Giuliana Marcolini

Alla ricerca di un Guercino "perduto"

La Santissima Vergine che va in Egitto della Galleria Conti di Lucca

 

 

 

5. Orazio Gentileschi, Madonna con Bambino. Stamford, Burghley House, Marquees of Exeter.

 

L'8 luglio 1695 il ricco mercante lucchese Pietro Massei, gravemente ammalato "per contagio" e già molto anziano, redigeva il suo testamento, istituendo come erede universale la sua unica figlia, Bianca Teresa. Tra "li mobili diversi et suppellettili" che Pietro, morto il 25 novembre dello stesso anno, aveva destinato alla figlia vi era una ricca raccolta di "Pitture" tra le quali un' "opera del Guercino". La figlia di Pietro, dopo una vita spensierata negli agi e nella ricchezza accanto al marito Buonviso Buonvisi, passò gli ultimi anni della sua vita prodigandosi in "inesauribile beneficenza", tanto da arrivare "in opinione di santità". Lo stimolo a intraprendere un tal genere di attività le era venuto da padre Segneri iuniore "detto il Segnerino" che "commosse la compagnia lucchese colle Missioni" e che le rivolse personalmente "eccitamenti alla vita spirituale e quasi rimproveri di non essere stata sollecita". Alla sua morte, avvenuta il 14 gennaio 1714, Bianca Teresa non dimenticò i suoi poveri; nel suo testamento, infatti, vi erano molti codicilli per legati a varie Opere Pie, il più importante dei quali, per l' "Offizio sopra i vagabondi e Spedale di S. Antonio della carità, volgarmente detto Quarconia (Calconia)", venne a costituire un fondo redditizio importante nell'economia dell'istituzione.

Toccò al canonico di San Martino Cesare Lucchesini il compito di far rispettare la volontà testamentaria di Bianca; tra le varie incombenze amministrative ebbe anche quella di riscuotere il pagamento per quel dipinto "opera del Guercino" che la Massei aveva ereditato dal padre e da lei messo in vendita al "pubblico incanto" nel settembre del 1713, molto probabilmente spinta dalla necessità di ricavare del denaro che le permettesse di continuare nella sua attività assistenziale.

Il dipinto era stato acquistato da Stefano Conti, ricco mercante lucchese di sete e tessuti, che già da alcuni anni andava raccogliendo opere d'arte in una sua galleria; del Conti e della sua raccolta ci ha informati per primo Francis Haskell che, sulla base di documenti archivistici conservati nella Biblioteca Statale di Lucca, ha potuto ricostruire l'iter costitutivo della raccolta.

La quasi totalità dei dipinti che costituivano la Galleria Conti era composta da opere di pittori contemporanei, veneti e bolognesi; l'Haskell spiega questa scelta con la povertà artistica dell'ambiente lucchese, ragione per la quale il Conti aveva rivolto la sua attenzione ad altri ambiti, quali appunto Venezia e Bologna. Nel 1704, trovandosi a Venezia e a Bologna per motivi di lavoro, ebbe occasione di visitare le botteghe degli artisti più famosi del momento e di vedere delle opere che soddisfacevano la sua sete artistica. Il Conti prese direttamente contatto con i singoli pittori e con loro trattò ogni particolare delle commissioni, dal soggetto dei dipinti, alla pretesa della loro originalità, mostrandosi peraltro committente generoso al termine di ogni lavoro compiuto. Per raggiungere il maggior numero possibile di pittori, sia a Venezia sia a Bologna, e per garantirsi una continuativa azione di controllo si servì dell'intermediazione di Alessandro Marchesini; in questo modo in soli tre anni il Conti riuscì a ottenere un gran numero di dipinti - di cui ben 68 di pittori veneziani o di 'stanza' veneziana - e nel 1707 inaugurò ufficialmente la sua galleria, fatta progettare appositamente per ospitare i dipinti acquistati. Tra i pittori le cui opere erano entrate a far parte della raccolta, troviamo artisti come Lazzarini, Bellucci, Balestra, i Cassana e lo stesso Marchesini tra i veneziani, il Dal Sole, Torelli e Franceschini tra i bolognesi; e gli stessi artisti, come Giovanni Agostino Cassana e Gregorio Lazzarini, si complimentarono direttamente col Conti per l'apertura della galleria, dichiarandosi onorati che alcune delle loro opere avessero contribuito alla sua realizzazione.

