LA TECNICA DEL COMMESSO MARMOREO

 

DA FIRENZE A VENEZIA

 

 

 

Cristina Scarpa

 

 

 

1. Giovanni Comin, Ultima cena, paliotto dell'altar maggiore. Venezia, Santa Maria del Giglio.

 

 

Fino agli inizi dell'Ottocento gli studi sulle arti decorative considerate minori erano piuttosto rari ed era alquanto difficile che gli storici dell'arte prestassero la loro attenzione a un tipo di arte eseguita esclusivamente da semplici artigiani.
Nel 1841 uno storico dell'arte toscano, Antonio Zobi, realizzò una ricerca sul commesso marmoreo fiorentino e ne rese noti i risultati pubblicando nel 1853 un volume che ancor oggi sta alla base delle conoscenze moderne su questo tipo di tecnica1.
Il commesso marmoreo è una derivazione di un particolare tipo di mosaico chiamato opus sectile o mosaico a sezioni, di origine romana (III secolo d.C.), nel quale il disegno da rappresentare veniva formato da tessere di varie dimensioni, di marmo o vetro, tagliate e accostate nel modo voluto.

 

2. Benedetto Corberelli, Lapidazione di santo Stefano, paliotto dell'altar maggiore. Venezia, Santo Stefano.

 


Il mosaico a sezioni si trasformò nel XVI secolo in commesso di pietre dure e divenne una delle attività principali degli artigiani attivi alla corte medicea nell'ultimo decennio del secolo2.
La manifattura fiorentina, fondata da Ferdinando I de' Medici nel 1588, si caratterizzò per gli straordinari risultati e per i suoi splendidi lavori3.
È utile ricordare che accanto a imprese architettoniche di straordinaria bellezza e preziosità il commesso marmoreo venne impiegato nella realizzazione di manufatti d'arredo quali tavoli, stipi, inginocchiatoi, caminetti, quadri, reliquiari, cassette portagioie, bicchieri, coppe, vasi e bottiglie.
 

3. Scuola dei Corberelli, San Gerardo Sagredo, paliotto dell'altare Sagredo. Venezia, San Francesco della Vigna.

 

Totalmente diversi sono la diffusione e l'impiego di questa tecnica in ambito veneziano. L'utilizzo del commesso marmoreo a Venezia è esclusivamente relativo alla decorazione di alcuni paliotti d'altare.
La mancanza assoluta di vasi, coppe, bicchieri o bottiglie può forse essere giustificata, a mio avviso, dalla presenza della fiorente industria del vetro allora in piena attività la quale opera a tutt'oggi nell'isola di Murano; non vi è, invece, una vera e propria giustificazione per quanto riguarda lo scarso utilizzo del commesso marmoreo in altri settori4.
A Venezia l'esecuzione degli altari avveniva con l'intervento e la collaborazione di numerose corporazioni quali "mureri" (muratori), "marangoni" (falegnami), "fabri" (fabbri) e "tagiapiera" (tagliapietre); quest'ultima svolgeva il ruolo più importante5.
È importante sottolineare che non vi era una corporazione specializzata nella tecnica del commesso marmoreo: nei documenti d'archivio consultati la corporazione dei tagliapietre viene infatti identificata con quella dei commettitori di pietre dure.
L'esecuzione dell'opera in commesso veniva realizzata mediante lo stesso procedimento tecnico a Firenze come a Venezia. Il pittore o l'architetto ideatore del progetto dell'altare eseguiva un disegno a colori del paliotto, quasi sempre in dimensioni reali; dal modello pittorico6 veniva ricavato un lucido su cui si operava per suddividere la composizione nelle varie sezioni costitutive. Una delle caratteristiche peculiari del commesso marmoreo è proprio di far risaltare le varie parti accostate con grande precisione in modo da far risultare le commettiture quasi invisibili.
Lo 'sceglitore di macchie', avendo a disposizione tante 'fette' di colori diversi operava una scelta cercando la tonalità più adatta, quella che nella sfumatura naturale della pietra si avvicinasse il più possibile alla sezione del modello dipinto.
Dopo aver fissato la 'fetta' prescelta in una morsa si procedeva al taglio che veniva eseguito mediante l'uso di un filo sottilissimo in acciaio rivestito di rame sul quale veniva versato un abrasivo. Se la 'fetta' si trovava al margine del blocco di marmo era semplice iniziare la sagomatura del disegno, ma se il pezzetto di marmo o di pietra si trovava all'interno, si doveva praticare un foro nel punto iniziale del taglio e ivi introdurre il filo di rame.
Ritagliati i contorni di ogni elemento, composta così la figurazione del modello pittorico e controllata la perfetta aderenza tra le commettiture, si disponeva l'opera su di un piano di comodo così che la parte a vista risultasse adagiata sul fondo. Quindi si procedeva alla spianatura del retro del paliotto, con dell'abrasivo a grana grossa, cercando sempre che le due facce fossero e rimanessero perfettamente parallele; in seguito veniva preparata una colla, formata in genere da una parte di colofonia e tre di cera d'api, la si metteva a scaldare e si versava il composto caldo sopra la parte rovescia del commesso. Dopo alcuni giorni la lastra di comodo veniva tolta e si procedeva alla pulitura della parte a vista che si presentava come una superficie opaca, occorreva quindi agire con abrasivi sempre più fini sino ad arrivare a uno stato di semi lucidatura. La lucidatura completa era raggiunta fregando la superficie con spoltiglio e lastre di piombo oppure con tamponi rivestiti di robusta tela7.

