Giuseppe Pavanello

 

ANTONIO CANOVA: I BASSORILIEVI 'BARISAN'

 

 

 

1 - Iscrizione celebrativa dei gessi canoviani.

Una cortese segnalazione di Francesca Castellani mi consente di tornare in questa rivista sul collezionismo dei gessi di Antonio Canova in età neoclassica. Siamo a Venezia. Sulle pareti del salone di un palazzo affacciato sul Canal Grande campeggia la serie dei quattro bassorilievi dedicati agli ultimi momenti della vita di Socrate: il processo, il congedo dalla famiglia, il suicidio, il compianto degli amici. I gessi sono ivi murati da oltre un secolo, come attesta una imponente iscrizione fregiata del ritratto dello scultore posto accanto a un'aquila appollaiata su un ramo d'alloro, secondo un gusto che ricorda le invenzioni di Raffaele Mainella: "QUESTI GESSI/ DI ANTONIO CANOVA/ GIÀ DI FAMIGLIA VICENTINA/ DOVE/ PIU' CHE SCOLPITA SI LEGGE NARRATA/LA FINE DEL SOMMO SOCRATE/QUI/PERCHÈ NON CADESSERO IN MANI STRANIERE/ SI VOLLERO COLLOCATI/ A PREZIOSO DECORO DELLA CASA/A ONORE PERENNE DELL'INCLITO ARTISTA LUGLIO MDCCCC".

Nel salone veneziano l'Apologia di Socrate è posta sulla destra della lapide; quindi, accanto, Socrate congeda la famiglia, ma soltanto la metà sinistra della composizione con Socrate che, sulla soglia del carcere, si accomiata dai familiari: una misura che lo rendeva particolarmente adatto a fungere da sopraporta, come nell'esemplare di villa Lante a Roma. Sulla parete di fronte campeggiano gli altri due rilievi: Socrate beve la cicuta e Critone chiude gli occhi a Socrate.

 

4 - Antonio Canova, Socrate congeda la famiglia. Venezia, collezione privata.

 

5 - Antonio Canova, Socrate beve la cicuta. Venezia, collezione privata.

 

6 - Antonio Canova, Socrate beve la cicuta, particolare. Venezia, collezione privata.

 

La serie si può riconoscere in quella richiesta a Canova da un facoltoso personaggio di Castelfranco Veneto, esponente d'una famiglia di nouveaux riches legati al regime napoleonico, Francesco Barisan, fratello di Giovanni, senatore del Regno Italico, premiato da Napoleone, come altri, con il titolo nobiliare di conte l'11 ottobre 1810. Si dilettava di teatro, e ne fece erigere uno a Castelfranco. Da Venezia si fanno venire Giambattista Canal, Giovanni Carlo Bevilacqua e Giuseppe Borsato, i migliori frescanti della vecchia e della nuova generazione che avevano aderito al gusto neoclassico.

Da carte d'archivio conservate presso la Fondazione Canova di Possagno sappiamo che Francesco Barisan riuscì a ottenere, oltre ai quattro bassorilievi citati, i rilievi raffiguranti Socrate difende Alcibiale a Potidea, la coppia delle Opere di Misericordia e otto teste in gesso, ricavate da statue scolpite in anni recenti. Raffiguravano Perseo, Paride, Palamede, Venere, Elena, tre Muse, una delle quali è definita in uno dei nostri documenti "Musa di Somariva", vale a dire la statua di Tersicore. Le altre due teste dovevano raffigurare verosimilmente Clio o Calliope, oppure la Danzatrice con le mani sui fianchi.

Quei gessi lasciarono Castelfranco per Vicenza nel corso dell'Ottocento; da lì quattro bassorilievi furono trasferiti a Venezia alla fine del secolo: degli otto busti e dei restanti tre rilievi (le Opere di Misericordia e Socrate difende Alcibiade a Potidea) ignoriamo la sorte, mentre quel passaggio dell'iscrizione "perché non cadessero in mani straniere" è allusivo verosimilmente a una ventilata fuoruscita dall'Italia a seguito di vendita, cui probabilmente andarono incontro gli altri gessi.

 

 

2-3 - Antonio Canova, Apologia di Socrate davanti ai giudici. Venezia, collezione privata.

 

Che siano i gessi 'Barisan' quelli del salone veneziano, lo conferma la presenza dell'episodio con l'Apologia di Socrate davanti ai giudici (o Socrate che si difende nell'Areopago): un bassorilievo d'estrema rarità, che conoscevamo finora solo dall'esemplare della Gipsoteca di Possagno: un episodio che in quegli anni veniva commentato da Melchior Cesarotti, per il quale il filosofo greco è il "Martire della religion naturale", il "foriere del Cristianesimo, il Santo della ragione".

 

  

9 - 10. Nota di pagamento di Vincenzo Malpieri per i gessi 'Gentili' e Barisan' (19 ottobre 1813). Possagno, Archivio della Fondazione Canova.

 

  

11 - Nota di pagamento di Vincenzo Malpieri per i gessi 'Gentili' e Barisan' (28 ottobre 1813). Possagno, Archivio della Fondazione Canova.

12 - Nota di pagamento di Vincenzo Malpieri per i gessi Barisan. Possagno, Archivio della Fondazione Canova.