Per quasi vent'anni Stefano Conti si godette la vista della raccolta, senza preoccuparsi di ampliarla; nel 1725, quasi improvvisamente come aveva iniziato, riprese i contatti col veneziano Marchesini e ottenne quattro dipinti del Canaletto, alcuni quadretti di Marco Ricci e un ritratto di Rosalba Carriera''.

Al momento della morte del Conti, avvenuta nel 1739, la quadreria constava di 94 dipinti e, pur dovendo avere un'aria molto 'accademica', doveva dare un quadro omogeneo e significativo della nuova pittura ''moderna''. Il Conti avrebbe voluto che la collezione restasse unita anche dopo la sua morte; così si legge, infatti, nel suo testamento: "Desiderando io che tutti li (...) quadri con alcuni busti di marmo'' si conservino in Casa per decoro della medesima, e per memoria di me, (...) esorto e consiglio i (...) miei Eredi a non venderli, né alienarli, ma a conservarli come ho fatto io, che non ho mai voluto venderne alcun pezzo, benché me ne fosse stato offerto molto di più di quello che mi costavano".

Ma già solo pochi anni dopo, nel 1750, la proprietà dei dipinti venne divisa, non si sa se solo nominalmente o anche di fatto, in tre parti, tanti infatti erano gli eredi legittimi del Conti. Non sappiamo se i dipinti siano rimasti uniti, raccolti nella galleria che era stata fatta costruire appositamente per loro dal Conti nel palazzo di via Fillungo, o abbiano seguito i loro legittimi successivi proprietari; si sa, invece, con certezza che nel 1832 le quattro tele che il Conti aveva commissionato al Canaletto nel 1725 furono vendute da un discendente del Conti, il marchese Boccella, a Robert Townley Parker. Man mano anche gli altri dipinti vennero venduti e, molto probabilmente, già entro la fine dell'Ottocento la collezione era stata completamente smembrata.

Fino a pochi anni or sono era stato possibile rintracciare della dispersa collezione Conti i soli quattro Canaletto; questi, infatti, erano stati venduti accompagnati dai relativi attestati di autenticità e ricevute autografe rilasciate dall'esecutore allo stesso Conti. Ma il Conti aveva raccolto accuratamente tutta la corrispondenza e gli attestati di autenticità rilasciatigli dai vari pittori che erano stati in affari con lui in un ''Libro in cui si contengono varie lettere e ricevute originali di molti celebri pittori, che hanno fatto diversi quadri sì in tela, come in taula di antichi celebri pittori, comprati da me soprascritto in diversi tempi". Di questo "Libro" si conoscono due versioni: il manoscritto originale - composto da note autografe del Conti e dalla corrispondenza e dalle ricevute autografe dei vari artisti - e una copia manoscritta - fatta eseguire dal Conti in previsione di una pubblicazione a stampa, peraltro mai realizzata. Nella copia manoscritta non appaiono però, se non per rarissimi casi, le ricevute di pagamento dei quadri; il Conti, infatti, aveva deciso che: "quando le lettere da stamparsi non sono trattanti per professo e parlanti sopra l'arte, non sono degne di stampa. Queste sono lettere interessanti per Casa Conti, come probanti l'originalità delle sue Pitture, ma non ne sarebbe di piacere che si sapesse cosa gli costino''.

L'Haskell ritrovò per prima, nella Biblioteca Statale di Lucca, la copia manoscritta di questo "Libro" e, grazie a questo strumento, si è potuto giungere all'identificazione di altri dipinti ex Conti. Successivamente è stata reperita anche la versione originale di questo "Libro": attualmente è conservata, smembrata in fascicoli contraddistinti con i nomi dei pittori, nella raccolta di autografi dell'Autografoteca Campori presso la Biblioteca Estense di Modena. Non si sa quando i discendenti del Conti abbiano ceduto anche quest'ultimo elemento, parte integrante della collezione; il "Libro", comunque, sembra essere giunto a Modena, ancora integro, nel 1893 e venne smembrato per autografi l' 11 giugno 1901, secondo il criterio dell'Autografoteca.

Su questa documentazione la Zava Boccazzi ha continuato lo studio sulla galleria Conti e ha potuto ritrovare un nuovo gruppo di dipinti, grazie alle puntuali descrizioni iconografiche fornite dalla corrispondenza tra i vari pittori e il loro mecenate.

