Efthalia Rentetzi

Le influenze mediobizantine nei mosaici dell'arcone della Passione della basilica marciana

 

 

 

 

1. Anástasis. Dafnì, katholikon

 

 

2. Anástasis. Venezia, basilica di San Marco.

 

 

5. Incredulità di Tommaso. Venezia, basilica di San Marco.

 

 

Nella prima serie di decorazioni musive della basilica di San Marco i motivi provenienti dall'oriente bizantino si piegano alle esigenze della committenza veneziana dando vita a un programma iconografico non più governato dai rigidi schemi teologici che condizionarono l'iconografia monasteriale bizantina ma disponibile ad accogliere nuovi elementi narrativi in funzione delle esigenze di una basilica di stato.

Sembra che gli artisti della basilica marciana abbiano rielaborato, attraverso un'attenta rilettura, i messaggi stilistici provenienti sia dalla capitale che dalle province bizantine, con l'obiettivo di creare uno stile raffinato, prevalentemente celebrativo della politica trionfalistica della classe dirigente della civitas Veneciarum.

 

 

3. Anásrasis. Hósios Lúkas, katholikon.

 

4. Anástasis. Chios, Nea Moni.

 

6. Incredulità di Tommaso. Hósios Lúkas, katholikon.

 

Pur consapevoli della varietà di influenze stilistiche presenti nei mosaici marciani dell'XI e XII secolo, ci soffermeremo su quelli in cui risultano più evidenti le caratteristiche dei cicli musivi del kathólikon di Hósios Lúkas in Focide, della Nea Moni di Chios e del kathólikon di Dafní in Attica, i quali, pur appartenendo a stili diversi, fanno parte di uno stesso ciclo evolutivo compiutosi nell'arco dell'XI secolo nel territorio ellenico.

Il rapporto tecnico stilistico tra le figure musive di Hósios Lúkas e quelle rappresentate nel portale principale dell'atrio e nel presbiterio di San Marco è stato esaurientemente analizzato sia da Otto Demus che da Renato Polacco, anche sotto un'ottica diversa.

Soffermeremo pertanto la nostra attenzione sui mosaici collocati nell'arco della Passione in cui si verifica una selettiva rielaborazione degli schemi iconografici dei tre monasteri appena citati. Si tratta di uno dei più celebri cicli musivi italobizantini del periodo tardocomneno in cui vengono rappresentate scene tratte dalla Passione di Cristo disposte in registri sovrapposti. Traspare qui l'intenzione dell'artista di creare una continuità narrativa e stilistica sia nelle singole scene che nel complesso del ciclo figurativo. Le figure, allungate e modellate in maniera plastica, sono avvolte da ondulature dei panneggi così agitate che contribuiscono alla creazione di un effetto quasi prospettico. Il movimento dei corpi è pienamente sincronico a quello delle vesti, ma manca la comunicazione tra le figure che restano isolate, partecipi di uno schema complessivo prevalentemente simmetrico. Si intravede la volontà del mosaicista di marcare l'espressione dei volti e di evidenziare una differenziazione psicologica. I capelli, che spesso sembrano agitati dal vento, rafforzano l'espressionismo drammatico delle figure. Anche se gli occhi rimangono fortemente segnati, le labbra assai carnose e la tendenza a disegnare in alcune figure il mento troppo sporgente sono elementi che non appartengono ai classici schemi bizantini.

Il ciclo della Passione nell'arcone di San Marco è il frutto di un'evoluzione stilistica in cui restano soltanto tracce dello stile ieratico che domina nelle figure di Hósios Lúkas e appare evidente il tentativo di introdurre il plasticismo figurativo presente nei mosaici di Dafní, segnato da un chiaro richiamo ellenistico, da un virtuosismo linearistico e da raffinate soluzioni cromatiche, un'opera che rimane però un episodio unico nell'arte bizantina. Nella disposizione delle figure e nella vivacità dei toni coloristici si intravede piuttosto una maggior influenza dei mosaici della Nea Moni, anche se le figure di San Marco risultano più plastiche e meglio modellate al confronto di quelle di Chios. Tra le diverse scene del ciclo della Passione esamineremo più dettagliatamente quella dell'Anástasis, in cui le influenze dei cicli ellenici succitati sono maggiormente evidenti e distinguibili e che può dunque assumere valore di paradigma per i nostri intenti.

Nella raffigurazione dell'Anástasis possiamo notare che l'impegno dell'artista, più che nel portare avanti l'evoluzione stilistica in atto a Bisanzio, si concentra piuttosto nel creare uno stile autonomo, pur ricorrendo a tipi iconografici che risalgono ai primi anni dell'XI secolo. Rammentiamo che la scena dell'Anástasis, alla quale André Grabar attribuisce forti richiami provenienti dall'iconografia trionfalistica degli imperatori romani, è l'unica figurazione del ciclo cristologico che non risale al racconto dei Vangeli ma al testo apocrifo di Nicodemo.

