Alcuni ritratti veneziani poco noti del Rinascimento

 

 

 

Klára Garas

 

 

 

Una parte cospicua della già famosa Galleria dell'arciduca Leopoldo Guglielmo di Bruxelles-Vienna si trova al Museo di Belle Arti di Budapest: questo capitolo del collezionismo europeo è abbastanza ben noto e documentato. Integrato al possesso imperiale come lascito dell'Arciduca, molti quadri sono stati spediti durante il regno di Maria Teresa al castello di Presburgo (Pozsony) e poi a Buda nel 1781 per decorare le sale della residenza reale. Settantotto di essi vennero trasferiti nel 1848 dal palazzo del presidente della Camera al Museo Nazionale e finirono con le collezioni d'arte al Museo di Belle Arti inaugurato nel 1906'. Numerose opere di questa provenienza, fra loro capolavori come Apollo e le Muse di Lorenzo Lotto, i ritratti di giovane e di giovanotto del Palma Vecchio e altri sono ben noti nella letteratura, ma ne esistono anche altri, custoditi nei magazzini — soprattutto a causa del loro cattivo stato di conservazione — che non sono conosciuti o pubblicati.

 

 

1. Tiziano (cerchia?), Ritratto d'uomo. Budapest, Szèpmüveszeti Muzeum.

 

 

2. David Teniers, La Galleria dell'arciduca Leopoldo Guglielmo, particolare. Madrid, Museo del Prado.

 

 

Così un busto d'uomo barbuto di mezz'età (fig. 1), il quale si trova riprodotto distintamente su una delle vedute dipinte di David Teniers della Galleria arciducale di Leopoldo Guglielmo a Bruxelles (fig. 2). La veduta oggi al Prado di Madrid mostra il nostro busto con l'iscrizione TITIANVS a sinistra accanto alla porta, vicino al ritratto di Giorgione, che si trova oggi ugualmente a Budapest. Il catalogo della mostra di Madrid "David Teniers, Jan Brueghel y los gabinetes de pinturas..." riferisce per i quadri riprodotti nelle diverse vedute sistematicamente alla sede attuale, ma nota il busto in questione come "sconosciuto". Possiamo invece identificarlo col ritratto di Vienna pervenuto a Budapest, riprodotto fra i disegni preparatori di J. Prenner destinati al volume inciso della Galleria imperiale di Vienna, il "Prodromus" (1735), fra le miniature dipinte del catalogo di F. Storffer (1720). Possiamo ritrovarlo anche nell'inventario dell'arciduca Leopoldo Guglielmo del 1659 con «ogni probabilità sotto il numero 69» sempre col nome di Tiziano. Essendo presente nella Galleria arciducale a Bruxelles prima del 1653 — in quel tempo la veduta di Teniers con la sua riproduzione si trovava già a Madrid — venne acquistato verosimilmente con la raccolta del duca di Hamilton, comprata quasi in blocco dall'arciduca nel 1649 ad Anversa.

Facevano parte della Galleria Hamilton alcune delle più importanti collezioni veneziane acquistate a Venezia negli anni 1636-1638, quelle di Bartolomeo della Nave e dei Priuli. Contenevano tutti fra l'altro un gran numero di ritratti rinomati di Tiziano, Tintoretto, del Moroni, Lotto e Savoldo — oggi in gran parte al Kunsthistorisches Museum di Vienna — ma anche molti altri che finora non sono stati ritrovati. É talvolta difficile identificare nei diversi inventari Hamilton o della Nave i tanti ritratti poco definiti e, particolarmente le teste o busti, come il nostro in questione. Il catalogo della mostra di Madrid rammenta in rapporto al ritratto tizianesco riprodotto da Teniers la somiglianza col noto ritratto di Daniele Barbaro al Prado, aggiungendo, però, che non si tratta della stessa persona. Infatti mancano segni decisi, attributi specifici per dare un nome alla persona, che presenta circa 40-50 anni. Il suo aspetto è determinato dalla pettinatura, la barba e i baffi alla moda dominante verso il 1530-1540, il vestito nero neutro non indica nemmeno una professione o uno stato ufficiale. Nella ritrattistica dell'epoca esistono parecchi esempi di figure simili — si veda fra l'altro la mezza figura anonima del Louvre ascritto alla cerchia di Tiziano (n. 773) — non ci pare possibile per il momento stabilire l'identità della persona ritratta. Il formato del dipinto, il busto senza mani, senza attributi sul fondo neutro potrebbero rientrare in un certo tipo di ritratti, fatti in serie, di uomini famosi, artisti, eruditi e simili, come quelli del Museo Giovio e di altre collezioni, riprodotti in incisioni in varie pubblicazioni contemporanee. Per l'identificazione dell'autore, soprattutto in considerazione del nome tradizionale di Tiziano, sarebbe corretto aspettare i risultati dei lavori di restauro in corso.