Partendo da questa stessa documentazione modenese, cercheremo di ritrovare tra i dipinti di artisti non contemporanei acquistati dal Conti l' "opera del Guercino", della quale ci sembra di aver individuato qualche traccia.

Questo dipinto, due tele del Cambiaso e una tavola del Correggio erano le uniche opere di artisti del passato che il Conti avesse introdotto nella propria galleria.

Troviamo la testimonianza della loro appartenenza alla collezione nelle pagine del "Libro". Così scriveva di suo pugno il Conti riguardo i due dipinti del Cambiaso: "Due quadri per ritto, mezze figure al naturale dipinti da Luca Cambiaso, genovese, uno rappresenta S. Francesco d'Assisi in atto di svenire sopra il crocifisso che tiene nelle mani, con una testa di morto sotto le medesime mani; l'altro S. Bruno fondatore dÈ Certosini col pastorale, in atto di leggere un libro, con cornici assai grandi tutte dorate e intagliate all'antica, quali comprai da Bartolomeo Orsetti al pubblico incanto nell'anno 1708".

E riguardo la tavola del Correggio: "Un quadro grande in taula, con cornice dorata, liscia alla romana, alto quarte 3 1/2 e largo quarte 3. Opera del Correggio, per quanto universalmente è stato giudicato. Rappresenta Giesù Cristo in ginocchione nell'orto, vestito di bianco, con manto azzurro, con un Angelo in aria vestito color di rosso, che con una mano l'accenna una croce in terra, e li Apostoli in disparte all'oscuro. Quale ho comprato io sotto li 19 ottobre 1714, sotto la loggia al pubblico incanto dalli Deputati della Compagnia della SS. Trinità, come erede del già Carlo Lorenzo Anguselli, quale l'ebbe da Francesco Bonamici, e questo da Francesco Maria Basi di Genova suo debitore, come chiaramente si vede al mio libro maestro B delli Stabili e Censi a c. 7, sotto li 19 ottobre 1714". Leggiamo ora le notizie intorno all'"opera del Guercino"; queste consistono in:

a) una ricevuta, datata 27 settembre 1713, di Giovanni Antonio Bossi a nome del padre Vincenzo, banditore pubblico della Repubblica di Lucca, rilasciata a Stefano Conti: "Adi 27 settembre 1713. Io Giovanni Antonio figlio del signor Vincenzo Bossi pubblico banditore della serenissima Repubblica di Lucca come suo sostituto ho ricevuto dallo spectabile Stefano Conti lire diciotto e soldi quindici per mercede di un quadro della santissima Vergine che va in Egitto giacendo in terra a sedere allactando Nostro Signore e san Giuseppe addormentato sopra di un sacco e di più vi è in detto quadro una testa di somarello dietro di un muro vecchio e come il tutto può vedersi; qual quadro era dello spectabile già Pietro Massei, lasciato alla signora Bianca Buonvisi sua figlia per eredità, e dipoi venduto al pubblico incanto e comprato dallo spectabile Stefano Conti.

Qual quadro è opera del Guercino, ed è di altezza di braccia 3 e larghezza braccia 3 2/3 con cornice dorata, come il tutto si vede, e nella detta misura non si è compreso la cornice";

b) una seconda ricevuta, genericamente datata 1714, del canonico Cesare Lucchesini, esecutore testamentario di Bianca Massei Bonvisi:

"1714 - Il signor Stefano Conti deve all'eredità della signora Bianca Teresa Massei Bonvisi per 1.quadro grande del Guercino al n° 625 a f. 91. £. 1126.17.

Ha pagato a me sottoscritto Cesare Lucchesini mano propria";

c) una nota autografa di Stefano Conti, non datata, che testimonia la presenza del dipinto nella sua Galleria:

"Un quadro grande in tela opera del Guercino, quale ho comperato dall'eredità della già signora Bianca Massei, moglie del signore Bonviso Bonvisi, e pagato al signore Cesare Lucchesini, cannonico di San Martino esecutore della detta eredità".

Si trattava, quindi, di una grande tela raffigurante il Riposo nella fuga in Egitto, soggetto assai rappresentato dagli artisti del secolo XVII, quale era il Guercino. Nel catalogo completo dei dipinti del Guercino composto dal Salerno non viene descritto alcun Riposo con le caratteristiche iconografiche sopra descritte; la Zava Boccazzi, per questo motivo avanza la possibilità che si tratti di un Guercino 'perduto'".

