Fabrizio Magani

 

Dipinti profani di Giambettino Cignaroli

 

 

 

Nell'Autoritratto (1758) del Kunsthistorisches Museum di Vienna Giambettino Cignaroli (1706-1770) è in azione al cavalletto con pennelli e tavolozza; lo sguardo è concentrato in una sorta di rapimento pensoso che sembra offrirci l'immagine veridica dell'impressione avuta da Tomaso Temanza e trasmessa nella lettera del 30 aprile 1768 al collezionista Pierre-Jean Mariette, quasi a voler rimarcare un preciso tratto caratteriale dell'artista veronese: Il [...] costume del Cignaroli è ingenuo, e unicamente propenso allo studio dell'arte sua; senza però affettar astrazione di mente». E più precisamente: «in riguardo alla Pittura, egli si sforza di cercar l'ottimo in ogni parte ad essa spettante: maravigliandosi di coloro che ad una Scuola attenendosi, l'altre non curano mentre (come dice) è segno di somma stoltezza il non conoscere le qualità, ch'anno in se (benché diverse) la Scuola Romana, Veneta, Lombarda e Bolognese [...]».

 

1. Giambettino Cignaroli, Danae, olio su tela. Collezione privata.

 

 

L'artista di straordinario e apprezzato talento, in verità fino a quel momento non aveva dipinto moltissimo e prevalentemente opere dalla tematica sacra, ma per certi versi ciò costituiva una nota caratterizzante dei suoi intendimenti e come tale egli era ben conosciuto, per via dei lunghi tempi impiegati nella redazione delle opere. Una questione, questa, rimarcata dalle persone vicine e che, al di là della risaputa diligenza del maestro, corrispondeva spesso a un'ossessiva ricerca, allo studio metodico dei finitissimi disegni per singole figure poi dislocate nello spazio della pittura, seguendo l'iter prescritto dall'Accademia praticata a Bologna, a Parma e infine a Verona, dal 1764, con l'incarico di direttore.

Frequentando trentenne l'ambiente veneziano, gli umori di quell'artista particolare si trovarono a contatto con un pittoricismo che poteva renderglisi maggiormente disponibile tra le lagune (Piazzetta, Tiepolo), e tuttavia si rivolsero alla pittura veneta ricercando anche un rapporto con i classici del Cinquecento e un più autentico vincolo formativo con i maestri visti a Verona: da Santo Prunati, ad Alessandro Marchesini, da Louis Dorigny fino ad Antonio Balestra, col quale ebbe in comune lo stile fluido, classico nella concezione del disegno, sia pur ravvivato da certo virtuosismo descrittivo e dall'evidenza di accesi cromatismi.

Nonostante Giambettino Cignaroli potesse vantare una carriera di tutto riguardo in circa quarant'anni di attività, Pierre-Jean Mariette aveva scritto da Parigi all'amico Temanza il 5 gennaio 1767 nel tentativo di saperne di più su quell'artista del quale gli era giunta la fama di disegnatore: «Certuni mi parlarono con molta stima delle opere di un pittor veronese, e chiamasi Cignaroli, e spiacque loro di non trovare nella mia collezione disegni di esso». Poco più di un anno dopo il francese tornava sull'argomento, invitando Tomaso Temanza a ragguagliarlo sulla vita e sul lavoro del maestro: «Vorrei sapere di qual pittore il Cignaroli è discepolo, e qual è la sua età, e sua Patria: non trovo niente di lui nella nuova edizione dell'Abecedario pittorico [...]». A tali richieste il veneziano poté rispondere con una certa sollecitudine grazie all'aiuto dell'amico veronese Bonaventura Bini, che aveva potuto ottenere una biografia autografa direttamente dal pittore. Si tratta di un documento assai prezioso, poiché Cignaroli scelse un taglio particolare per il proprio "autoritratto d'artista" che, oltre a offrire le generalità di base, forniva un interessante scorcio sulle sue più importanti committenze internazionali: una panoramica in grado di restituire la dimensione europea del maestro, che già allora poteva vantare notevoli agganci negli ambienti di Roma, Parigi, Madrid, Dresda, Vienna e Pietroburgo.

Il documento porta anche alla conferma indiretta di quanto l'artista fosse concentrato su se stesso e attento ad amministrare un'immagine pubblica di assoluto rispetto, come del resto venne accertato dal suo primo biografo ufficiale, Ippolito Bevilacqua, che ricordava quanto Cignaroli fosse addirittura maniacale nel curare i rapporti professionali.