 

 

3. Sebastiano del Piombo, Ritratto del cardinale Lenoncourt, replica. Budapest, Szepmüveszeti Muzeum.

 

 

Un altro ritratto al Museo di Belle Arti con problemi da risolvere è la replica – copia — antica (fig. 3) del ritratto del Cardinale Reginald Pole attribuito a Sebastiano del Piombo all'Ermitage di San Pietroburgo. Segnalato talvolta nella letteratura artistica, il quadro di Budapest non è mai stato esposto o studiato attentamente.

 

4. Larmessin da Sebastiano del Piombo, Ritratto del cardinale Reginald Pole, incisione.

 

Entrò nel Museo con la galleria Esterházy (1870) e viene citato sin dal primo catalogo di questa collezione nel 1812 come ritratto del Cardinal Pole di Sebastiano del Piombo (fig. 4), con la notizia «Ce tableau provient du Cabinet de Mr. Crozat». Come noto, la collezione famosa già di Pierre Crozat di Parigi fu venduta dagli eredi Crozat-Thiers quasi interamente alla zarina Caterina II nel 1772. Il ritratto del Cardinale a San Pietroburgo è senza dubbio quello di provenienza Crozat, descritto e inciso in varie fonti e cataloghi almeno sin dal 1722 in proprietà Crozat. Era prima considerato opera di Raffaello, ma nell'edizione d'incisioni di opere d'arte importate in Francia, il «Recueil Crozat» (1729-1742) e poi nel suo Abecedario J. P. Mariette affermando «[...] ce portrait a toujours passé pour etre peint par Raphael» – anche presso i suoi proprietari precedenti – suggerisce l'identificazione del modello sulla base di incisioni antiche con Reginald Pole, cardinale sin dal 1536, escludendo così come autore Raffaello, morto nel 1520. La sua conclusione «ainsi on doit l'attribuer à Sebastiano del Piombo» e l'identificazione col Pole apparivano validi sino ai nostri giorni.

La copia di Budapest solleva invece alcuni problemi in questo contesto. Essendo in sostanza nella composizione e nei dettagli conforme all'originale, ne differisce perché reca in alto l'iscrizione "ROBERT CARDINAL DE . LENONCOURT/ EVESQUE DE METZ FAN. 1550". Questa iscrizione in lettere maiuscole, che era ricoperta da ridipintura rimossa soltanto negli anni Cinquanta, alle indagini obiettive è risultata quasi coeva alla pittura stessa , risalente cioè a circa il 1550.

Concerne la persona da noi indicata, Robert de Lenoncourt, vescovo di Châlons-sur-Marne e di Metz. Coetaneo di Reginald Pole, cardinale nel 1538, aveva visitato Roma parecchie volte. Esiste anche un elemento addizionale finora non chiarito, che giusti-fica una riconsiderazione della scritta e dell'identità della persona rappresentata. Nel suo diario di viaggio (1644) l'autore inglese John Evelyn parla d'un ritratto di «Cardinal de Lian Court of Raphael», che aveva visto fra i quadri famosi del palazzo di Liancourt (Lian Court) a Parigi. Nel riferirsi a un nome concreto dell'effigiato, l'autore possedeva probabilmente una indicazione, un punto di partenza, che poteva essere una tradizione familiare – il ritratto era custodito nella camera da letto del duca – ma anche una iscrizione sul dipinto, come sul quadro di Budapest, recante il nome del cardinale. Non sappiamo per certo se per un equivoco Lenoncourt venne interpretato come Liancourt o in senso inverso, ma i fatti e la vicenda della collezione Liancourt permettono le seguenti conclusioni. Un ritratto attribuito a Raffaello e rappresentante un cardinale – Liancourt? – si trova nel 1644 nel palazzo Liancourt, ma non vi è descritto più tardi. Un ritratto di cardinale attribuito a Raffaello viene citato in possesso del Chevalier de Clerville, – il cavaliere è noto per aver comprato nel 1670 quadri del duca di Liancourt – e passa in seguito al conte d'Armagnac e a Pierre Crozat, sempre a Parigi, per finire con la raccolta Crozat a Pietroburgo. Possiamo però anche ipotizzare che la redazione ricordata dall'Evelyn fosse invece quella recante l'iscrizione con il nome del cardinale Robert de Lenoncourt, cioè la replica oggi a Budapest.