Riesaminiamo, comunque, ora nel dettaglio i vari Riposo conosciuti come autentiche opere del Guercino e cerchiamo di costruire un'ipotesi circa il momento di esecuzione del Riposo acquistato dal Conti.

 

 

I Riposo di Guercino

Durante tutto il periodo della sua attività artistica il Guercino produsse un numero abbastanza ridotto di dipinti rappresentanti il Riposo, soggetto che ha trovato la sua prima significativa espressione in uno dei quattro affreschi sulle pareti verticali della cupola della cattedrale di Piacenza, eseguiti dal Barbieri nel 1627". Precedentemente, nel 1624, aveva eseguito per il committente romano Tiberio Lancellotti un tondo che, se pure descritto dal Malvasia come avente raffigurati "una Madonna col puttino, ed un san Gioseffo, con un' Angelo, che suona" , e genericamente catalogato come una Sacra Famiglia, può essere considerato come una variante tematica del Riposo.

Maurizio Marini, nel suo saggio Giovanni Francesco Barbieri il Guercino. Schedario di opere inedite, fa conoscere due altri dipinti con lo stesso soggetto; sono due quadri, appartenenti a collezionisti privati, che il Marini avvicina per motivi compositivi al cosiddetto Tondo Lancellotti - dipinto, come abbiamo detto, dal Guercino nel 1624 per Lancellotti e ora al The Cleveland Museum of Art di Cleveland (Ohio). Il Marini dedica una particolare analisi al dipinto "già a Londra" e, collocandone la realizzazione intorno all'anno 1624, lo vuole identificare con quel Riposo - dipinto per G.B. Panini non si sa quando - per il cui restauro il 19 dicembre 1657 vennero pagati dal "fratello del già signor Bernardino Locatelli ... dobble n. 18 ... e più azzurro oltremarino once quattro e tre quarti ..."- e che è caratterizzato dalla presenza di un angelo che suona il violino - come il tondo di Cleveland.

Il Salerno segnala come "opera perduta nota attraverso copia" il Riposo in Egitto che il Malvasia dà come dipinto per il duca di Savoia negli anni 1634-35 (nel "Libro dei conti" della bottega del Barbieri sono registrati due pagamenti per "il ritorno d'Egitto con due angeli che suonano", eseguito per "l'altezza serenissima del duca di Savoia" uno 1'1 settembre 1634 e l'altro 1'1 marzo 1634) e ne elenca le diverse versioni tutt'ora esistenti:

1) copia - che secondo Mahon potrebbe essere l'originale disperso - esistente all'inizio del secolo nella collezione della contessa russa Boutourline a Firenze;

2) copia a Chicago, The Martin d'Arcy Gallery of Art, Loyola University - secondo Turner una copia di bottega;

3) copia nel museo di Budapest.

Tutti i dipinti fin'ora citati sono compositivamente e dimensionalmente diversi dal Riposo esistente nel 1713 a Lucca, che iconograficamente sembra però vicino a quello rappresentato nell'affresco della cupola del duomo di Piacenza. Per l'affresco di Piacenza il Guercino approntò molti disegni preparatori: dall'analisi e dal confronto delle varie situazioni e personaggi rappresentati nei diversi studi si potrebbe ipotizzare che il dipinto di Lucca possa esserne stato una realizzazione su tela - in particolare la scena descritta sembra rappresentare un momento successivo alla scena raffigurata a Piacenza, con la Madonna che ha già preso tra le braccia il Bambino e lo sta allattando mentre nel frattempo san Giuseppe si è addormentato, sdraiato su di un sacco.

Il dipinto di Lucca, quindi, potrebbe essere stato dipinto nel periodo temporalmente e stilisticamente definito "di transizione" dal Mahon, ossia il periodo compreso tra gli anni 1623-1632 e come tale non documentato nel "Libro dei conti". Avrebbe potuto essere stato acquistato da Pietro Massei, attratto dalla fama che il Guercino si era conquistata anche in Toscana; nella villa di Cantignano, alle porte di Lucca, che il Massei acquistò nel 1642 e in cui nacque la figlia Bianca, si trovavano molte "Pitture" e una di queste poteva essere il Riposo definito dalle registrazioni del Conti "opera del Guercino".

