Un'iconografia bizzarra per un bozzetto di Palma il Giovane

 

Alessandra Artale

 

 

 

 

1. Jacopo Palma il Giovane, Dialogo con Afrodite. Venezia, collezione privata.

 


Misterioso e affascinante si potrebbe definire il piccolo bozzetto
1 mitologico di Palma il Giovane2 che qui mi piace pubblicare (fig. 1), riemerso dopo secoli da una piccola casa d'aste della campagna inglese che lo ha sbrigativamente liquidato come il Giudizio di Paride. Non è però nozione per soli esperti di iconografia che nella raffigurazione di quella che fu la miccia che innescò la guerra di Troia, le figure femminili fossero tre e non due, come appaiono invece nel dipinto in esame.
A contendersi la mela d'oro su cui era scritto "alla più bella" furono infatti Era, Afrodite e Atena
3 e Palma questo lo sapeva benissimo: difatti, in un vero Giudizio di Paride4 poi le dipingerà tutte tre, aggiungendo anche Ermes, al quale Zeus aveva affidato le dee perché le conducesse proprio al principe troiano, levandosi così dall'impaccio di doverne scegliere una inimicandosi inevitabilmente le altre due. E c'è un'altra anomalia: Paride era un giovinotto con le fattezze di un pastore e così Palma l'aveva raffigurato nel dipinto di cui sopra, mentre nel bozzetto di cui si parla la figura maschile appare come un uomo nel pieno della maturità e con un mantello che sembra sottendere una cert'aura di regalità (fig. 2).

 

 


2. Jacopo Palma il Giovane, Dialogo con Afrodite, particolare. Venezia, collezione privata.
 


Una recente interpretazione
5, peraltro non supportata da fonti letterarie, vorrebbe vedere Zeus nella figura centrale in un atteggiamento intimo e affettuoso con la moglie Era alla sua destra, la quale porge la mela alla figura antistante, che, secondo tale ipotesi, sarebbe un bucolico Paride (fig. 3).

 

 


3. Jacopo Palma il Giovane, Dialogo con Afrodite, particolare. Venezia, collezione privata.
 

 

Il senso di tutto ciò sta nell'idea che Zeus mai avrebbe voluto prendere una decisione così spinosa, sapendo bene di quali veleni fossero capaci le femminee dee del suo Olimpo, e quindi si manlevò di cotanto peso rovesciandone la responsabilità sulle spalle del giovane principe.
Il 'mistero', dunque, rimane e di poco aiuto sono lo sfondo rosso sulla destra, che potrebbe apparire come un presagio dell'incendio di Troia causato dai Greci, o l'accenno di una grande ruota che affiora dietro la figura centrale maschile. In tal caso, poi, la ruota che è tra i simboli di Apollo
6, porta ancor più fuori strada proprio per le fattezze dell'uomo, assolutamente incompatibili con l'immagine bionda ed eterea che si attribuisce al dio del Sole. O, ancora, a nulla porta la ricerca partita dall'idea che sui capelli della figura di destra vi siano delle spighe, il che equivarrebbe a identificarla con Proserpina, anche se non è rintracciabile nessun episodio della vita di lei che la veda protagonista insieme alle altre due figure e con un pomo, o mela che sia, come fulcro della storia.
L'unica figura che pare essere riconoscibile è la donna di sinistra, fiera della sua nudità e bellissima, ossia come solitamente veniva raffigurata Afrodite, immortalata in un dialogo divino con gli altri due personaggi.
Un soggetto, quindi, quello del bozzetto, che rimane enigmatico, sembrando inammissibile l'ipotesi che Palma, seppur artista non molto dedito ai soggetti mitologici ma più avvezzo a dipingere il sacro in tutte le sue forme, si sia inventato una situazione non conforme ai canoni iconografici della sua epoca. È proprio questo il nocciolo della questione, se vale il concetto che ignorando il soggetto di un dipinto l'esperienza estetica suscitata dall'osservazione e dalla conoscenza risulti impoverita, sì che l'attenzione vaghi senza meta.
Sulla paternità della deliziosa tela paiono non esserci dubbi. In un suo studio inedito Egidio Martini, oltre a considerarla rara per le piccole dimensioni, ne riconosce tutte le caratteristiche riferibili alla prima maturità di Palma il Giovane, ossia intorno al 1580, non senza avanzare una suggestiva proposta in ordine al tema, che potrebbe configurarsi come il poco rappresentato soggetto di Venere che dà la mela d'oro a Ippomene prima della corsa con Atalanta. Essenziale, anche in un piccolo bozzetto come questo qui preso in esame, il venezianissimo senso del colore di Palma, ereditato da Tiziano e da Tintoretto, che non manca mai nella sua pittura. Grasso e spumeggiante appare il colore, con la tenue armonia dei rossi e degli azzurri smorzati da ombre grigie e lumeggiature biancastre; ne emerge la traccia indelebile di quell'uso sapiente della lacca di un rosso vinoso, quasi violaceo. E il mantello rosso lacca, che scivola naturalmente sulle spalle e sul corpo del personaggio centrale, riporta alla mente la medesima unità significante e coloristica quale appare nei due dipinti dedicati a san Lorenzo nella chiesa di San Giacomo dall'Orio
7 (fig.4,5).
 

 


4. Jacopo Palma il Giovane, San Lorenzo mostra al tiranno Valeriano la massa dei poveri beneficati dalla Chiesa. Venezia, chiesa di San Giacomo dall'Orlo


 

5. Jacopo Palma il Giovane, Martirio di san Lorenzo. Venezia, chiesa di San Giacomo dall'Orio.
 


Così come indissolubile dal nome di Palma è l'interesse per la figura umana nella sua concretezza esistenziale, con cui, grazie ad atteggiamenti naturalissimi e con il mutare dei volti e delle espressioni, seppe variare la convenzionalità degli schemi.


 

Alessandra Artale

 

 

 

ARTE Documento N°24  2008/2011                                                                © Edizioni della Laguna

 

 

P.S.: Nel testo corrente sono state omesse, per motivi redazionali, le note dell'autore.