In ogni caso il dubbio concernente l'identità della persona effigiata resta giustificato. É da ricordare che il nome del cardinale Reginald Pole appare in questo contesto soltanto nel Settecento, precisamente nel 1722 e nel 1729, quando J. P. Mariette accerta «[...] on ne peut pas douter que ce ne soit le Portrait de cardinal Polus, puisque il est conforme à ceux qui se trouvent gravez dans le "Livre des Hommes Illustres" et dans l'"Histoire d'Angleterre de Jarrey"». Ma questa somiglianza con le citate e note incisioni e gli autentici ritratti del Pole – il busto già nel Museo di Paolo Giovio a Como o nell'affresco del Vasari alla Cancelleria in Roma – e altri è piuttosto vaga, superficiale.

 

 

5. Pittore ignoto, Ritratto del cardinale Pole. Lambeth.

 

 

I tratti, la forma più allungata della testa nei vari suoi ritratti in Inghilterra (v. Lambeth) (fig. 5) come anche la descrizione contemporanea del cardinale non sono in concordanza convincente con i dipinti di Pietroburgo e di Budapest. Per questo, R. Strong, esperto della ritrattistica inglese dell'epoca, non riconosce l'identificazione di questi ultimi ritratti con il cardinale Pole.

Come indicato nel quadro di Budapest, il cosiddetto cardinal Pole potrebbe essere, infatti, il Cardinal Lenoncourt: questa possibilità non è da escludere.

 

 

6. Ritratto del cardinale Lenoncourt, incisione.

 

 

Conosciamo la fisionomia di Robert de Lenoncourt da alcuni ritratti attribuiti a Corneille de Lyon a Torino, Versailles, e Londra, Galleria Heim (fig. 6). Questi piccoli busti iscritti con il suo nome mostrano un uomo di mezz'età con berretto ma vestito profano, con pelliccia, il viso rotondo, i baffi e la barba più corta: pare essere più giovane del cardinale ritratto nei dipinti di Pietroburgo e di Budapest. La forma della testa, le sopracciglia arcuate, la distanza degli occhi sono in ogni caso più vicini e simili a questi ultimi, come i tratti raffigurati nei ritratti autentici sopra citati del cardinal Pole. Anche i dati della vita di Robert de Lenoncourt permettono una ipotetica identificazione: ambasciatore del re di Francia Francesco I, creato cardinale dal papa Paolo III nel 1538, il Lorenese si recò a Roma più volte; il grande ritratto quale cardinale venne dipinto con ogni probabilità a Roma, circa il 1538. L'incertezza concernente l'effigiato tocca naturalmente anche il problema dell'autore; opinioni a tal proposito sono state e sono ancora molto diverse. L'attribuzione iniziale corrente nel Sei e nel Settecento a Raffaello è stata decisamente respinta; quella successiva a Sebastiano del Piombo, a lungo considerata valida, viene contestata o rimessa in discussione negli ultimi tempi. Roberto Longhi e Federico Zeri pensavano a Perin del Vaga, nella recente monografia di Mauro Lucco figura fra le «opere ascritte a Sebastiano del Piombo», Michael Hirst nel suo libro fondamentale lo considera invece come opera autentica di Sebastiano. L'identità del personaggio ritratto e del suo pittore mi sembrano essere in qualche modo legati; per una soluzione convincente del problema i dati e gli elementi forniti del quadro di Budapest possono servire con nuovi argomenti e testimonianze.

Fonti, documenti, iscrizioni, attributi, motivi storici e stilistici sono di solito i punti di partenza per rintracciare l'origine e l'identità della maggior parte dei ritratti del passato, compito per lo più difficile e contestabile.