Se così fosse, il Riposo Conti si dovrebbe considerare veramente un Guercino 'perduto' e, quindi, non più rintracciabile. Ma vogliamo continuare le ricerche di questo Riposo e seguiamo allora un'altra linea indiziaria: accettiamo il suggerimento che ci viene da una ipotesi della Zava Boccazzi e cioè che il Riposo acquistato dal Conti non fosse autografo, che fosse, quindi, un 'non Guercino'. Come primo tentativo, ci dirigiamo verso l'ambito di produzione più vicino al Barbieri, ossia a quel gruppetto di pittori che costituì la cosiddetta bottega del Guercino; ma anche questa volta non ci sembra di poter riconoscere in nessuno dei vari Riposo a loro attribuiti un dipinto che corrisponda iconograficamente al Riposo Conti.

Allarghiamo ulteriormente il cerchio e, sempre attraverso il confronto iconografico e dimensionale, ci imbattiamo in un gruppo di quattro dipinti, molto simili tra di loro e che appaiono corrispondere quasi integralmente alla situazione descritta nei documenti di acquisto del Conti. Questi dipinti sono le quattro versioni del Riposo durante la fuga in Egitto dipinte da Orazio Gentileschi, sulle quali il Voss aveva compiuto un esame comparato nel 1959.

 

1. Orazio Gentileschi, Riposo durante la fuga in Egitto. Birmingham, City Museum and Art Gallery.

 

2. Orazio Gentileschi, Riposo durante la fuga in Egitto. Parigi Louvre.

 

3. Orazio Gentileschi, Riposo durante la fuga in Egitto. Vienna, Kunsthistorisches Museum.

 

4. Orazio Gentileschi, Riposo durante la fuga in Egitto. Malibu, J. Paul Getty Museum.

 

 

I quattro Riposo di Orazio Gentileschi

 

I quattro dipinti sono attualmente conservati in quattro musei diversi e precisamente: City Museum and Art Gallery, Birmingham (Inghilterra); Musée du Louvre, Parigi; Kunsthistorisches Museum, Vienna; J. Paul Getty Museum, Malibu (California).

L'assetto compositivo della scena è identico in tutti e quattro i dipinti - con la Madonna seduta per terra che sta allattando il Bambino, con accanto san Giuseppe che dorme riverso bocconi su di un sacco - ma l'aspetto dei personaggi e i loro rapporti posizionali presentano alcune differenze. Le figure e le posizioni della Madonna, del Bambino e di san Giuseppe sono identiche nei dipinti di Vienna e Parigi; nel dipinto di Malibu le figure della Madonna che allatta e di san Giuseppe addormentato sopra il sacco sono le stesse degli altri due dipinti, ma poste in posizione più ravvicinata tra loro, tanto che la gamba destra ripiegata della Madonna copre la mano destra di san Giuseppe. Nel dipinto di Birmingham la figura di san Giuseppe è identica a quella rappresentata negli altri tre Riposo, mentre la Madonna e il Bambino hanno aspetti fisionomici assai diversi. I quattro dipinti si differenziano leggermente anche nel tipo di sfondo: abbiamo un muro di mattoni continuo, parzialmente intonacato, nei dipinti di Vienna e di Malibu, e un muro di mattoni, piuttosto sgretolato, che si apre lasciando apparire un tratto di cielo con nubi nei dipinti di Parigi e di Birmingham. Nel dipinto di Birmingham vi è, però, un importante particolare in più: si tratta della testa di un asinello, che spunta dietro al muro sbrecciato.

Ed è proprio per questo particolare iconografico, cioè la testa dell'asinello, che pensiamo di poter riconoscere nel Riposo di Birmingham il perduto dipinto "opera del Guercino" della collezione Conti.

Non è, però, esclusivamente per la corrispondenza iconografica che pensiamo di aver rintracciato il dipinto in questione, ma anche per altri motivi che ora esamineremo.