Anche se nel corso del tempo la scena venne arricchendosi di un crescente numero di personaggi non inclusi nel testo originale e variò sia la disposizione che la posizione delle figure, rimangono tre i tipi iconografici maturati nel tempo. Nel primo tipo, presente anche in Hósios Lúkas, il numero delle figure è ridotto al minimo e manca perfino quella di Giovanni Battista, che pur risulta citata nel testo di Nicodemo. Il Cristo è raffigurato in posizione frontale e al suo fianco sinistro troviamo Adamo in attesa che Gesù lo tragga dal sepolcro. Il suo movimento è privo di naturalismo e ricorda piuttosto la posizione di proskynesis. Nel secondo tipo, maggiormente diffuso soprattutto nelle illustrazioni dei manoscritti e che incontriamo anche nella Nea Moni, il Cristo si volge verso Adamo, posto al suo lato destro, che viene raffigurato nell'atto di alzarsi, espresso in maniera assai naturale. Infine nell'ultimo tipo iconografico, al quale appartiene la scena di Dafní, appare la figura di Giovanni Battista inserita in un crescente numero di figure e la scena viene rivoluzionata dal movimento energico del Cristo in cui traspare evidente la volontà di strappare Adamo dal sepolcro. Nella scena di San Marco le tonalità delle tessere dorate e i drappeggi sia del manto che della tunica di Cristo sembrano essere elementi ripresi dalla stessa figura di Chios, mentre la posizione strettamente frontale del corpo di Cristo e il movimento della tunica che ondeggia dietro di lui come se fosse colpita da un vento violento richiamano il mosaico di Hósios Lúkas. Ma mentre in Hósios Lúkas anche il capo del Messia è in posizione rigidamente frontale, in San Marco si volge in posizione di tre quarti verso il lato destro, in un movimento che appare più meccanico che naturale poiché non è accompagnato dalla torsione del resto del corpo. Nel gruppo alla destra della scena accanto alle figure di Davide e Salomone viene raffigurato Giovanni Battista, l'espressione del cui volto e le tonalità delle cui vesti richiamano il mosaico di Dafní. È l'unico dei tre personaggi coronato da un'aureola rossa, mentre i due re ne sono privi. Nelle figurazioni bizantine, invece, incontriamo spesso coronati anche Davide e Salomone con la differenza che le loro aureole sono nelle tonalità di verde o di rosso per distinguersi da quella dorata di Giovanni, chiaro simbolo di santità. Dietro alla figura di Adamo, il movimento del cui corpo è analogo a quello di Chios, è rappresentata Eva, avvolta in una tunica di color porpora che però non le copre le mani, così come avviene nelle raffigurazioni bizantine in cui le mani sono sempre coperte dal manto per nascondere simbolicamente i peccati dell'umanità. Il Cristo si libra sopra l'abisso dell'Ade, in cui appaiono le porte frantumate, con le chiavi e i cardini disposti nella stessa maniera delle scene di Hósios Lúkas e di Nea Moni, mentre la presenza di Lucifero, schiacciato dai piedi di Cristo come simbolo della vittoria sulla morte, è ripresa dalla scena di Dafní, con la differenza che nella figura veneziana, quasi scomposta, manca il plasticismo e l'effetto impressionistico presente nel Satana del monastero attico.

Analizzando le scene figurative dell'arco della Passione nel loro complesso possiamo individuare ulteriori analogie con i tre monasteri ellenici, come nella scena dell'incredulità di Tommaso in cui sia la figura di Cristo che la posizione dell'apostolo si avvicinano in modo evidente alle stesse figure del monastero focidese. Nella scena della Crocifissione, invece, si verifica la mancanza quasi totale degli elementi simbolici che incontriamo nella scena di Hósios Lúkas, come il teschio che richiama il Golgota o la luna e il sole, posti in alto su entrambi i lati della Croce, che già a Chios e a Dafní vengono sostituiti da due angeli che a loro volta, nella scena del nostro arcone, si moltiplicano in otto, disposti in maniera piuttosto coreografica. Appaiono nuovi personaggi che testimoniano l'intenzione narrativa dell'artista che non riesce però a raggiungere l'effetto di teatralità e di azione scenica degli esempi ellenici. Le tre figure protagoniste della scena riprendono posizioni ben conosciute nell'arte bizantina come il capo di Cristo reclinato sulla spalla, il movimento delle mani di Maria che esprimono un atteggiamento di vera disperazione o la mano di Giovanni che regge il capo. Il movimento della mano dell'apostolo segue un percorso iconografico evolutivo che prende avvio dalle prime figurazioni dell'arte bizantina, in cui la mano arrivava all'altezza del petto, per salire gradualmente nel corso dell'XI secolo avvicinando il volto, come nei mosaici di Hósios Lúkas di Chios, e si conclude con la scena più tarda di Dafní, in cui la mano di Giovanni ricade nuovamente, in un gesto che non esprime più lo sconvolgimento del momento ma un dolore quasi rassegnato. In questo caso la figura di San Marco non accoglie il nuovo messaggio espresso nei mosaici di Dafní ma ricorre alle precedenti figurazioni come quelle di Chios e di Hósios Lúkas.

Naturalmente le influenze provenienti dai tre monasteri greci non sono presenti con la stessa frequenza in tutte le figurazioni del ciclo cristologico di San Marco e addirittura in alcune scene sono totalmente assenti lasciando spazio ai richiami dello stile eclettico costantinopolitano o alla vivacità scenica presente nelle illustrazioni dei manoscritti dell'XI secolo. Rimane l'alta qualità artistica del maestro greco che si dimostra abile nell'inserire la sua memoria tecnico artistica in una realtà politico religiosa ben lontana dalla sua.

 

 

Efthalia Rentetzi

 

 

 

P.S.: Nel testo corrente sono state omesse, per questioni di spazio, le note dell'autore.

 

 

 

ARTE Documento  N°14                                                                 © Edizioni della Laguna