e soltanto con la pubblicazione dell'articolo di Antonio Morassi sull' «Archeografo Triestino» (1930-1931, XVI, pp. 215-226) la fisionomia di Bison cominciò a riemergere, almeno per il periodo triestino.

Il recupero integrale della personalità del pittore spetta a Carolina Piperata che con la monografia pubblicata nel 1940 effettuò il primo studio approfondito. Nel 1942 l'antiquario Alessandro Morandotti organizzò a Roma una mostra dedicata all'artista tesa a rivalutare, sulla scia della riscoperta critica di Piperata, il ruolo che Bison aveva svolto nell'Ottocento italiano.

Nel 1962 la mostra Cento disegni del Bison organizzata a Udine da Aldo Rizzi che confermava l'originalità delle doti dell'artista, considerato come ultimo interprete della grande stagione veneziana del Settecento.

Franca Zava Boccazzi ha offerto un fondamentale contributo alla ricostruzione dell'avventura artistica di Bison in tre saggi su «Arte Veneta» (1968; 1971; 1972) prendendo separatamente in esame la sua attività di frescante, di pittore di paesaggi e di scene di genere e di grafico. Riferendosi alla pittura da cavalletto, la studiosa (1971, p. 229) poneva l'accento sugli elementi linguistici di Bison e proponeva una «lettura formale per toccare la portata di un lessico personalissimo, mediante il quale la ripresa, diciamo pure l'imitazione, di situazioni figurative venete settecentesche e anche neerlandesi seicentesche, si dimensiona e si rinnova nella sostanziale e vitale autonomia dello stile, nella caratterizzazione inconfondibile della pennellata e della tenuta cromatica». Queste doti consentono all'artista di non rimanere invischiato nell' impasse ideologica tra la fine del Sette e la prima metà dell'Ottocento «perché se il Bison non aderisce al "neoclassicismo" [...], né strettamente al "romanticismo" ciò avviene per un suo senso figurativo "differente" per cui ricorrere a precise categorie può risultare rischioso e al fine sviante, a meno di non accogliere una definizione di "pittoresco", la più appropriata alla sua pittura sempre gradevole, spesso dilettantesca, fondamentalmente borghese».

Zava Boccazzi riscattava così la riduttiva valutazione di Pallucchini (1960, p. 264) che aveva inquadrato l'attività di Bison in «un fatto artistico che non superò il carattere di un episodio sintomatico di una cultura in crisi». I contributi di Zava Boccazzi influirono sull'opinione di Pallucchini che, nella nuova edizione della sua opera sulla pittura veneziana del Settecento, ha rivalutato l'artista in un ampio saggio (1996, pp. 588-603). Sul finire del secolo appena trascorso ulteriori precisazioni e contributi alla conoscenza di Bison sono venuti da Giuseppe Pavanello (1986; 1990; 1997) e da Fabrizio Magani (1993; 1995; 1997).

 

2 - Giuseppe Bernardino Bison, Marina con chiesa, olio su tela 46 x 56,5 cm. F.to in basso a destra. Collezione privata

 

 

La straordinaria capacità di Bison di rinnovare la propria visione paesistica, nonostante la dichiarata discendenza da memorie del secolo precedente, si riscontra nelle due tele inedite (Figg. 1-2) della metà del quarto decennio: due paesaggi in cui la nuova e controllata fermezza descrittiva si fa stesura compatta, timbro coloristico che attenua le velature atmosferiche e conferisce alle composizioni la lucentezza della porcellana. Un linguaggio virtuosistico per esprimere l'appagamento derivante dalla quieta felicità delle cose piccole e vicine.

 

 

Annalia Delneri