La City Art Gallery di Birmingham acquisì il Riposo in Egitto, attribuito a Orazio Gentileschi, il 14 marzo 1947 e ancora oggi è esposto nelle sue sale. Il dipinto era arrivato in Inghilterra dall'Italia, però, già nel 1840, insieme a quelli che componevano la Galleria Palatina, la collezione di dipinti dell'allora duca di Lucca, Carlo Ludovico II di Borbone. Leggendo il Catalogue of the Gallery of His Royal Highness the Duke of Lucca lo troviamo attribuito a "Simone da Pesaro" (Simone Cantarini) e veniamo a conoscenza dei precedenti proprietari: il cavalier Massei di Lucca e il marchese Boccella. Nelle vendite all'asta che succedettero alla mostra, il Riposo durante la fuga in Egitto venne venduto a Talbot, Margam Castle, il 5 giugno 1841, con asta Phillips, battuto come n. 38 e attribuito a Simone Cantarini. Un secolo dopo cambiò di nuovo proprietario, venendo venduto da miss Emily Talbot a sua altezza reale il duca di Kent, con asta ChristiÈs il 29 ottobre 1941, lotto 376, ma come opera di Artemisia Gentileschi; infine passò a Birmingham, venduto con asta ChristiÈs  il 14 marzo 1947, lotto 35, e attribuito a Orazio Gentileschi.

Tra i nomi dei primi proprietari del dipinto saltano immediatamente agli occhi quelli del "cavalier Massei di Lucca" e del "marchese Boccella". Per il marchese Boccella non abbiamo dubbi: è Cesare Boccella, il discendente di Stefano Conti che nel 1832 vendette i quattro Canaletto, accompagnati dai relativi attestati di autenticità e ricevute autografe dell'esecutore, a Robert Townley Parker. Non sappiamo di preciso quando il Boccella abbia ceduto il Riposo al duca di Lucca; non è improbabile che gliene abbia fatto addirittura dono, dal momento che era in stretto contatto col duca stesso essendone il camerlengo. Non deve però aver fatto accompagnare il dono - o l'eventuale vendita - da alcun documento che ne attestasse la presunta paternità dell'autore. Diciamo questo per due motivi: il primo, che il dipinto venne venduto subito dopo la sua esposizione in Inghilterra, nel 1841, come opera di Simone Cantarini; il secondo, che la documentazione autografa del Conti sull'acquisto del dipinto è rimasta insieme a tutti gli altri scritti relativi ai vari dipinti della collezione. Cosa che non avvenne per i quattro dipinti del Canaletto venduti dal Boccella al Townley Parker.

Anche il nome del "cavalier Massei di Lucca" ci ricollega alla collezione Conti e in particolare a quel dipinto "opera del Guercino" acquistato dal mercante lucchese Massei Buonvisi; dal documento che abbiamo contrassegnato con a), infatti, veniamo a sapere che il "quadro era dello spectabile già Pietro Massei, lasciato alla signora Bianca Buonvisi sua figlia per eredità, e dipoi venduto al pubblico incanto e comprato dallo spectabile Stefano Conti".

Stranamente il nome di Stefano Conti non compare tra i proprietari del Riposo catalogato tra i dipinti della collezione del duca di Lucca; ciò può essere motivato dal fatto che il marchese Boccella era un suo discendente e quindi figurava come proprietario effettivo del dipinto al momento della sua cessione, che è senz'altro avvenuta negli anni trenta dell'Ottocento, epoca in cui è documentata la vendita dei quattro Canaletto.

Se, come tutto lo fa credere, il dipinto Conti è il Riposo di Birmingham, questo avrebbe subito, almeno, i seguenti passaggi di proprietà:

 

1) ? - 1695, cavalier Pietro Massei, Lucca

2) 1695 - 1713, Bianca Teresa Massei Bonvisi, Lucca

3) 1713 - 1830 c., Stefano Conti, eredi Conti, marchese Boccella, Lucca

4) 1830 c. - 1841, Carlo Ludovico di Borbone, Lucca

5) 1841 - 1941, Talbot, eredi Talbot, Margam Castle (Inghilterra)

6) 1941 - 1947, duca di Kent (Inghilterra)

7) 1947 - oggi, City Museum and Art Gallery, Birmingham (Inghilterra).

 

 

Il Riposo di Birmingham

 

I critici d'arte che hanno studiato le quattro versioni del Riposo del Gentileschi concordano nel trovare una certa differenza stilistica tra il dipinto di Birmingham e gli altri tre, che porterebbe a supporre che i dipinti non siano stati eseguiti nello stesso periodo.