Precisione pure riscontrabile nella volontà di raccogliere scrupolosamente i trecentonovantadue disegni che formano i tre volumi pervenuti nel 1836 alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, tramite la donazione di Gaetano Taverna; un insieme eccezionale per tecnica e varietà di soggetti che, con l'altro corpus degli Uffizi attualmente in corso di studio, presenta un artista impegnato nella registrazione delle più varie tematiche in un'antologia organizzata, nel rispetto della precettistica accademica che trova nel disegno uno dei momenti più alti nell'elaborazione dell'opera, esemplarmente rappresentato dalla lunga e ripetuta ricerca grafica con cui era preparata la pittura. Tale disciplina sembra trovare un suo approdo ideale proprio nei tre tomi di disegni, quale sintesi interna all'organizzazione del percorso creativo dell'artista veronese, che acquista un ruolo preciso intrinseco alla nascita dell'immagine e diviene, insieme, un vero e proprio campionario di temi da proporre ai clienti del momento.

A emergere puntuale è infatti il quadro dei principali committenti di Giambettino Cignaroli, privati e di ambito ecclesiastico, rigorosamente annotati dal maestro, che nei lunghi anni della carriera, cominciata autonomamente nel 1729, andavano a formare una "geografia" internazionale dei suoi estimatori. A cominciare da Venezia, città nella quale l'artista era stato avvicinato dai Corner, dai Pisani, dai Pesaro, dai Barbarigo e soprattutto dai Labia, tra il 1735 e il 1738 nel corso del soggiorno lagunare, via via fino al re di Francia, al vescovo di Neustadt, uno dei più assidui ammiratori, ad Augusto III a Dresda, ai collezionisti russi Stroganoff, Razumowski, Schuwalow, al pienipotenziario d'Austria conte Carlo Firmian, al console inglese a Venezia John Udney: l'elenco è impressionante per la proporzione del fenomeno governato sapientemente dall'artista, soprattutto perché, come ebbe a dire Tomaso Temanza, «ha egli ricusato di ire al servigio delli Sovrani, ove con larghe offerte più volte è stato invitato».

Da Verona, con una buona organizzazione del lavoro, si poteva controllare il mercato artistico europeo che, stando alle precise didascalie presenti nella raccolta di disegni dell'Ambrosiana, per Cignaroli sembra avere nel 1751 una puntuale data di partenza, con una Maddalena inviata al vescovo di Neustadt. Il quadro delle committenze di Cignaroli fornisce, anzi, precisazioni riguardo alle scelte iconografiche dell'artista, che proprio con i clienti stranieri sperimenta il tema profano rispetto al più frequentato soggetto religioso.

 

3. Giambettino Cignaroli, Danae, disegno. Milano, Biblioteca Ambrosiana.

 

4. Giambettino Cignaroli, Leda e il cigno, disegno. Milano, Biblioteca Ambrosiana.

 

È il caso dei due dipinti raffiguranti Leda e il cigno e Danae, cui rimandano i disegni ai numeri 360 e 362 nei volumi dell'Ambrosiana (figg. 3, 4). Si sa con certezza che le opere vennero realizzate da Cignaroli nel 1766 per essere destinate al re di Polonia Stanislao Augusto Poniatowski tramite il marchese Francesco Albergati Capacelli, nobile eccentrico e pure attore in un teatro di proprietà a Bologna, che attraverso l'omaggio tentava di ottenere un qualche titolo dal re: «Quando il regnante [...] ebbe in dono [...] il quadro del Cignaroli, in cui è figurata Leda col Cigno, restò dalla bellezza di questo sorpreso, e non si contenne dal dire replicatamente: bravo il Cignaroli, bravo il Marchese Albergati; questo si chiama regalo da farsi per me [...] Nel ricevere il favoloso argomento espresso in quadro dal Cignaroli di Verona, abbiamo meritamente ammirata l'idea e l'arte del Pittore; abbiamo sommamente gradita la gentilezza e l'attenzione del donatore; chiunque sa le nostre inclinazioni, può facilmente comprendere qual caso noi facciamo di tal dono».

Senza dubbio un'abile operazione, che valse effettivamente a Francesco Albergati, nel 1767, la nomina a «Ciambellano di Sua Maestà» e, l'anno dopo, il titolo di «Aiutante generale di campo» senza l'obbligo di seguire il re in guerra; il personaggio era una bella figura di opportunista se, pur risiedendo abitualmente tra Venezia e Bologna, aveva posto all'ingresso del palazzo lo stemma della «Serenissima Repubblica di Polonia», ostentando una sfrontatezza tale da infastidire persino Giacomo Casanova: «[...] secondo l'uso della corte polacca un ciambellano poteva fregiarsi del titolo di Aiutante generale, e quindi il marchese poteva proclamarsi generale. Ma generale di che? L'aggettivo usato senza il sostantivo serviva solo a ingannare chi leggeva il biglietto, giacché l'aggettivo isolato doveva sembrare un sostantivo a tutti quelli che non erano al corrente delle usanze polacche». È merito di Susanne Juliane Warma aver rintracciato presso il Museo Nazionale di Varsavia il dipinto corrispondente al disegno raffigurante Danae, che reca la firma «CIGNAROLIVS P.» ben evidente in una delle monete che ricordano la pioggia d'oro nella quale si trasformò Giove sceso a possedere la fanciulla da cui nacque Perseo.