 

7. Pittore veneziano, Ritratto di matematico. Monaco, Bayerisches Staatsgemäldesammlungen.

 

 

Durante le ricerche sul tema "Giorgionismo" mi è pervenuta la fotografia di un quadro di Monaco quasi sconosciuto, rappresentante un personaggio autorevole in pelliccia, con un compasso in mano e un giovane accanto a lui con un astrolabio (fig. 7). La fotografia di quest'opera, conservata nei magazzini delle collezioni bavaresi a Monaco come di "seguace di Giorgione", si trova anche nel fondo della Witt Library con il nome di Giorgione e nella fototeca della Fondazione Cini a Venezia, fondo Giuseppe Fiocco, con l'indicazione "Domenico Mancini". Nonostante il suo rapporto apparente con la cerchia giorgionesca, per quanto io sappia non è stata discussa o determinata nella letteratura specifica. Come un primo passo sulla via del riconoscere sia l'autore sia gli effigiati del doppio ritratto anonimo possiamo almeno fissare la provenienza del quadro: si tratta di un'opera descritta nei documenti bavaresi del tempo del duca Massimiliano I, un fatto finora non considerato. Nell'inventario della Kammergalerie del I 641 /42/XIII.17/ di Monaco viene citato: »Ein Mathematicus in einem blauen weis gefiederten Rokh, sambt seinem Discipl, welcher ein Astrolabium in der handt auf Ruech, vom Leonardo de Vinci gar fleissig gemahlt». È ricordato nel castello di Schleissheim nel 1637 con la notizia «aus dem Schleissheimer Schloss Abkleidezimmer auf München abgeholt».

Nella pubblicazione di documenti Quelle und Studien zur Kunstpolitik der Wittelsbacher (1980) questo passo sul "Mathematicus" è riferito dagli autori (D. Diemer, M. Bachtler, P. Diemer, J. Erichsen) come "non identificato", cioè perduto. La descrizione precisa permette invece una identificazione sicura con il doppio ritratto n. 7452 e sostiene la conclusione che il quadro si trovava già nel primo Seicento a Monaco, in proprietà del duca Massimiliano, mecenate d'arte e collezionista rinomatissimo, come opera di Leonardo da Vinci. Con questa piuttosto rara attribuzione il dipinto è probabilmente pervenuto in Bavaria forse a Massimiliano I stesso, ma fors'anche al suo predecessore, il duca Guglielmo V. Non si sono trovati dati precedenti per una tal opera, non sappiamo nulla della sua origine. L'attribuzione potrebbe indicare una provenienza dalla Lombardia, il concetto, la composizione e lo stile del ritratto fanno supporre un rapporto con Venezia. La parentela con opere attribuite a Giorgione e alla sua cerchia è dominante, la composizione con le due mezze figure in una stretta struttura, con posizioni divergenti, rammenta i famosi doppi ritratti giorgioneschi, per esempio il cosiddetto "Gattamelata" in Firenze o quella coppia con la melagrana Ludovisi a Palazzo Venezia a Roma, quelli ritratti di spalle. Il quadro di Monaco appartiene al gruppo di dipinti indicati come "Unterweisungsbild", cioè rappresentazioni di maestro e discepolo, citati nelle fonti e identificati talvolta con opere esistenti, come il doppio ritratto di Luca Pacioli, già ascritto a Jacopo dÈ Barbari (Napoli, Galleria Nazionale), la cosiddetta coppia Borgherini, attribuita a Giorgione (Washington, National Gallery of Art), il ritratto del Filetto e suo figlio (?) di Tiziano (Berlino, Vienna). Sono tutti legati all'ambiente rinascimentale dell'Italia del Nord, alle ricerche scientifiche, agli studi umanisti. In questo senso, l'antica attribuzione del ritratto di Monaco a Leonardo da Vinci, non è senza logica, inoltre c'è da considerare la parentela apparente con tipi leonardeschi, come la testa robusta, grassoccia, con il viso nudo dell'effigiato, familiare nei disegni di Leonardo (Parigi, Louvre e altri). Tutti gli indizi, gli elementi stilistici, la composizione, i motivi, gli attributi, gli abiti, tutto fa pensare all'influsso leonardesco, a un'origine veneziana nei primi decenni del Cinquecento. Benché l'effigiato abbia una fisionomia assai distinta, con gli attributi della sua professione o i suoi interessi siano chiaramente definiti, non si è finora riusciti a identificarlo. Il suo costume non pare essere quello degli studiosi, dei professori delle scienze, è piuttosto caratteristico di un patrizio, di un gentiluomo opulento: dobbiamo forse cercarlo fra i tanti eruditi dilettanti dell'epoca, non pochi fra loro attivi sul terreno della matematica o dell'astronomia.

 

 

 

Klára Garas

 

 

 

 

P.S.: Nel testo corrente sono state omesse le note dell'autore.

 

 

 

 

 

ARTE Documento  N°14                                                 © Edizioni della Laguna