 

 

4. Giuseppe Pozzo, Estasi di santa Teresa e vasi di fiori, paliotto dell'altare di Santa Teresa. Venezia, Santa Maria di Nazareth, degli Scalzi.

 


Si accennava più sopra che lavori eseguiti in commesso marmoreo a Venezia ve ne sono pochi, principalmente infatti si riferiscono alla decorazione degli altari. Alcuni di essi presentano caratteristiche iconografiche simili, ideate dallo stesso autore o dovute all'intervento di una medesima scuola.
L'altare maggiore della chiesa di Santo Stefano, a esempio, ha moltissime caratteristiche iconografiche simili all'altare Sagredo della chiesa di San Francesco della Vigna: mentre il primo viene attribuito con certezza allo scultore Benedetto Corberelli, il secondo, a causa della sua esecuzione meno concettuosa ed elegante, viene attribuito alla sua scuola.
Mi preme sottolineare che in nessun saggio specialistico, libro o guida di Venezia si trovano segnalati questi tipi di manufatti. L'identificazione degli altari in commesso infatti si è potuta attuare solo con la ricerca da me condotta in tutte le chiese veneziane. L'interesse e la curiosità verso questa tecnica mi ha spinto a interessarmi dei tipi di marmi che costituiscono i paliotti, in questo modo ho potuto rilevare che gli altari veneziani sono composti da una notevole quantità di rocce8.
 

 

Le rocce utilizzate negli altari in commesso marmoreo a Venezia


Attraverso le analisi mineralogiche fatte mediante raggi X e lo studio petrografico al microscopio di alcuni campioni, si è riusciti ad avere un elenco dei materiali litici che venivano utilizzati nel commesso marmoreo veneziano durante il periodo barocco9.
 

I materiali impiegati comprendono una notevole varietà di rocce carbonatiche, silicee e alcune pietre semi preziose, i quali si possono classificare nei tipi litologici che qui seguono10

 
L'AFRICANO. È una breccia costituita da frammenti marmorei di varia forma e dimensione inseriti in un cemento scuro che volge talora al nero, al verde, al bruno e al rosso. Del suo luogo di provenienza nulla si sapeva fino a qualche anno fa, è grazie a una équipe di studiosi inglesi che nel 1966 si scoprì la cava di africano in Asia Minore a Teos.
 

L'ALABASTRO CALCAREO. Originato per una deposizione chimica di bicarbonato di calcio; si trova sia in depositi superficiali concrezionali, sia come riempimento di cavità di rocce calcaree. Proveniva in massima parte dall'Egitto e dai territori delle attuali Tunisia e Algeria.

 

Il CALCEDONIO. La varietà fibrosa del quarzo nota come calcedonio costituisce una gamma assai vasta di pietre. Le varietà più diffuse e apprezzate sono la corniola e l'agata. La corniola è una roccia dura e compatta che può essere utilizzata come gemma semi preziosa. La più lodata è quella di Sardegna, poi quella dell'Epiro.
 

Il DIASPRO. Roccia quarzosa analoga per durezza e composizione al calcedonio di origine organica, si distingue per la sua opacità. I diaspri più famosi sono quelli provenienti dalla Liguria e dalla Sicilia.
 

Il GIALLO MORI. È un calcare del Trentino, si presenta come fondo ambrato con chiazze regolari più scure e spinate di media durezza. Viene molto usato in ambito veneto, mentre nel commesso fiorentino veniva preferito il giallo di Siena.
 