Leggiamo quanto scrisse il Voss nel 1959 a proposito del dipinto di Birmingham nel suo studio comparato dei quattro Riposo del Gentileschi: "In questo dipinto vi sono diversi dettagli che colpiscono a prima vista come infelici o addirittura spiacevoli e che provano come l'artista fosse capace di dare un'espressione soddisfacente e definitiva della sua concezione originale solo dopo molti tentativi preliminari. Per prima cosa la forma del dipinto è meno allungata di quanto sarebbe diventata più tardi e la sezione contenente le figure occupa solo la porzione inferiore. Nella parte superiore c'è un muro diroccato da cui l'intonaco si sta staccando, che emerge troppo prepotentemente da sinistra a destra. Dietro la parete spunta la testa di un asino in strano isolamento contro un cupo cielo tempestoso.

Gli altri tre dipinti vengono dallo stesso Voss definiti "più armoniosi compositivamente", quindi più maturi. A suo giudizio, il dipinto di Birmingham sarebbe stato dipinto in Italia intorno al 1616 e può essere considerato il prototipo per gli altri tre, dipinti successivamente durante la sua permanenza in Inghilterra. Il Voss mette, tuttavia, in rilievo l'opinione del Longhi, secondo cui il dipinto non sarebbe completamente autografo, da cui la differenza stilistica tra i dipinti in questione.

Il Bissel, invece, non ha dubbi circa la reale paternità del dipinto e colloca il Riposo di Birmingham tra i "lavori autentici" del Lomi, suggerendo come periodo di esecuzione il quinquennio 1615-1620, propendendo per il 1616, momento in cui Orazio si trovava a Firenze; forse si potrebbe posticiparne di poco l'esecuzione, supponendolo dipinto durante il cosiddetto periodo genovese, e cioè dal 1621 al 1624, vedendolo vicino ai dipinti che Orazio dipinse per il genovese Giovan Antonio Sauli, quali, a esempio, la Madonna col Bambino, ora in Palazzo Rosso a Genova. In questo piccolo dipinto, in particolare, troviamo lo stesso tipo di sfondo, costituito dal muro di mattoni sbrecciato che si apre sul cielo nuvoloso, che appare nel dipinto di Birmingham.

Sempre secondo l'opinione del Bissel, gli altri tre Riposo sono stati dipinti in Inghilterra; tutti e tre, successivamente, ne sono stati allontanati e distribuiti in giro per il mondo.

La versione del Riposo ora al Louvre - che appare la più vicina iconograficamente al Riposo di Birmingham - venne commissionata a Orazio intorno al 1637 da Everhard Jabach e passò poi in Francia nel 1671 nella collezione di Luigi XIV; il Riposo di Vienna, segnalato nella collezione del duca di Buckingham fin dal 1648, fu comprato dall'arciduca Leopoldo Guglielmo, passò poi a Praga, e, infine, a Vienna; il Riposo di Malibu rimase invece in Inghilterra, subendo una serie di passaggi di proprietà, fin quando l'ultimo acquirente, J. Paul Getty, lo trasportò negli Stati Uniti, nell'omonimo museo di Malibu, in California.

I tre Riposo nati in Inghilterra vivono, quindi, ora lontani dal luogo di nascita; ma il loro vuoto è stato riempito dal Riposo di Birmingham che, nato in Italia, ha seguito le orme del suo artefice e ora vive in Inghilterra. E il suo destino di emigrante è molto simile a quello toccato a moltissimi altri dipinti italiani appartenenti a collezioni private che, durante tutto l'Ottocento, vennero venduti all'estero da proprietari che non erano più in grado di mantenerli in vita.

Tornando, infine, all'obiettivo della nostra indagine e cioè al ritrovamento del Guercino Conti 'perduto' possiamo concludere che pensiamo di averlo identificato: si tratta tuttavia di un 'non Guercino'.

Il dipinto che Pietro Massei lasciò in eredità alla figlia era stato probabilmente acquistato senza una dichiarazione di paternità; quando venne venduto nel 1713 la fama del Guercino era ancora molto viva, assai maggiore di quella di un artista che, come il Gentileschi, aveva passato molta parte della sua vita all'estero. E al Conti, collezionista molto preoccupato di acquistare dipinti di artisti di chiara fama, venne venduto un dipinto al quale fu dato un padre illustre. E a questa fallace attribuzione forse la colpa di aver finora impedito il suo ritrovamento.

 

 

 

Giuliana Marcolini

 

 

P.S.: Nel testo corrente sono state omesse, per questioni di spazio, le note dell'autore.

 

 

ARTE Documento  N°10                                                                     © Edizioni della Laguna