 

Va rilevato che, invece di dodici scudi, valore attribuito alla Morte di Socrate, l'Apologia costava venti scudi, quasi il doppio. Dalle carte d'archivio si ricavano precise indicazioni dei prezzi dei gessi realizzati nello studio romano: da cinque-sette scudi per le opere piccole ai dodici-quindici, fino a venti scudi, come s'è visto, per bassorilievi di grandi dimensioni. Un insieme, dunque, di spicco, che possiamo ipotizzare sistemato in un unico grande ambiente: una ulteriore "stanza di Canova" in una dimora veneta (riproposta nel Novecento, nel nostro palazzo veneziano: e unica a essere sopravvissuta), da accostare a quelle di Girolamo Zulian a Padova, del principe Abbondio Rezzonico nella villa di Bassano, a quelle veneziane del procuratore Antonio Cappello, di Bernardino Renier, dell'architetto Giannantonio Selva, di Giuseppe Giacomo Vivante Albrizzi, del senatore Giovanni Falier.

Possiamo ipotizzare fossero situati in quattro sopraporte altrettanti rilievi idonei per tale collocazione: quindi Socrate che congeda la famiglia, le due Opere di Misericordia e Socrate difende Alcibiade a Potidea: ed è proprio la situazione che si riscontra in villa Lante. Sulle pareti dovevano trovar posto i maggiori bassorilievi 'socratici', quindi le teste su tavoli da muro, com'era in casa Zulian a Padova, a coppie, secondo il progetto dell'architetto Selva. Se nel complesso Zulian, messo assieme vent'anni prima, spiccavano le teste della Temperanza o della Mansuetudine dal Monumento di Clemente XIV, del Genio Rezzonico, della Religione e di Clemente XIII, a Castelfranco veniva offerta un'antologia della statuaria più recente, di carattere mitologico.

La produzione di calchi in gesso - "getti" come vengono definiti nei documenti - era diventata nel primo Ottocento 'di seriÈ nello studio canoviano, fonte di guadagno come mezzo astuto di diffusione dell'opera dello scultore, che poteva avvalersi di bravissmi 'gessini', come Vincenzo Malpieri, autore dei nostri 'getti', spediti da Roma nel mese di novembre 18139. La sala canoviana di palazzo Barisan, pertanto, fu con ogni verosimiglianza allestita nel 1814.

 

7 - Antonio Canova, Critone chiude gli occhi a Socrate. Venezia, collezione privata.

 

8 - Antonio Canova, Critone chiude gli occhi a Socrate, particolare. Venezia, collezione privata.

 

9 - Antonio Canova, Critone chiude gli occhi a Socrate, particolare. Venezia, collezione privata.

 

È dunque la più tarda fra quelle elencate, rispetto alle quali viene come a rimorchio, senza quella connotazione d'amicizia reciproca fra artista e collezionista/cliente, che - a esclusione dell'Albrizzi - aveva caratterizzato quelle iniziative: tutte, in ogni caso, raccolte costituite alla fine del Settecento o nei primissimi anni dell'Ottocento, come lo fu quella del marchese Francesco Berio a Napoli. Il gruppo dei gessi 'Barisan' va pertanto ad accostarsi piuttosto a coeve iniziative romane, come le sale 'canoviane' di villa Torlonia o di villa Lante, o alla contemporanea stanza della marchesa Margherita Gentili Boccapaduli, personaggio ben noto nella Roma neoclassica.

Da rilevare che il gesso raffigurante l'ultimo istante della vita del filosofo presenta all'estrema destra la medesima variante con la coppia degli adolescenti che si è riscontrata nel bassorilievo del Museo Correr di provenienza Giustinian, cioè quello in origine nella dimora patavina di Girolamo Zulian, nel gesso 'Albrizzi' ora in collezione privata torinese e in quello 'Torlonia'. Così, ci si può chiedere se l'assenza dell'Apologia di Socrate dalle raccolte di gessi canoviani formatesi alla fine del Settecento e la sua mancata menzione nella monografia di Tadini (1796) non possano essere elementi per ipotizzare una datazione più avanzata per questo lavoro, agli ultimi anni del Settecento quando l'artista modella La morte di Adone, La nascita di Bacco, Le Grazie e Venere che danzano davanti a Marte, Socrate che difende Alcibiade alla battaglia di Potidea.

Torniamo alla lapide posta nel salone del nostro palazzo. Siamo nell'anno 1900. Essa comprova un momento di fortuna, seppur incipiente, dell'arte canoviana dopo l'oblio ottocentesco, in anni che stanno tra la monografia di A.G. Meyer del 1898 e quella di Vittorio Malamani (1911), il quale aveva reso noto nel 1890 il carteggio con Leopoldo Cicognara, mentre giusto nel 1900 A. Borzelli pubblicava il volume sulle relazioni del grande scultore con Napoli: [...] a prezioso decoro della casa/ a onore perenne dell'inclito artista".

 

 


Giuseppe Pavanello

 

 

P.S.: Nel testo corrente sono state omesse, per questioni di spazio, le note dell'autore.

 

 

Arte in Friuli, Arte a Trieste  N°26                                                   © Edizioni della Laguna