Il LAPISLAZZULO. Pietra semipreziosa dal caratteristico color azzurro oltremare intenso costituita in prevalenza da sodalite e punteggiata da minuti cristalli di pirite. La qualità e coloritura più intensa e uniforme proveniva dall'Afganistan ed era definita "lapislazzulo di Persia".
 

La MALACHITE. È costituita in prevalenza da carbonato di rame e mostra una struttura concrezionale con striature regolari che sfumano dal verde brillante a toni assai cupi.
 

Il MARMO VERDE AOSTANO. È una roccia a struttura brecciata con elementi di serpentinite di color verde e cementata da vene bianche prevalentemente costituite da calcite. Si cava tuttora in varie località della Val d'Aosta tra cui Champ de Praz.

 

Il MARMO DI CARRARA. Marmo bianco a grana fine, compatto, con struttura cristallina a mosaico che conferisce alla pietra la sua tipica luminescenza. È in assoluto il marmo più usato nei commessi marmorei veneziani, poiché fa da base o da cornice a tutte le composizioni in commesso.
 

Il NERO VARENNA. È un calcare più o meno carbonioso di colore nero, con struttura venata a vene bianche calcitiche.
 

Il PARAGONE. Selce nera, a grana molto compatta. Nei documenti tutti i marmi neri dei lavori in commesso vengono indicati come paragone anche se si tratta di marmi di tipo diverso.
 

Il PORTORO. È un calcare brecciato con pigmentazione carboniosa cementato da vene di color giallo aranciato costituite da calcite e limonite. Si estrae dal Monte Castellana in provincia di La Spezia.
 

Il ROSSO DI FRANCIA. È un calcare micritico fossilifero brecciato cementato da vene di calcite. La cava è tuttora usata a Caunes Minervois nella regione dell'Aude della Francia.
 

Il ROSSO LEVANTO. È un'oficalce di aspetto rosso sanguigno a venature chiare, rosse e violacee. Si trova nelle cave intorno a Levanto.
 

Il ROSSO DI VERONA. È un calcare fossilifero di colore rosso aranciato proveniente dal veronese. È caratterizzato dall'inconfondibile disegno dei resti di ammoniti.
 

 

L'altare di Santa Teresa nella chiesa degli Scalzi a Venezia


Pochi come si accennava più sopra sono gli studi che si occupano dei paliotti decorati in commesso marmoreo11. Ho condotto uno studio di tipo storico artistico e tecnico sull'altare maggiore della chiesa di Santa Maria del Giglio, di quello di Santo Stefano e su due altari laterali nelle chiese di San Francesco della Vigna e degli Scalzi, rispettivamente Sagredo e di Santa Teresa. Intendo approfondire in questa sede l'altare di Santa Teresa.
A Santa Teresa è dedicato un altare molto importante e prezioso situato nella seconda cappella laterale destra della chiesa degli Scalzi.
Lo storico Luigi Ferrari scrive: "...per erigerla gli stessi padri soggiacquero a gravi spese"12; ma sappiamo anche che molte nobildonne si riunirono in una "Congregazione delle Dame"13 e insieme contribuirono all'edificazione dell'altare in maniera quasi determinante tanto che l'iscrizione, riportata dal Cicogna e incisa sull'altare dice: "FIAC/ DEVOTIONIS OPUS / CONGREG./ NOB.M.M./ S.TERESINA"14.
La cappella è molto ricca di marmi, il pavimento è rivestito di portoro e di rosso di Verona, le porte laterali sono realizzate in rosso di Francia e di Bardiglio.

 

 

5. Famiglia Corberelli; Vaso di fiori, pannello sinistro dell'altare di Santa Giustina. Padova, Santa Giustina.
 

6. Marmi che compongono il pannello laterale sinistro dell'altare di Santa Teresa. Venezia, Santa Maria di Nazareth, degli Scalzi.