Dell'altro esemplare con Leda e il cigno, pure registrato nel disegno della raccolta "Cignaroli" dell'Ambrosiana, si sono perdute le tracce, ma possiamo immaginare come dietro ai due soggetti si celasse la propensione di un gusto privato per l'intrattenimento pittorico attraverso il racconto che, nelle sue diverse intonazioni letterarie, doveva lasciar posto all'identificazione con il destino glorioso dello stesso Poniatowski: cosi come eroi immortali erano nati dai leggendari amori di Giove, Perseo e i dioscuri Castore e Polluce.

 

1. Giambettino Cignaroli, Danae, olio su tela. Collezione privata.

 

2. Giambettino Cignaroli, Leda e il cigno, olio su tela. Collezione privata.

 

Alla perduta unità costituita dal prezioso pendant inviato da Francesco Albergati al re di Polonia, corre ai ripari un'identica coppia di dipinti recentemente individuati in una collezione privata (olio su tela, cm. 80x104; figg. 1, 2); notevole per l'intatta conservazione che permette di esaminare lo stile maturo dell'artista veronese e importante poiché ne risarcisce il catalogo dell'esemplare raffigurante Leda e il cigno, mancante dalle opere provenienti dalla collezione di Stanislao Augusto Poniatowski. Sempre dalla scritta del disegno 330 conservato nella "raccolta Cignaroli" di Milano, si viene a sapere che il maestro aveva realizzato nel 1756 un analogo dipinto per la collezione di Dresda del re di Polonia ed elettore di Sassonia Augusto III, ma, data l'identica redazione rispetto alle versioni destinate a Varsavia, possiamo ritenere con sufficiente sicurezza che anche le due nuove opere siano state licenziate a ridosso di quelle, se non nello stesso 1766.

Come nella versione del Museo Nazionale di Varsavia, anche la seconda Danae presenta lievi distinzioni rispetto al disegno di riferimento, ovvero l'aggiustamento dello snodo tra testa e spalla o l'impostazione dell'amorino che nel foglio milanese è arretrato rispetto alla definitiva composizione pittorica; ma tra l'invenzione grafica e il nuovo dipinto vi è piena identità compositiva, che appare invece risolta diversamente nell'altra Danae, più ravvicinata e priva della fascia inferiore con il ricco panneggio. Per la firma l'artista scelse la versione «CIGNAROLIVS IN», che sembrerebbe portare il pendant a una redazione precedente rispetto a quello inviato a Varsavia, per via di quell'  "invenit" probabilmente dedicato al vero artefice dell'operazione, Francesco Albergati.

Pressoché sovrapponibile al disegno è, al contrario, il dipinto raffigurante Leda, che appare avvolta dal cigno dal lungo collo, in una composizione sciolta in agili cadenze, tramite le quali si possono cogliere gli equilibri sobri e piacevoli della pittura di Cignaroli. Nei due esemplari si assiste cioè a quella delicata "correttezza" stilistica propria di una interpretazione accademica, prossima ai pensieri di un nuovo classicismo, con cui il maestro si misura partendo da una "favola" antica. All'amplificazione retorica è preferita l'economia del gesto, alle luci irruenti un lento trapasso di tono, un cromatismo pacato che denota la perfetta sapienza tecnica dell'artista e uno stile tutto intessuto di esplicite corrispondenze costruite su figurazioni neoraffaellesche e, più ancora, sulla linea diretta con i bolognesi e i romani del Seicento classicista, da Guido Reni, a Carlo Cignani, a Carlo Maratta. Il rinnovato rapporto con la pittura veneziana, che in Cignaroli aveva dato i frutti più cospicui duranti gli anni trascorsi tra le lagune, sembrava ormai indirizzarsi, sul crinale degli anni Sessanta, verso le morbidezze e l'essenzialità del pastello.

Atmosfere rarefatte e trasparenze leggere che lasciavano alle spalle i virtuosismi e i viraggi cromatici di ascendenza tardobarocca, ai quali Cignaroli contrapponeva definitivamente la limpidezza disegnativa e un'inflessione nobile e semplice, conformemente agli orientamenti di un ruolo ufficiale occupato in Accademia. Indirizzi che attendevano di schiudersi del tutto in un linguaggio neoclassico internazionale, se la morte non avesse portato via l'artista quando da poco aveva ultimato il Sacrificio di Rachele (1769; Venezia, Gallerie dell'Accademia), un'opera che testimonia programmaticamente e con lucidità una precisa linea di gusto in via di cambiamento.

 

 

 

 

Fabrizio Magani

Trieste, maggio 1999

 

 

 

P.S.: Nel testo corrente sono state omesse, per questioni di spazio, le note dell'autore.

 

 

 

 

ARTE Documento  N°15                                                                 © Edizioni della Laguna