 

 

Documenti manoscritti ci informano che il 29 maggio del 1670 veniva stipulato un contratto per l'erezione della cappella di Santa Teresa: "Illustrissimo Signor Bortolo Zen di S. Pantalon vi obligo di fabricar nella chiesa dei Padri carmelitani Scalzi una cappella cioè la grande che segue alla cappella di S. Giovanni Battista in honore della serafica Vergine S. Teresa, et il sito d'essa et spese sia fatto dai Padri Carmelitani". Il tutto firmato "Fra' Giuseppe Pozzo" 15.
Vi sono in seguito segnati l'intera somma dei ducati che il tagliapietre Bortolo ha ricevuto come acconto o saldo per il lavoro eseguito.
Successivamente entrò a far parte del cantiere un certo Giovanni della Torre, anch'egli tagliapietre, ma con mansioni assai differenti rispetto al Bortolo, il Della Torre si occupava dei ponti necessari per le fondamenta della cappella, si legge infatti: "Havuti dal Signor Anzolo i ponti per le fondamenta della cappella numero 50. Agosto 1671"16.
Dai documenti d'archivio si apprende ancora che: "Adì 25 marzo 1698 si obliga il Signor Enrico Meyring scultore di fare la statua di Santa Teresa nella chiesa dei Carmelitani Scalzi et angelo di grandezza più del naturale con puttino che mostrerà un cartello per l'iscrizione et il resto secondo il dissegno concertato col P. Giuseppe Carmelitano Scalzo tuto fatto di sua propria man con la maggior sua diligenza et arte; darà finita l'opera di punto, e perfettionata con la maggior bellezza sarà possibile nel termine di circa otto mesi et anco più presto se potrà, sicchè per la festa di S. Teresa prossima ventura, che casca il 15 ottobre 1699 debba esser posta sopra l'altare: il tutto per il prezzo di ducati 500 e tra questi compresa la pietra di marmo del più fino che importerà per un valore non più di 200 ducati"17.
L'autore della cappella e dell'altare di Santa Teresa è Jacopo Antonio Pozzo, laico carmelitano, autore anche dell'altare maggiore, dell'altare della famiglia Manin e dell'altare ligneo situato in sacrestia nella medesima chiesa. Di lui sappiamo che nacque a Trento il 13 aprile del 1645 e che durante la sua adolescenza si era dedicato alla scultura lignea.
Si trasferì per un lungo periodo a Roma, dal 1692 al 1696, dove divenne alunno del fratello Andrea, impegnato in quegli anni a elaborare i due libri della Prospectiva pictorum et architectorum. I continui contatti con il fratello favorirono l'acquisizione degli elementi barocchi romani che egli in seguito avrebbe importato a Venezia. In questi anni Jacopo Antonio Pozzo indossò gli abiti religiosi e divenne fra' Giuseppe18.
A lui vanno attribuiti altri altari nella stessa chiesa degli Scalzi oltre alla realizzazione dell'altare maggiore della chiesa dei Gesuiti di splendida fattura, simile come impostazione architettonica all'altare maggiore della chiesa degli Scalzi.
Il paliotto dell'altare di Santa Teresa è composto in tre pannelli: quello centrale rappresenta la Santa in procinto di cadere in estasi, quelli laterali raffigurano un vaso di fiori. Si rimane colpiti per la finezza dell'esecuzione e la raffinatezza dei particolari, e per quanta e quale cura il Pozzo abbia prestato alla scelta dei materiali.
I pannelli laterali sono composti da rocce dello stesso tipo, ma gli elementi figurali sono diversi, soprattutto nella disposizione e nei colori dei fiori, da questo si desume che non è stato utilizzato lo stesso "cartone" per l'esecuzione dei due riquadri.
L'altare di Santa Teresa non è l'unico decorato con vasi di fiori, un altro esempio è l'altare maggiore della chiesa veneziana di Santo Stefano.
Senza dubbio risulta intrinseca una simbologia degli elementi decorativi, poiché questi si prestano a essere interpretati. In passato san Giovanni della Croce aveva considerato "il fiore immagine delle virtù dell'anima e la cultura dei fiori e dei frutti ci riporta alla mente il paradiso terrestre"19 proprio nella seconda metà del XVI secolo in tutta Europa cominciano a essere illustrati i libri di botanica. Si pensi agli artisti nordici come Hoefnagel e Daniel Froeschl autori di illustrazioni di numerosi trattati botanici e agli artisti italiani come Filippo Palladini e Jacopo Ligozzi illustratori di moltissimi trattati botanici custoditi tutt'oggi all'Accademia dei Georgofili20.
Non dimentichiamo infine che proprio nel XVII secolo le piante e i fiori diventano i soggetti di moltissimi dipinti dando vita a quel genere di 'natura morta' che avrà molta diffusione durante il periodo barocco.
Marilena Mosco mette in evidenza come "il sogno dell'uomo è quello di un'immersione piena in una natura eternamente primaverile, dove i fiori sono creature viventi di giovinezza, eletti a incarnare la modestia, la bellezza, il sorriso, la gioia e il dolore"21.
Decorare gli altari con vasi di fiori non è una caratteristica riscontrabile solo negli altari veneziani ma anche in quelli fiorentini, lombardi e veneti, in particolare nei paliotti della chiesa di Santa Giustina a Padova, eseguiti dalla famiglia Corberelli.
La famiglia Corberelli era di origine fiorentina e si era venuta specializzando in altari in commesso portando la propria esperienza a Padova, a Vicenza, a Verona e a Brescia creando dei magnifici paliotti intarsiati. Un componente della famiglia, Benedetto Corberelli, sostò e lavorò a Venezia ideando lo splendido paliotto di Santo Stefano22.
La presenza del Corberelli a Venezia in questo periodo avrebbe fatto sì che si formasse una bottega che in seguito si sarebbe occupata anche dell'altare di Gerardo Sagredo a San Francesco della Vigna.
Ritornando all'altare di Santa Teresa è utile soffermarsi sull'accuratezza con cui è stato ideato il pannello centrale: nel pur ristretto spazio figurale a disposizione fra' Giuseppe Pozzo riesce a creare l'effetto di una profonda scena prospettica. Per la sua articolata impostazione spaziale il pannello può essere apprezzato come un piccolo quadro barocco.
Il primo particolare di rilievo è l'effetto creato dalle giunture di marmo bianco cristallino del tavolo sul quale si appoggia la santa. Queste fanno sì che il tavolo sembri coperto da un panno cascante e danno la sensazione di movimento. Sul tavolo, sopra un drappo dorato, quasi sullo sfondo, sono situati tre libri, visti in prospettiva, nei quali si può persino contare il numero delle pagine. Nella parte sinistra del tavolo si vedono un piccolo calamaio e una penna d'oca che la Santa tiene saldamente in mano nel momento dell'estasi. Anche la veste della santa è stata ricavata dall'accostamento di 'fette' di piccole dimensioni accostate in modo da creare un delicato effetto di panneggio svolazzante.
Sullo sfondo, il cui spazio scenico viene ampliato grazie all'inserimento di una tenda, appaiono nuvole cumuliformi anch'esse ottenute con pezzi di marmo di dimensioni e colore diversi, tra esse vola una colomba.
Santa Teresa è ritratta in leggera torsione nell'attimo che precede la visione, poiché ci appare più stupita che in estasi. I tipi di rocce impiegati nell'intero paliotto non sono molti: il giallo Mori, il rosso di Francia, il bianco di Carrara, il nero del Belgio, il nero Varenna, la breccia rossa, ma sono state scelte macchie di colore sufficientemente diverse dello stesso tipo litologico in modo da creare una sapiente e suggestiva composizione sia dal punto di vista degli accostamenti cromatici che della costruzione spaziale. L'identificazione dei materiali lapidei risulta importante per un eventuale restauro dei manufatti in commesso marmoreo, in quanto bisogna tener conto della composizione geofisica delle rocce dato che si devono affrontare problemi relativi al loro comportamento nei pro-cessi di alterazione.
L'altare di Santa Teresa, a esempio, presenta un'evidente decolorazione della roccia nera del fondo e una consistente alterazione del marmo che fa da base al vaso di fiori.
Conoscere con precisione il tipo di marmo nero di cui è formato l'altare significa capire subito la causa della sua depolarizzazione che, nel caso specifico, è 1'umidità.
L'umidità è il pericolo principe per tutte le rocce: attraverso le infiltrazioni d'acqua il marmo può subire anche delle trasformazioni cromatiche anomale peggiorando il riconoscimento del tipo litologico.
Lo studio del marmo si è sviluppato negli ultimi anni anche grazie alla collaborazione tra storici dell'arte e geologi, malgrado ciò, in alcuni casi, risulta comunque difficile stabilire con sufficiente sicurezza l'esatta identificazione.
Alla fine di questo studio sento il dovere di ringraziare per la collaborazione e la disponibilità offertami la dottoressa Giuseppina Perusini e la professoressa Piera Roda Spadea, per le preziose informazioni suggeritemi il dottor Ettore Merkel della Soprintendenza ai Beni Storici Artistici di Venezia, per la cortesia e i sempre preziosi consigli il professor Giuseppe Maria Pilo, per la sua gentile disponibilità la dottoressa Lea Salvadori Rizzi e tutto il personale della biblioteca del Museo Civico Correr.
 

 

 

Cristina Scarpa

 

 

 

Note

1 A. Zobi, Notizie storiche sull'origine e progressi di lavori di commesso in pietre dure, Firenze 1853, pp. 139-140.
2 Gli artisti attivi in questo periodo sono riuniti in diverse botteghe artistiche situate agli Uffizi e venivano controllati direttamente da Ferdinando I de' Medici (1549-1609), cfr. A. Zobi, Notizie storiche... cit., Firenze 1853, p.180.
3 A. Zobi, Notizie storiche ... cit., Firenze 1853, p. 186.
4 A Venezia il commesso marmoreo risulta applicato esclusivamente nella costruzione di paliotti d'altare tuttavia vi è uno stemma segnalatomi dal dottor Merkel, posto sulla tomba della famiglia Contarini nella basilica dei Frari che è eseguito con la tecnica del commesso. E. Merkel, Commessi di Benedetto Corberelli a Venezia, in "Quaderni di Venezia Arti Roma 1992, pp. 178-181.
5 Per un ulteriore approfondimento relativo all'arte dei tagliapietre è utile consultare i saggi di A. Sagredo, Sulle consorterie delle arti edificative, Venezia 1856, pp. 281-310; C.A. Levi, Notizie storiche di alcune antiche scuole d'arti e mestieri..., Venezia 1856, pp. 140-151; G. Monticolo, I capitolari delle arti veneziane sottoposti alla Giustizia Vecchia, Roma 1914, pp. 249-258; G. Caniato - M. Dal Borgo, Le arti edili a Venezia, Roma 1990, pp. 159-178.
6 Il modello pittorico in antico era quasi sempre realizzato su carta ma a partire dal XVIII secolo prevale l'olio su tela, E Rossi, Il commesso e la glittica all'opificio delle pietre dure, in "Splendori di pietre dure", catalogo della mostra, Firenze 1988, p. 276.
7 Queste e importanti notizie sulla tecnica del commesso marmoreo si possono trovare nei saggi di A. Zobi, Notizie storiche... cit., Firenze 1853, pp. 4-33; A.M. Giusti, Il museo dell'opificio delle pietre dure a Firenze, Milano 1976, pp. 269-277 e A.M. Giusti, Pietre dure, Torino 1992, pp. 273-293.
8 In una classificazione merceologica con il termine marmo si definiscono tutti i materiali litici in genere, mentre per una corretta classificazione petrografica si definiscono con il termine rocce tutti i marmi.
9 Grazie alla collaborazione della professoressa Piera Roda Spadea, docente presso la facoltà di Agraria dell'Università di Udine, sono riuscita a determinare il tipo di rocce utilizzate nei paliotti durante il periodo barocco. Di alcune rocce sono state eseguite anche le analisi al microscopio e ai raggi X.
10 Le informazioni che riguardano il luogo di provenienza della roccia sono tratte da R. Gnoli, Marmora romana, Roma 1988, p. 26 e L. Lazzarini, I materiali lapidei dell'edilizia storica veneziana, in "Restauro e città" 3/4, 1986, pp. 93-100.
11 Questa affermazione è condivisa anche dal dottor Ettore Merkel della Soprintendenza ai Beni Storici Artistici, responsabile del restauro dei manufatti in commesso marmoreo esistenti in città.
12 L. Ferrari, I Carmelitani Scalzi a Venezia, Venezia 1882, p. 25.
13 A.S.V., Scalzi, busta 9.
14 L'iscrizione è riportata da G. Bianchini, La chiesa di Santa Maria di Nazareth detta degli Scalzi; Venezia 1894, p. 18.

15 A.S.V., Scalzi, busta 10.

16 A.S.V., Scalzi, busta 10.

17 Ibidem.

18 Ulteriori informazioni sulle opere di Jacopo Antonio Pozzo si trovano nel saggio di F. Casagranda, Uno sconosciuto architetto d'altari: Jacopo Antonio Pozzo, in "Palladio", VII, 1958, p. 78.
19 J. Chevalier - A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli, Milano 1986, p. 449.
20 Queste e altre interessanti notizie di carattere botanico si trovano nel saggio di M. Mosco, Coltura dei fiori con i Medici, in "F.M.R.", 100, 1993, p. 20.
21 M. Mosco, Coltura dei... cit., in "FMR", 100, 1993, p. 16.
22 M. Massa, Benedetto Corberelli, in Dizionario biografico degli italiani, XXVIII, Roma 1983, pp. 710-713.


 

 

 

ARTE Documento N° 9

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